DISCERNERE

Uno sguardo profetico sugli eventi

IL TOMISTA IN GIALLO. Ralph McInerny, un filosofo coi fiocchi salito in cattedra come romanziere

di Marco Respinti

Nel giugno del 1994 ebbi il privilegio
d’intervistare Josef Pieper
(1904-1997). Il contesto era una di quelle
cose che solo gli statunitensi riescono
a fare, tre settimane di corso intensivo
per future leaders (oltre l’Atlantico
impazziscono per queste formule)
alle radici della cultura occidentale
in quel di Eichstätt, nel cuore
della Baviera, affinché i figli del Nuovo
e del Vecchio Mondo imparassero
chi davvero sono e mai se ne scordassero.
La regia era di John M. Haas, ex
luterano amico dell’altrettanto ex luterano
don Richard John Neuhaus
(1936-2009) e allievo di Pieper, fondatore
dell’International Institute for
Culture di Filadelfia, allora una struttura
pionieristica oggi un vero fiore all’occhiello,
con l’astrofisico nonché
monaco benedettino Stanley L. Jaki
(1924-2009) che officiava messa quotidiana
al canto del gallo e poi giù ore e
ore di lezioni alla scuola dei migliori
su piazza. Intervistai Pieper iniziando
più o meno con un piuttosto telefonato
“lei, che è uno dei maggiori tomisti
viventi…”. Pieper mi fermò, gentile e
deciso. “Io sono uno che cerca di filosofare
alla scuola di san Tommaso
D’Aquino. I tomisti sono un’altra cosa”.
Già, i tomisti sono proprio un’altra
cosa, tanto che in alcuni loro anfratti
di formalismo intellettuale sono
persino riusciti a trasformare il Dottore
Angelico in una ennesima lettera
che uccide lo spirito di cui proprio
non si sente il bisogno.
Il 29 gennaio se n’è andato un altro
grande personaggio che cercava, umile
e serio come Pieper, “soltanto” di filosofare
alla scuola di san Tommaso
d’Aquino. Ralph McInerny, nativo di
Minneapolis (una delle due famose
città gemelle del Minnesota), avrebbe
compiuto 81 anni il 24 febbraio, e la
sua età se la portava dietro benone,
pur acciaccato com’era da quel cancro
all’esofago che se l’è portato via.
Formatosi nel Seminario di St.
Paul (l’altra città gemella), si laurea
in Filosofia all’Università del Minnesota
e si addottora alla facoltà di Filosofia
dell’Université Laval di Québec,
il più antico ateneo del Canada e
il primo in America settentrionale a
offrire educazione superiore in francese.
Poi dal 1955 e fino al giugno
2009, insegna alla University of Notre
Dame (a rigore Notre Dame du Lac)
di South Bend, sobborgo d’Indianapolis.
Un campus splendido “Notr-
Dèim”, come dicono là, e una gloria
della storia del cattolicesimo statunitense,
eccellente soprattutto per gli
studi filosofico-teologici. Ovvio, prima
che il post Concilio Vaticano II, con
cui McInerny se l’è presa seriamente,
s’infiltrasse pure in quei luoghi, epperò
senza mai spegnere totalmente
l’eco di una tradizione sontuosa che
proprio tipi come il defunto discepolo
americano dell’Aquinate hanno saputo
tenere desta e ravvivare. McInerny,
ivi docente per oltre mezzo secolo,
è tutt’uno con Notre Dame.
Quando l’università fu fondata, nel
1842, attorno vi era praticamente il
nulla, francesi a parte. Il territorio su
cui venne eretta lo donò l’episcopio
di Vincennes, oggi arcivescovado d’Indianapolis,
a padre Edward Sorin
della congregazione della Santa Croce
solo perché questi aveva promesso
di farvi un college. Era terra di missione,
quella, e i mon-pères furono i
primi a scolarizzare gli indiani. Notre
Dame è poi divenuta un rosario di
successi, dalle squadre sportive dei
