DISCERNERE

Uno sguardo profetico sugli eventi

Il Popolo degli invisibili. Crescono i senza dimora - Anche molti padri separati




Da Avvenire del 2 Febbraio 2010

Il popolo degli invisibili sta cambiando. Certo, nessuno sa con precisione quanti siano i senza dimora e, in attesa del censimento organizzato da Istat e Caritas italiana, si deve credere alle stime. Secondo le più recenti, sono centomila gli homeless in Italia tra connazionali e stranieri. Di certo si sa che il freddo che avvolge la penisola dalla fine di novembre ne ha uccise finora 13 (l’ultimo ieri, un romeno nel Veneziano). Un inverno duro, che come ogni anno ha colpito i più deboli. Dalle viscere delle città, come denunciato da più associazioni, emergono cambiamenti, contraccolpo delle crisi. Primo, la presenza crescente tra gli italiani, di padri di famiglia separati, sulla strada nonostante lavorino. E poi l’aumento dei cinesi in coda per un pasto caldo e una coperta.

«La presenza dei padri separati – spiega Paolo Pezzana, presidente della Fiopsd, la federazione degli organismi che aiutano i senza dimora, soprattutto Caritas diocesane e assessorati ai servizi sociali – non è una novità, le nostre antenne segnalano da anni l’aumento costante di persone che sono finite sulla strada per una separazione». In generale, il popolo della strada è spesso segnato da un trauma familiare.

«Il clochard – chiarisce Pezzana – associa i problemi psichici alla perdita del lavoro dovuta magari a un forte esaurimento, alla dipendenza da alcol o altre sostanze stupefacenti. La novità è che accanto a questo disagio sta invece crescendo la povertà di chi non riesce ad arrivare a fine mese per colpa di un divorzio. Soprattutto padri di famiglia; 40-50enni che, una volta che il giudice ha assegnato l’alloggio alla madre, cui è andata la custodia dei figli, devono trovarsi un alloggio e versare metà stipendio per mantenere la prole. Se non si ha un reddito elevato, non si può reggere questo tenore di vita. Così, per un divorzio, spesso non si arriva a fine mese e si è costretti a mettersi in fila alle mense di carità per riuscire a mangiare. Solo che non è facile reggere psicologicamente e tenersi un lavoro se si dorme in auto o da amici. La tenuta della famiglia è fondamentale per prevenire la caduta sulla strada».

A Milano, città dove è stato lanciato l’allarme padri separati poco dopo Natale, la Comunità di Sant’Egidio dispone di una unità mobile di strada. La metropoli rappresenta da sempre un punto di osservazione privilegiato sul popolo della strada. Conta circa 5.000 senza dimora e dispone di almeno una decina di mense di carità religiose e altrettante unità mobili di strada
«Girando per il centro spesso ci imbattiamo in italiani di mezza età – racconta Ulderico Maggi, responsabile dell’unità mobile dei santegidini milanesi – e nel coordinamento delle unità di strada che convochiamo abbiamo gli stessi riscontri dagli altri».

Maggi ricorda, ad esempio Antonio, impiegato milanese di 45 anni circa, che fino a poco tempo fa dormiva nei pressi della stazione di Cadorna. «Lo abbiamo seguito – spiega Maggi – e dialogando con pazienza abbiamo capito che aveva lasciato moglie e figli. Sulla strada non è riuscito a conservare il suo lavoro d’ufficio ed era completamente annichilito. Gli abbiamo dato abiti coperte e viveri, ma non voleva muoversi da lì. Poi non l’abbiamo più visto, penso che sia ritornato a casa».

Sant’Egidio e tutti gli altri operatori registrano la crescita dei cinesi, che resta per molti aspetti un mistero. Perlopiù giovani, espulsi dal circuito dei laboratori clandestini in seguito alla crisi e ai maggiori controlli delle forze dell’ordine. «Di loro si sa molto poco – conclude Maggi – perché in pochi parlano inglese. Vivono sparsi nella metropoli e arrivano a gruppi presso i centri di accoglienza o alle unità mobili per ritirare generi di prima necessità».

«Da anni – conferma Raffaele Gnocchi, responsabile del Sam, servizio di accoglienza della Caritas ambrosiana – registriamo l’arrivo di una quota di uomini che una volta si sarebbero definiti normali. Non sono molti, non hanno redditi elevati, ma in alcuni casi abbiamo dovuto occuparci persino di dipendenti di enti pubblici, di mezza età finiti, sulla strada per le conseguenze economiche e psicologiche di un divorzio».

