Il kibbutz, l'istituzione che ha rappresentato una delle principali basi sociali dello Stato d'Israele, compie un secolo. Bisogna anche dire che dimostra tutti i suoi anni, dal momento che è, a partire dagli anni Ottanta, in grande declino, e che i kibbutzim (plurale di kibbutz) sopravvissuti alla crisi hanno mutato radicalmente sia il loro carattere collettivistico sia il loro tipo di produzione.
Per risalire alle origini del kibbutz, bisogna tornare all'inizio del XX secolo, non al contesto europeo da cui è uscito il progetto sionista di Herzl, ma a quello russo: a fine Ottocento, circa cinque milioni di ebrei, privi di possibilità di emancipazione politica, ristretti nelle possibilità di movimento, sottoposti a ondate di pogroms sanguinosi. All'ondata di violenze che avevano colpito le comunità ebraiche dopo l'assassinio dello zar Alessandro ii nel 1881, gli ebrei avevano risposto con l'elaborazione di un progetto di rinascita nazionale in terra d'Israele, appunto il sionismo. Il libro di Leo Pinsker, Autoemancipazione, è del 1882, precedendo quindi di oltre dieci anni Lo Stato degli ebrei di Theodore Herzl. Pinsker fu l'ispiratore di un gruppo di giovani sionisti, "Gli amanti di Sion", molti dei quali si trasferirono in terra d'Israele, allora ancora parte dell'impero Ottomano, dedicandosi all'agricoltura e fondando il primo insediamento agricolo ebraico, Rishon le Tzion. Era la prima Aliya (immigrazione, in ebraico "salita").
Nulla di rivoluzionario, però, nella struttura sociale creata, con fattorie individuali coltivate da mano d'opera araba. Fu proprio dalla critica di questa prima forma di insediamento che nacque il progetto del kibbutz. A dar vita ai primi kibbutzim sono membri della seconda Aliya, giovani russi in fuga dai pogroms degli anni fra il 1903 e il 1906. Sono giovani socialisti, che vogliono portare nel nuovo mondo che stanno creando i principi della giustizia sociale e dell'uguaglianza, che vogliono combattere la proprietà privata come fonte di ogni male. Ne nasce il kibbutz, fattoria agricola collettiva fondata sull'adesione volontaria e governata da un'assemblea, in cui nulla era di proprietà dei membri del kibbutz, in cui si lavorava e si produceva in comune - questa volta non erano gli arabi a lavorare la terra, ma i membri del kibbutz - e in cui la vita stessa era organizzata su basi collettive: la moneta non vi aveva valore, i pasti erano consumati in comune, e nei primi anni anche i bambini vivevano collettivamente, fuori dalle famiglie.
Nonostante la sua impostazione socialista, di origine europea, il kibbutz nasce in terra d'Israele, come adattamento dei principi socialisti alla pratica del lavoro e alle caratteristiche stesse della terra, che non era di proprietà di nessuno in particolare, ma del popolo ebraico tutto, dal momento che veniva acquistata con le collette compiute fra gli ebrei di tutto il mondo. Il primo kibbutz fu Degania (in ebraico "il villaggio dei cereali"), fondato appunto cent'anni fa, nel 1910, in Galilea, sulla sponda meridionale del lago di Tiberiade, a opera di dodici giovani ebrei russi, di cui due donne. Uno di loro, Yoseph Baratz, avrebbe in seguito scritto la storia di quell'impresa. A Degania, che già nel 1914 aveva 50 membri, seguirono altri kibbutzim, sempre più grandi. Ein Harod, fondato nel 1921, nasce già con 250 membri. I kibbutzim sono una cinquantina nel 1940, 200 nel 1948, 250 nel 1980. Fino alla fine degli anni Cinquanta esclusivamente agricoli, essi rappresentano una fetta consistente dell'economia nazionale, anche se sono accompagnati in altri settori da un'economia di tipo tradizionale, e fin da cooperative agricole in cui è collettivizzato solo il commercio ma non la produzione, i moshavim (plurale di moshav). Molto legati nei primi anni ai partiti operai e fortemente laici, essi sono affiancati negli anni Trenta dai kibbutzim religiosi, espressione di un'ala radicale del sionismo religioso.
Il kibbutz entra in crisi con le trasformazioni sociali ed economiche che coinvolgono il Paese a partire dalla fine degli anni Ottanta, ma anche con il declino in Occidente dell'ideologia socialista e collettivistica. Molti dei kibbutzim tuttora in vita si sono privatizzati in tutto o in parte, oltre a mutare genere di produzione, dedicandosi alla produzione di prodotti selezionati, come la frutta, e al commercio. La stessa Degania, patria di molti personaggi famosi tra cui Moshe Dayan, si è privatizzata nel 2007. La celebrazione del centenario della nascita del kibbutz punta, nell'intenzione del movimento dei kibbutzim che lo ha organizzato, a dar nuova vita all'istituzione, a favorire l'accesso di nuovi membri, a rivitalizzare insomma questa esperienza unica nella storia del mondo: istituzioni collettivistiche fondate su basi totalmente volontarie e organizzate democraticamente, senza costrizioni o limiti alla libertà delle persone. L'unico esperimento mai riuscito di collettivizzazione del lavoro e della vita degli esseri umani.
(©L'Osservatore Romano - 8-9 febbraio 2010)