Parla Maurice Godelier: «La pretesa di spiegare l’origine delle società attraverso le strutture economiche o sociali si è rivelata fallace: il vero fondamento è il sacro».
di Edoardo Castagna
Per l’antropologo francese «in ogni gruppo sociale "sacro" è il nesso politico-religioso, ciò che viene trasmesso di generazione in generazione e fonda il vivere comunitario dei gruppi umani».
Archiviamo Marx e Lévi-Strauss: per capire la società non ci servono teorie economiche o strutture parentali, ma il senso del sacro. È questo l’approdo della riflessione dell’antropologo francese Maurice Godelier – anni di osservazione sul campo in mezzo mondo, con particolare predilezione per la Nuova Guinea, medaglia d’oro del Cnr francese, direttore della Scuola di alti studi in Scienze sociali di Parigi –, che stamattina alle 10.30 alla Bicocca di Milano parteciperà con Enzo Mingione e Marinella Carosso all’incontro «Dalla "moneta di sale" all’"enigma del dono". Esperienze di antropologia economica». Di Godelier Jaca Book, che sta per pubblicare anche Comunità, società, cultura (pagine 80, euro 8,00), ha appena dato alle stampe Al fondamento delle società umane (pagine 240, euro 28,00): dove l’antropologo teorizza che tale fondamento sia appunto il sacro.
Ma in che senso dobbiamo intenderlo, questo "sacro", professor Godelier?
«Certo non si riduce al religioso. In Europa dicendo "sacro" pensiamo immediatamente al Dio monoteista, alla trascendenza, ma non è solo questo: il sacro fonda la società perché è il suo supporto profondo trasmesso di generazione in generazione, è quel che va al di là della vita degli individui, è ciò che consente agli individui di vivere insieme».
Concretamente?
«Nelle società occidentali di oggi oggetti sacri sono le Costituzioni. Non sono beni, non possono acquistare ma solo trasmettere. Il politico non può essere separato dal sacro, anzi ne fa parte; concetto difficile da comprendere per noi europei, che a partire dai Lumi e dalla Rivoluzione francese ci siamo abituati a vedere Stato e politica separati dalla religione. Questa spaccatura ci ha fatto dimenticare che in realtà il sacro non sta solo nella religione: anche la politica è un qualcosa di sacro, per gli individui e per i gruppi sociali. Quello che mi interessa, naturalmente, non è il legame sociale, ma la creazione concreta di una società».
Eppure i due filoni tradizionali delle scienze sociali mettono il sacro tra parentesi, e cercano altrove l’origine della società: Marx nei rapporti economici, Lévi-Strauss in quelli di parentela...
«Infatti sono critico contro questo doppio feticismo. Forse che i rapporti di produzione capitalisti descritti dal marxismo possono spiegare in qualche modo una religione come il cristianesimo? Certo che no. L’economia è importante, va capita, ma non spiega. Allo stesso modo, la famiglia è importante per l’individuo, che si costituisce attraverso di essa, ma questo non basta a farne la base della società».
Dov’è l’errore, quindi?
«Il punto strategico dei rapporti sociali sta nel concetto di sovranità, un concetto più proficuo di quelli economici o strutturalisti. La questione è: perché e come i gruppi umani stabiliscono una sovranità su un territorio? Io rispondo: con il politico-religioso, cioè con il sacro. Politico, nel senso di sistemi istituzionali di governo; religioso, nel senso di rapporto con ciò che va al di là dell’umano».
Eppure in Europa è forte la tendenza a mettere Dio tra parentesi, e a insistere al contrario sulla laicità dello Stato...
«Un conto è la laicità dello Stato, cioè la separazione tra questo e la religione; un altro è il concetto di sacro. All’interno dell’Occidente, poi, è tangibile la differenza tra Europa e Stati Uniti: oltreoceano si giura sulla Bibbia, non sulla Costituzione... Anche là lo Stato non è religioso, nel senso che non c’è una Chiesa ufficiale, però la religione pervade l’intera società. La tradizione americana è impostata sul minor intervento statale possibile nella vita individuale, nell’economia, eccetera. Compassione per i poveri, sì; sistema sanitario per tutti, no – e si vede quanto fatichi Obama a introdurlo. In Europa al contrario lo Stato, a partire dal secondo dopoguerra, ha assunto un ruolo provvidenziale, facendosi carico della protezione sociale di tutti i cittadini. In America il rapporto tra lo Stato e la società sono diversi, così come quelli tra la società e la religione: ma ci sono casi ancora più divergenti, su come il sacro possa fondare una società: l’islam, per esempio».
La categoria di sacro come base del politico-religioso aiuta a capire l’ascesa del fondamentalismo?
«Nell’islam la sovranità non appartiene al popolo, ma a Dio; la legge civile posa sulla legge divina, la shari’a; la supremazia va al religioso, non al politico, e le persone non si riconoscono come cittadini, ma come credenti. In passato il problema del mondo islamico era un problema europeo, perché europei erano i Paesi colonizzatori dell’area musulmana. Oggi questo "domino" è passato agli Stati Uniti, mentre i Paesi islamici non hanno ancora elaborato il trauma della colonizzazione – trauma alla base, tra l’altro, anche della difficoltà di questi Paesi a liberarsi dai loro regimi dittatoriali. Tutto è pieno di paradossi: l’Iran degli ayatollah è una repubblica, con elezioni e opposizione, ma con un fondamento religioso; anche l’Arabia ha un fondamento religioso, ma è una monarchia assoluta, senza elezioni e senza opposizioni… Eppure repubblica, monarchia non sono categorie proprie della tradizione islamica, sono figlie anch’esse della colonizzazione occidentale. E il risentimento cova, ovunque. In Afghanistan, dove occorre assolutamente trovare una soluzione politica. In Iraq, dove il grave errore è stato distruggere interamente lo Stato di Saddam – neppure in Germania, dopo la Seconda guerra mondiale, lo Stato è stato distrutto – anziché modficarlo. E soprattutto in Palestina, vera ulcera aperta nel mondo islamico».
