Periodicamente, quasi con una certa
baldanza, alcuni giornali italiani
riportano le critiche feroci che la stampa
britannica fa al nostro paese. Che ci sia al
potere un premier o l’altro, non importa.
Certo, se il governo del momento ha
qualche ambizione a una sua politica
estera, se non dimostra sufficiente
venerazione per la City, allora le critiche
diventano più violente. I britannici
soffrono di un forte senso di superiorità
nei nostri confronti, e ogni tanto lo
devono esprimere, con modalità poco
eleganti, forse perché non gli rimanga
sullo stomaco. La stessa fastidiosa
parzialità si riscontra leggendo svariate
opere di storici britannici, per lo più
accomunate da uno smaccato
nazionalismo e da una altrettanto
caricaturale visione della storia italica in
generale. Ma il bersaglio preferito è la
chiesa cattolica. Anzi: è l’avversione a
essa a trascinare con sé un generale
disprezzo nei confronti del nostro paese.
Ci vorrebbe forse un pool di psicologi,
per comprendere le ragioni profonde di
questa inveterata faziosità. Sarà che sono
isolani? Saranno le origini bellicose,
sassoni e vichinghe? Sarà una forma di
invidia nei confronti dell’Italia che è
stata per secoli la patria dell’arte, delle
università, della scienza? Può darsi. Un
fatto però è certo: all’origine di questo
altezzoso senso di superiorità verso gli
italiani, gli spagnoli, e i popoli cattolici in
generale, c’è soprattutto lo scisma
anglicano, la nascita della chiesa
nazionale inglese, la separazione non
fisica, ma ideale, di un popolo dalla fede
originaria, cattolica, universale.
Uno scisma che fu realizzato dalla
monarchia inglese e dai poteri a essa
alleati, con una strategia mediatica che
farebbe invidia alle dittature moderne,
anch’esse sempre interessate, dalla
Germania nazista alla Russia di Stalin, a
creare obbedienti chiese di stato.
Quando Enrico VIII volle staccarsi da
Roma, infatti, dovette anzitutto “ridurre
al silenzio gli oppositori più
recalcitranti”; “In secondo luogo, la gran
massa della popolazione, spesso restia e
male informata riguardo ai cambiamenti,
doveva essere persuasa ad accettarli e ad
appoggiarli”.
Per questo il sovrano, accanto a una
violenta persecuzione dei cattolici, diede
vita a una vivacissima campagna di
propaganda, contando, per la prima volta
nella storia del paese, sulla neonata
stampa, senza la quale probabilmente lo
scisma anglicano non avrebbe avuto
successo. “L’allestimento di questa
campagna – ricorda Quentin Skinner nel
suo “Le origini del pensiero politico
moderno” (Il Mulino) – fu principalmente
merito di Thomas Cromwell. Durante il
suo ministero furono divulgati quasi
cinquanta libri in difesa dello scisma, in
maggior parte pubblicati da Berthelet, lo
stampatore del re”. Ai vescovi, ai preti,
agli uomini politici o in vista, il sovrano
chiese di schierarsi apertamente: lo
avessero fatto, sarebbero stati premiati
con soldi, potere, vescovadi, parrocchie.
Altrimenti era pronta la persecuzione.
Edward Foxe, Richard Sampson e
Stephen Gardiner furono solo tre dei
tanti ecclesiastici che scrissero, sotto
lusinghe o minacce, libri in difesa dello
scisma, del divorzio e della supremazia
del re sulla chiesa. Libri in cui la
prepotenza del re veniva giustificata alla
maniera protestante, tirando le Scritture
a destra e a sinistra, e denunciando la
“malafede” del Papa, una sua presunta
avversione, di mera natura politica, verso
l’Inghilterra. Che le loro opere, come
quelle di molti altri, fossero dettate dalla
paura e non da reale convincimento, è
dimostrato dal fatto che due dei tre
personaggi citati fecero poi retromarcia e
rinnegarono le loro vecchie posizioni. Ma
la gente, i fedeli inglesi, non sapevano
nulla delle subdole manovre: sentivano i
loro pastori insorgere in blocco contro il
papa, li udivano accusare il Pontefice di
essere un servo della Spagna, l’Anticristo
in persona! Sentivano spiegare, Bibbia
alla mano, che il re è l’unico potere scelto
da Dio, che il suo operato è ingiudicabile,
e che lo stato è al di sopra di tutto.
Ma l’abilità di Cromwell andò oltre:
anticipando di secoli la strategia di
gettare fango attraverso opere leggere e
immediate, commedie e tragedie
popolari, patrocinò generosamente il
teatro anticattolico di John Bale. Più di
venti drammi in dieci anni, in cui
comparivano papi e religiosi sodomiti e
corrotti, attaccati al potere, di contro a un
Enrico VIII fiero, onesto, puro,
profondamente religioso. Accanto ai
saggi teologici, ai drammi per la gente
comune, Cromwell pensò fosse bene
commissionare anche opportuni trattati
politici e opere storiografiche. Il primo,
progenitore di una lunga discendenza, fu
Robert Barnes, che nella sua “Supplica”
cercò di dimostrare come in ogni regno
cristiano la chiesa avesse lottato per
divenire una “forza politica sovversiva”.
Nacque così piano piano l’idea, anch’essa
destinata a grande fortuna, dall’Urss alla
Cina di Mao, che i cattolici, i maledetti
“papisti”, fossero servitori di uno stato
straniero, elementi estranei all’interno di
una nazione coesa, indegni per questo,
per secoli, di qualsiasi carica politica.
Nel frattempo, mentre si arrivava a
presentare l’Inghilterra come il nuovo
“popolo eletto” e il vescovo anglicano
Aylmer giungeva a sostenere che Dio è
inglese, metteva radici il secolare
pregiudizio anglosassone contro il popolo
“papista” per eccellenza: gli italiani.
Francesco Agnoli
Il Foglio 11 febbraio 2010