Uno studio appena pubblicato dal
mensile Science dimostra come
almeno un terzo dell’aumento delle
temperature globali verificatosi tra il
1990 e il 2000 non sia affatto legato alle
emissioni di anidride carbonica
prodotte dalle attività umane ma all’aumento
del vapore acqueo presente
nella stratosfera, vale a dire là dove
le attività umane non hanno alcun potere
di influenza. La ricerca, condotta
da Susan Solomon, indica inoltre nella
diminuzione di vapore acqueo nella
stratosfera dopo il 2000 la possibile
spiegazione del rallentamento nella
crescita delle temperature globali.
E’ un nuovo colpo assestato alla teoria
del riscaldamento planetario provocato
dall’uomo, e un ulteriore tassello
di quello che è ormai noto come
“Climagate” (vale a dire la manipolazione,
da parte di professionisti dell’accreditamento
dell’effetto serra, dei
dati sul clima). Solomon e colleghi
non si spingono fino al punto di negare
decisamente un effetto delle attività
umane nei cambiamenti climatici.
Ma nello studio pubblicato su
Science si chiede comunque per il futuro
“un esame più attento”, nei modelli
climatici, del ruolo del vapore
acqueo, i cui cambiamenti si sono verificati
nello strato a sedici chilometri
d’altezza, quello in cui più forte è il loro
effetto sul clima terrestre. Un effetto
già noto da tempo, ma che ora la ricerca
del Nooa, per la prima volta,
quantifica e mette in relazione con le
variazioni del clima degli ultimi tre
decenni.
Il Foglio 10 febbraio 2010