Ma in che senso dobbiamo intenderlo, questo "sacro", professor Godelier?
«Certo non si riduce al religioso. In Europa dicendo "sacro" pensiamo immediatamente al Dio monoteista, alla trascendenza, ma non è solo questo: il sacro fonda la società perché è il suo supporto profondo trasmesso di generazione in generazione, è quel che va al di là della vita degli individui, è ciò che consente agli individui di vivere insieme».
Concretamente?
«Nelle società occidentali di oggi oggetti sacri sono le Costituzioni. Non sono beni, non possono acquistare ma solo trasmettere. Il politico non può essere separato dal sacro, anzi ne fa parte; concetto difficile da comprendere per noi europei, che a partire dai Lumi e dalla Rivoluzione francese ci siamo abituati a vedere Stato e politica separati dalla religione. Questa spaccatura ci ha fatto dimenticare che in realtà il sacro non sta solo nella religione: anche la politica è un qualcosa di sacro, per gli individui e per i gruppi sociali. Quello che mi interessa, naturalmente, non è il legame sociale, ma la creazione concreta di una società».
Eppure i due filoni tradizionali delle scienze sociali mettono il sacro tra parentesi, e cercano altrove l’origine della società: Marx nei rapporti economici, Lévi-Strauss in quelli di parentela...
«Infatti sono critico contro questo doppio feticismo. Forse che i rapporti di produzione capitalisti descritti dal marxismo possono spiegare in qualche modo una religione come il cristianesimo? Certo che no. L’economia è importante, va capita, ma non spiega. Allo stesso modo, la famiglia è importante per l’individuo, che si costituisce attraverso di essa, ma questo non basta a farne la base della società».
Dov’è l’errore, quindi?
«Il punto strategico dei rapporti sociali sta nel concetto di sovranità, un concetto più proficuo di quelli economici o strutturalisti. La questione è: perché e come i gruppi umani stabiliscono una sovranità su un territorio? Io rispondo: con il politico-religioso, cioè con il sacro. Politico, nel senso di sistemi istituzionali di governo; religioso, nel senso di rapporto con ciò che va al di là dell’umano».
Eppure in Europa è forte la tendenza a mettere Dio tra parentesi, e a insistere al contrario sulla laicità dello Stato...
«Un conto è la laicità dello Stato, cioè la separazione tra questo e la religione; un altro è il concetto di sacro. All’interno dell’Occidente, poi, è tangibile la differenza tra Europa e Stati Uniti: oltreoceano si giura sulla Bibbia, non sulla Costituzione... Anche là lo Stato non è religioso, nel senso che non c’è una Chiesa ufficiale, però la religione pervade l’intera società. La tradizione americana è impostata sul minor intervento statale possibile nella vita individuale, nell’economia, eccetera. Compassione per i poveri, sì; sistema sanitario per tutti, no – e si vede quanto fatichi Obama a introdurlo. In Europa al contrario lo Stato, a partire dal secondo dopoguerra, ha assunto un ruolo provvidenziale, facendosi carico della protezione sociale di tutti i cittadini. In America il rapporto tra lo Stato e la società sono diversi, così come quelli tra la società e la religione: ma ci sono casi ancora più divergenti, su come il sacro possa fondare una società: l’islam, per esempio».
La categoria di sacro come base del politico-religioso aiuta a capire l’ascesa del fondamentalismo?
«Nell’islam la sovranità non appartiene al popolo, ma a Dio; la legge civile posa sulla legge divina, la shari’a; la supremazia va al religioso, non al politico, e le persone non si riconoscono come cittadini, ma come credenti. In passato il problema del mondo islamico era un problema europeo, perché europei erano i Paesi colonizzatori dell’area musulmana. Oggi questo "domino" è passato agli Stati Uniti, mentre i Paesi islamici non hanno ancora elaborato il trauma della colonizzazione – trauma alla base, tra l’altro, anche della difficoltà di questi Paesi a liberarsi dai loro regimi dittatoriali. Tutto è pieno di paradossi: l’Iran degli ayatollah è una repubblica, con elezioni e opposizione, ma con un fondamento religioso; anche l’Arabia ha un fondamento religioso, ma è una monarchia assoluta, senza elezioni e senza opposizioni… Eppure repubblica, monarchia non sono categorie proprie della tradizione islamica, sono figlie anch’esse della colonizzazione occidentale. E il risentimento cova, ovunque. In Afghanistan, dove occorre assolutamente trovare una soluzione politica. In Iraq, dove il grave errore è stato distruggere interamente lo Stato di Saddam – neppure in Germania, dopo la Seconda guerra mondiale, lo Stato è stato distrutto – anziché modficarlo. E soprattutto in Palestina, vera ulcera aperta nel mondo islamico».
«Avvenire» del 9 febbraio 2010