Tratto da cronache di Liberal [2] del 10 febbraio 2010
Foiba: dal latino fovea, fin da quando nel 1770 il naturalista Alberto Fortis lo propose in un suo studio, è un termine usato in geologia per indicare un tipo di voragini tipico del Carso e dell'Istria.
A forma di imbuto rovesciato, profonde fino a 100 metri, e dovute a un terreno con rocce ad alto contenuto di carbonato di calcio, che la pioggia e i corsi d'acqua sotterranei fanno fondere facilmente. Poi arrivò la Seconda Guerra Mondiale, in cui tutta la Jugoslavia si riempì di fosse comuni. Alternativamente, a seconda degli esiti bellici, vi furono gettati serbi e croati, ebrei e musulmani, comunisti e monarchici, collaborazionisti e partigiani: un truce sport che la regione aveva ereditato dal fosco periodo ottomano, e che le vicende delle guerre in cui poi negli anni '90 la Jugoslavia è andata in pezzi hanno poi dimostrato essere di nuovo tornato di moda, non appena se ne è avuta l'occasione. In Istria e in Venezia Giulia foibe e miniere di bauxite risparmiarono ai carnefici non solo la fatica di scavare, ma spesso anche quello di sparare, visto il gran numero di vittime che vi furono gettate ancora vive. A volte, seguendo un barbaro rituale balcanico, prima di richiudere queste infernali tombe, i titini buttavano nel mucchio dei morti e dei moribondi un cane nero vivo. Perché, secondo le ataviche superstizioni slave, latrando in eterno togliesse per sempre alle anime dei trapassati la pace dell'aldilà.
Quante furono le vittime? Giovanni Bartoli, l'ex-sindaco di Trieste che nel 1959 dedicò alla questione il primo studio storico particolareggiato, ne indicò 4122. Nel 1983 il giornalista Antonio Pitamitz, in un'inchiesta sul mensile Storia Illustrata, pubblicò un nuovo elenco con 4361 nomi: 2916 civili, 242 Guardie di Finanza, 309 Guardie di Pubblica Sicurezza, 94 Carabinieri, 86 Guardie Civiche, 51 partigiani, 663 militari della Repubblica Sociale Italiana. Lo storico inglese Richard Lamb nel suo libro del 1996 La guerra in Italia 1943-1945 scrisse: «Non appena liberata Trieste, Tito aveva cominciato ad ammassare truppe nella zona comprendente la stessa Trieste, Monfalcone, Gorizia, Gemona e Cividale, instaurandovi un governo tutto jugoslavo. Tra il primo maggio e il 12 giugno le formazioni militari titine presero in consegna nella regione 4678 civili italiani, i quali scomparvero senza lasciar traccia, quasi tutti fucilati nottetempo». In questa stima sono però esclusi i militari; e le vittime del resto dell'Istria, Dalmazia e Venezia Giulia; e le vittime del periodo compreso tra l'8 settembre ed il primo maggio 1945. Il Centro Studi Adriatici ha contato dunque 10. 137 nomi. Giampaolo Pansa nel suo Sangue dei vinti ha stimato 15. 000 vittime. E non manca, specie nella pubblicistica di estrema destra o in quella dei profughi, chi arriva a 30. 000 morti.
Non tutte le vittime furono però «infoibate»: macabro neologismo nato anch'esso con la Seconda Guerra Mondiale. Ci fu chi morì in campo di concentramento, e ci fu chi morì durante le massacranti marce verso questi campi. Mario Pacor è uno storico triestino che era stato partigiano comunista e giornalista de l'Unità, e la cui morte nel 1984 è anteriore al ritorno di interesse storiografico per questa vicenda che ci fu a metà degli anni '90: basandosi su documenti dei Vigili del Fuoco di Pola, sostenne che nelle foibe istriane erano finite dopo l'armistizio dell'8 settembre tra le 400 e le 500 persone, mentre altri 4000 italiani erano stati deportati, in gran parte uccisi in procedimenti sommari e in seguito finiti in gran parte in foibe anch'essi. Ma, appunto, sono i dati del solo 1943. La Commissione storica italo-slovena che su iniziativa dei due ministeri degli Esteri ha esaminato i rapporti tra i due Paesi tra il 1880 e il 1956, ha stimato i morti nell'ordine delle "centinaia": ma limitandosi alle sole esecuzioni sommarie, e senza considerare l'attuale territorio croato. Raoul Pupo, docente di Storia Contemporanea a Trieste e considerato uno dei massimi esperti del tema, parla di 5000 morti. Il goriziano Guido Rumici è invece insegnante di Economia Aziendale e ricercatore di economia regionale, ma si è anche occupato dell'esodo istriano con libri che hanno ottenuto premi e riconoscimenti: lui parla di 6000 vittime, che diventano 11. 000 considerando anche i desaparecidos nei lager jugoslavi.
