Nella politica, come nella storia, vi sono
uomini e donne che riassumono
nelle loro persone una concezione della
vita e del mondo. Il nome di Emma Bonino
è, in Italia, il simbolo del laicismo integrale,
come in Spagna lo è divenuto
quello di José Luis Zapatero.
Occorre fare un passo indietro, risalire
agli anni Settanta, quando la marcia
di conquista del Pci si svolgeva attraverso
due linee direttrici: un fronte politico,
rappresentato dallo stesso partito di
Berlinguer, che tendeva la mano ai cattolici,
in nome di un compromesso “aideologico”
e un fronte “sociale”, incarnato
dal partito radicale di Marco Pannella,
che aggrediva ideologicamente,
per estirparle, le radici della morale naturale
e cristiana. Il Muro di Berlino è
caduto, il Pci si è dissolto, ma il processo
di disgregazione morale della società
italiana è continuato in maniera implacabile.
Nessun leader della sinistra rivendica
ufficialmente l’eredità di Gramsci
e di Berlinguer, ma Marco Pannella
ed Emma Bonino, i due protagonisti storici
di tutte le battaglie, proclamano con
orgoglio la loro identità radicale. C’è insomma
un postcomunismo, ma non c’è
un “post- radicalismo”: c’è il laicismo
puro e duro di chi si muove verso orizzonti
trasgressivi sempre più avanzati.
Anche quando ha svolto il ruolo di
Commissario europeo, Emma Bonino non
ha mai dimenticato la sua identità, e certamente
così sarà, se mai dovesse guidare
la regione Lazio. Al settimanale “Panorama”
del 5 novembre 1998, che le
obiettava: “Lei oggi in Europa è importante.
Ma Pannella c’è sempre…”, la Bonino
rispondeva categorica: “Io sono un
gruppo, una storia, la sua”. La storia di
Marco Pannella e del partito radicale: la
storia della “modernizzazione” del nostro
paese attraverso fasi successive e concatenate:
divorzio, aborto, eutanasia, educazione
sessuale obbligatoria, liberalizzazione
della droga, matrimonio omosessuale,
provetta selvaggia: non c’è tappa
del processo di secolarizzazione degli ultimi
quarant’anni che non sia stata fatta
propria da Emma Bonino, nessuna trasgressione
che non sia stata rivendicata
come “conquista civile”.
Giuliano Ferrara ha dunque ragione di
scrivere: “Quella candidatura è un modello
ideologico, un programma di rilancio
della peggiore ipoteca laicista a Roma,
un tentativo di rivincita sulla chiesa
contestata ma non irrilevante del referendum
sulla fecondazione assistita, uno
schiaffo ai vescovi e ai laici del dies familiae;
è anche la definitiva certificazione,
se non combattuta, della marginalizzazione
della chiesa dei movimenti, delle
battaglie culturali all’insegna della difesa
della fede, alleata della ragione, nello
spirito pubblico occidentale.” (Il Foglio,
23 gennaio)
E’ difficile immaginare un personaggio
politico che incarni meglio della Bonino
la negazione dei “valori non negoziabili”
richiamati da Benedetto XVI. Con la Bonino
cade ogni possibilità di compromesso
e di mediazione. Se c’è un nemico
è lì. Ma la chiesa ha nemici? Questo è il
punctum dolens della situazione, emerso
dall’inchiesta del Foglio tra i cattolici di
base.
La malattia spirituale
Il ritornello è sempre lo stesso: non ci
si deve dividere sui problemi etici, né fare
la guerra sulle questioni di principi,
perché chi evoca l’esistenza di uno scontro
lo alimenta. Non importa che la guerra
ideologica sia in corso, sotto i nostri occhi;
della guerra non bisogna parlare,
perché ammetterne l’esistenza significa
doversi schierare ed essere costretti a
combattere. Ma ciò che caratterizza l’odierna
mentalità ecclesiale è proprio il
rifiuto della lotta, l’odio per lo scontro
morale e per la polemica ideologica e
dottrinale.