A Firenze in questi giorni preoccupano le condizioni di intere famiglie dell’Europa dell’Est sgomberate da palazzi dismessi del centro. «Ed emerge il problema dei separati – commenta il direttore della Caritas Alessandro Martini –, che cominciano ad arrivare nei centri. L’impressione è che sia la punta di un iceberg che sta per affiorare». L’organizzazione diocesana gestisce l’accoglienza invernale, per conto del Comune, di 250 senza dimora, ne restano altrettanti fuori, perlopiù giovani. E registra che dalla vicina Prato arrivano senza dimora cinesi. «Sono in espansione, dopo la crisi e il giro di vite sui laboratori clandestini. Sono soprattutto giovani, saranno in tutto una cinquantina e temiamo che rappresentino la prossima emergenza».

Infine, la capitale, le cui viscere sono state raccontate dallo scrittore Gabriele Del Grande nel libro Roma senza dimora, viaggio di 20 giorni tra i seimila homeless sulle strade romane. «Tre vecchi "randagi" mi hanno accolto alla stazione Termini e, una volta rivelato il mio scopo, mi hanno aiutato a sopravvivere per tre settimane. Sulla strada non si finisce per povertà materiale, almeno gli italiani, ma per la solitudine. Soprattutto per l’allentarsi delle reti di solidarietà familiari. Il problema è quando non si ha più un luogo dove tornare. E questo è sempre più vero nelle nostre città dove un affitto è inaccessibile per un precario o un lavoratore con salario basso, per giunta dimezzato da una separazione.

Al resto basta aggiungere un momento di debolezza, di depressione. Mi preoccupa pensare quanti cinquantenni separati siano a rischio. Poi ci sono le dipendenze da alcol e da droghe che ti azzerano i legami sociali e ti ritrovi seduto sull’asfalto senza sapere bene come». E senza che tu abbia scelto di viverci.

Paolo Lambruschi


Ma c’è chi riesce a uscire
la storia


Un’associazione milanese, nata in una parrocchia, accompagna un gruppo di «barboni» a recuperare una vita normale

S
appiamo dai centri di ascolto che ogni anno il popolo della strada purtroppo si rinnova per il 30%. Almeno un terzo dei suoi com­ponenti fino a 12 mesi fa aveva una famiglia o un’occupazione. Ma le sti­me si occupano molto poco dei per­corsi di uscita. Se infatti c’è chi muo­re o chi semplicemente cambia città, almeno un quarto del totale riesce a migliorare trovando un alloggio. Dif­ficilmente questi percorsi sono piani­ficati dai servizi sociali pubblici, in li­nea di massima si tratta di persone prese in carico dal volontariato e dal­le parrocchie con progetti individua­li che riportano queste persone a con­dizioni di vita accettabili. I tagli al wel­fare li stanno limitando, ma resistono le esperienze condotte con piccoli gruppi, come quella dell’associazio­ne ' Effatà apriti', nata presso la par­rocchia di San Luca a Milano, zona Città Studi. Sotto la chiesa disegnata dall’architetto Gio Ponti, ogni martedì sera dal 1984 si ritrovano a cena una ventina di volontari e altrettanti clo­chard italiani e stranieri. « Nasce da lì un rapporto di amicizia e fiducia – rac­conta Francesco Corda, il fondatore – con persone cui proponiamo percor­si di recupero » . Accanto alla parroc­chia l’associazione dispone infatti di un appartamento concesso in como­dato un alloggio con quattro posti let­to, appena ristrutturato. Vengono o­spitate persone con oltre 60anni di età segnalate dai servizi sociali. Di qui ne sono passate 250. « In diversi casi – prosegue Corda – dobbiamo affron­tare problemi di fragilità psichica o di­pendenza. Ma la causa vera è la soli­tudine » . Il recupero parte dal ritorno a una vita di comunità. Cena a orari fissi, niente alcol, sveglia presto alla mattina. Chi lo desidera può recarsi al vicino centro diurno dell’associa­zione dove si presta l’assistenza ne­cessaria per ottenere documenti op­pure la pensione, diritti che in strada molti dimenticano di avere. Un ac­cordo con l’Aler, l’ente case popolari, ha portato da qualche anno ad Effatà alcuni alloggi per l’autonomia. «Spes­so facciamo la spesa a chi non arriva a fine mese – conclude Corda – e al sabato mattina ci si ritrova in parroc­chia per leggere insieme il Vangelo della domenica » . Effatà offre un ulti­mo servizio ai suoi amici. Accompa­gna al funerale gli ospiti che, perduta la famiglia, farebbero da soli anche l’ultimo viaggio. ( P. Lam.)