Ci sono poi gli autori che Pupo taccia di "negazionisti", come Giacomo Scotti o Claudia Cernigoi, che però dal punto di vista tecnico non negano il fatto che della gente sia stata «infoibata». Dicono però che da una parte il fenomeno è stato gonfiato. Dall'altra, che alcune foibe furono in realtà riempite dalle rappresaglie fasciste: Scotti ha anche pubblicato testimonianze da cui risulterebbe che sarebbe stato il nazionalismo fascista il primo a minacciare l'uso delle foibe agli slavi. Senza però che tali prove arrivino a dimostrare che il linguaggio usato in certi giornali negli anni '20 o '30 si sia poi effettivamente trasformato in macabri fatti... Più in generale, è oggi generalmente ammesso che la politica di snazionalizzazione forzata praticata dal fascismo in Venezia Giulia e Istria e l'aggressione italiana abbiano contribuito potentemente a esasperare una situazione che comunque era già esaperata dai tempi in cui il potere austriaco aveva giocato italiani e slavi gli uni contro gli altri, in una logica da divide et impera. La Croazia post-titina pur duramente anticomunista considera ufficialmente il fenomeno delle foibe come una "vendetta", sia pure estrema, per i torti subiti. E un personaggio certamente anti-comunista come Indro Montanelli, da ex-ufficiale reduce della guerra in Jugoslavia parlando dell'altra storia di Porzûs, scrisse ad esempio nel 1996 sul Corriere della Sera: «Porzûs è una delle tante malandrinate che ho continuato a denunziare per venti anni, quando era pericoloso farlo. Seguitare a farlo oggi, non solo non serve a nulla, se non a tenere acceso il fuoco dei reciproci rancori; ma può anche diventare imbarazzante perché di Porzûs, nell'allora Jugoslavia, ne abbiamo fatto qualcuno anche noi italiani».
La vicenda, però, è più complessa delle semplici contrapposizioni italiani-slavi, fascisti-antifascisti, comunisti-anticomunisti. E anche della semplice questione degli infoibiati e assassinati in altro modo. Su una popolazione complessiva di 773. 119 persone, durante la Seconda Guerra Mondiale, i morti giuliani, istriani e dalmati furono 23. 735, cioè il 3, 07%. Ciò, in rapporto a una media nazionale dell'1%. E più di 380. 000 persone abbandonarono le loro case e le loro terre. Dei 66. 000 abitanti di Fiume ne partirono 58. 000. Dei 40. 000 di Pola se ne andarono 36. 000. Dei 21. 000 di Zara, 15. 000. Tra questi profughi che se ne andarono per il mondo vi furono, accanto ad una maggioranza di italiani, anche 50. 000 croati. E 10. 000 tra questi scelsero di man tenere la nazionalità tricolore, rimanendo nella Penisola. La stampa comunista, in Italia, cercò di presentare gli esuli come «fascisti e capitalisti in fuga dal giusto castigo». Istigati da questa propaganda, aVenezia i portuali comunisti riempirono di fischi e sputi i poveretti che sbarcavano dalla prima nave in arrivo da Pola. Ed a Bologna si bloccò con uno sciopero la distribuzione di pasti caldi agli esuli da parte della Pontificia Opera di Assistenza. È soprattutto il trauma di questa "accoglienza" a spiegare il paradosso per cui tanti istriani, esuli in nome dell'italianità, si stabilirono poi all'estero. In realtà, dal punto di vista sociale i proprietari, tra gli esuli, non erano che il 7, 7%, i liberi professionisti il 5, 7% ed i dirigenti ed impiegati un altro 17, 6%. Contro il 47, 6% di operai ed il 23, 4% di anziani ed inabili.