Nelle polemiche, come in ogni guerra,
anche solo verbale, si alzano i toni, si infliggono
e si subiscono ferite talvolta difficili
a rimarginare, si creano inimicizie
spesso profonde, in una parola si soffre. Il
cattolico di oggi, qualunque posto occupi
nella chiesa, prova istintiva repulsione
verso la sofferenza. La sua filosofia di vita
è il relativismo, che giustifica ogni forma
di edonismo e teorizza il culto dell’io
e dell’appagamento dei propri bisogni, all’interno
di un ordine delle cose secolare
o “mondano” che ha espulso ogni traccia
di sacrificio.
Il sacrificio implica l’idea di verità e di
bene ed è incompatibile con il relativismo
religioso e culturale contemporaneo.
Esso presuppone una mortificazione dell’intelligenza,
che si pieghi alla verità, su
una linea esattamente contraria a quella
della autoglorificazione del pensiero
umano che caratterizza il pensiero moderno
e post-moderno. Le radici di questa
malattia spirituale affondano, come osserva
Francesco Agnoli, nello spirito irenistico
e relativistico, penetrato nella
chiesa conciliare, dimenticando che talora
è necessario opporsi al mondo, seguendo
la via della croce. Il cristianesimo
non concepisce la vita come una festa, ma
come lotta e come sacrificio. Una delle
ragioni della sconfitta dei cattolici nel secondo
Novecento è stata la perdita di
questa visione militante cristiana, incentrata
sullo scontro tra le “due città” agostiniane.
A partire dagli anni Sessanta si
è ritenuto che la causa dell’anticlericalismo
e del laicismo dell’Ottocento e del
Novecento fosse stata l’intransigenza della
chiesa che, condannando il mondo moderno,
ne aveva prodotto la reazione. I
cattolici hanno mutato il loro atteggiamento
verso il mondo moderno, praticando
un falso dialogo, ma il processo di scristianizzazione
non si è arrestato. L’anticristianesimo
è cresciuto al punto che oggi
ci troviamo di fronte a una “cristofobia”
europeista e a una “teofobia” evoluzionista
senza precedenti nella storia. Come
stupirsi se le giovani generazioni ritengano
che la fede sia una questione puramente
personale e che non bisogna dividersi
sui problemi etici, respingendo
ogni tentazione di “fondamentalismo”?
La filosofia soggiacente è quella immanentistica,
che postula l’espulsione del
sacro da tutti gli aspetti della vita sociale
e l’immersione del cristianesimo nel
mondo, con il conseguente assorbimento
di tutto ciò che il mondo esprime. Questa
filosofia della storia si fonda sul mito,
proprio dell’Illuminismo, del mondo diventato
“adulto” che deve liberarsi dei
valori del passato, appartenenti all’infanzia
dell’umanità per accedere ad un livello
di vita pienamente razionale. E’ la
cosiddetta “maturità del mondo” di cui
parlano Bonhoeffer e Rahner. La liturgia,
per il principio lex credendi, lex orandi,
dovrebbe esprimere questo processo di
irreversibile “mondanizzazione” della
realtà e farsi essa stessa, come scrive
Rahner, “liturgia del mondo”.
I cattolici irenisti, che votano la Bonino,
sono gli stessi che rifiutano la rinascita
liturgica avviata dal Motu proprio
“Summorum pontificum” di Benedetto
XVI. Nella Messa tradizionale essi intravedono
l’antitesi del secolarismo, il richiamo
a una concezione trascendente
della vita in cui i fedeli di Cristo si propongono
di “cristianizzare” il mondo e
non di lasciarsi “mondanizzare” da esso.
La Messa, il cuore della vita cristiana,
non è una gioiosa assemblea, ma il rinnovamento
incruento del Sacrificio per eccellenza,
quello di Gesù Cristo sul Calvario.
E c’è ancora chi crede che solo in
quella Croce possa essere la speranza di
salvezza del mondo.
Roberto de Mattei