Lungo è anche l'elenco di antifascisti e partigiani infoibati. Tra essi, tre membri del Cln di Trieste; due di quello di Fiume; Vinicio Lago, ufficiale di collegamento della Brigata Osoppo; Enrico Giannini, del Corpo Italiano di Liberazione. Allucinante la sorte di Angelo Adam, un ebreo e repubblicano storico che finì infoibato dopo essere stato confinato a Ventotene ed essere scampato anche al lager di Dachau: sua moglie e sua figlia minorenne, arrestate per essere andate a chiedere informazioni sulla sua sorte, furono fatte scomparire a loro volta. Teobaldo Licurgo Olivi, membro socialista del Cln di Gorizia, fu arrestato dagli jugoslavi il 5 maggio 1945 e fucilato a Lubiana il 31 dicembre successivo. Di Augusto Sverzutti, membro dello stesso Cln per il Partito d'Azione e arrestato assierme a lui, si sa che era ancora vivo e detenuto nel 1949. Poi, il mistero. Né mancarono quei comunisti cui l'ideologia non aveva impedito di rimanere fedeli al superiore ideale patriottico. Tra questi, spicca il nome di Rocco Cali, un combattente della Brigata Garibaldi Natisone. Fu assassinato a Rovigno d'Istria nel maggio 1945 perché, anche dopo la decisione del Pci di far passare l'unità alle dipendenza del IX Corpus sloveno, aveva rifiutato di togliere la coccarda tricolore che sempre portava accanto alla bandiera rossa. Ma furono sterminati anche i lader del Partito Autonomista Fiumano, che sognavano uno Stato indipendente sia dall'Italia che dalla Jugoslavia: Mario Blasich, strangolato nel suo letto di paralitico; Giuseppe Sincich; Mario Skull; Giovanni Baucer; Mario De Hajnal; Giovanni Rubinich... E furono anche uccisi un bel po'di slavi non comunisti: Ivo Bric, antifascista cattolico; Vera Lesten, poetessa e antifascista cattolica; i quattro membri della famiglia Brecelj; i sacerdoti don Alojzij Obit, don Lado Piscanc, don Ludvik Sluga, don Anton Pisk, don Filip Tercelj, don Izidor Zavadlav di Vertoiba... Andrej Ursic era stato addirittura un membro del Tigr: gruppo armato che dagli anni '20 aveva iniziato una lotta terrorista contro le autorità italiane, contro l'annessione all'Italia di Trieste, Istria, Gorizia e Fiume (le cui iniziali in lingua slava costuituivano l'acronimo del nome della belva richiamata nel nome). Ma fu sequestrato dalla polizia segreta jugoslava il 31 agosto del 1947, sottoposto a sevizie, probabilmente ucciso nell'autunno del 1948, e il suo cadavere gettato in una delle foibe della Selva di Tarnova. Esemplare fu anche la violenza simbolica con cui le vittime venivano colpite, avendo cura che si sapessero i macabri particolari. Don Angelo Tarticchio, parroco di Villa di Rovigno, fu gettato nella foiba con i genitali in bocca ed una corona di spine sulla testa. Giuseppe Cernecca fu lapidato con le pietre che lui stesso era stato costretto a portare in un pesante sacco sul luogo dell'esecuzione. I fratelli Luxardo, industriali del maraschino a Zara, furono buttati in mare con una pietra legata al collo. Norma Cossetto, studentessa rea di stare preparando una tesi di laurea sull'italianità dell'Istria, fu violentata e poi infoibata con i seni amputati.
La sinistra italiana non comunista, va ricordato, denunciò subito quel che stava accadendo. Al Comitato di Liberazione Nazionale Alta Italia furono memorabili le liti sul confine orientale tra l'azionista friulano Fermo Solari e il comunista Luigi Longo. E fu Ferruccio Parri, come Presidente del Consiglio, a denunciare all'opinione pubblica mondiale come l'occupazione titina di Istria e Venezia Giulia avesse provocato la scomparsa di «almeno 8000 italiani». Poi, tra 1946 e 1948, la polemica ebbe parte nella più generale campagna dei partiti anticomunisti. Ma in seguito il dramma fu messo in sordina, per i tre motivi essenziali che lo storico Gianni Oliva ha riassunto nel suo libro del 2003. Primo: la rottura tra Tito e Stalin del 1948, che spinse tutto il blocco occidentale a sostenere il regime jugoslavo in funzione antisovietica. Secondo: il continuato silenzio del Pci, che comunque non aveva interesse a evidenziare le proprie contraddizioni sulla vicenda e le proprie subordinazioni alla volontà del comunismo internazionale. Terzo: l'interesse comunque dello Stato italiano a sorpassare tutto il capitolo della sconfitta nella Seconda Guerra Mondiale, accreditandosi grazie a partigiani e Corpo Italiano di Liberazione come parte della coalizione vincitrice del conflitto, e allo stesso tempo glissando sulle richieste di estradizione di nostri concittadini per i crimini di guerra loro imputati all'Estero. Sostanzialmente, fu l'orgia di ferocia che accompagnò la dissoluzione della Jugoslavia a creare una sindrome del «ma allora era vera anche la storia delle foibe!». Ma è pure vero che dopo Bosnia e Ruanda è cresciuta in tutto il mondo la consapevolezza sul fenomeno genocidio, e l'interesse per le analoghe tragedie del passato.