“Fighting Irish” (là “irlandese” è
spesso stato sinonimo di “cattolico”),
il Leprecauno boxeur come simbolo,
all’influenza esercitata da Orestes A.
Brownson (1803-1876): il massimo filosofo
dell’Ottocento americano, uno
che dalla vita non si è fatto negare
nulla e che nella vita ha fatto di tutto
ma proprio di tutto, trascendentalista,
prete spretato, protestante di ogni obbedienza
e infine convertito cattolico
devoto ai santi e a Maria, intellettuale
finissimo, “nordista” del New England
amico dei “sudisti”, vero conciliatore
nazionale con quel suo insuperato
“La repubblica americana: costituzione,
tendenze e destino” (trad.
it. a cura di Dario Caroniti, Gangemi,
Roma 2000), cultore Joseph de Maistre
e di Juan Donoso Cortés, riscoperto
nel Novecento da Arthur M.
Schlesinger a sinistra e da Russell
Kirk a destra. Le spoglie mortali di
Brownson riposano a Notre Dame,
nella chiesa neogotica del Sacro Cuore,
ma pochi se ne ricordano. Chissà
quante volte le ha visitate McInerny.
A Notre Dame, nel 1977, McInerny
assunse la cattedra di Studi medioevali
intitolata al businessman Michael
P. Grace (1842-1920), per sette anni ne
diresse il “Medieval Institute” e dal
1979 al 2006 ha lì presieduto il Jacques
Maritain Center. Ovvero il maritainismo
conservatore si chiama McInerny.
Presidente dell’American Catholic
Philosophical Association, della Metaphysical
Society, della American
Maritain Society e della Fellowship of
Catholic Scholars, membro della Pontificia
Accademia di San Tommaso
d’Aquino, George W. Bush lo ha voluto
nel Committee on the Arts and the
Humanities presidenziale e lui, dei
molti riconoscimenti e premi internazionali
ricevuti, ha menato vanto soprattutto
del Bouchercon Lifetime
Achievement guadagnato nel 1993 per
i suoi romanzi di mystery (traducetelo
come riuscite questo, che più che un
vocabolo è una evocazione).
Già, perché McInerny è stato anche
un favoloso raconteur (adorava il francese,
le sue lezioni e conferenze le voleva
chiudere sempre con una frase o
francese o latina). A taluni è addirittura
noto solo per questo. Navigate le
pagine di www.fantasticfiction.co.uk,
che raccoglie le biografie di venticinquemila
autori di genere, e vedrete
apparire il suo volto professorale alla
testa di decine e decine di libri gialli,
thriller metafisici e novelle di fantascienza.
Marito per 48 anni di Connie,
defunta nel 2001, padre di sei figli e
nonno di quasi venti nipoti, il filosoforomanziere
ha creato i cicli di avventure
di don Dowling, Andrew Bloom e
Suor Mary Teresa, le “Cronache del
Rosario” (due libri scritti, a ottant’anni
suonati, appositamente per “rispondere”
alle frescacce di Dan
Brown) e i polizieschi ambientati a
Notre Dame, riempiendone circa 80
volumi firmati anche con pseudonimi,
Monica Quill ed Edward Mackin. Un
modo accattivante, il suo, di usare l’Fbi
per parlare dei miracoli o le investigazioni
per dibattere della crisi
della liturgia. Se n’è accorta persino
la produzione televisiva.
I suoi libri di filosofia (ma anche di
altro, poesia, per esempio) sono una
quarantina, “Thomism in an Age of
Renewal” (1969), “Miracles: A Catholic
View” (1986), “The Question of Christian
Ethics” (1993), “Aquinas and
Analogy” (1999), “Praeambula fidei:
Thomism and the God of the Philosophers”
(2006), la biografia “The Very
Rich Hours of Jacques Maritain”
(2003) e l’autobiografia “I Alone Have
Escaped to Tell You: My Life and Pastimes”
(2006) tra i più importanti.
Fondatore a New York del mensile
cattolico di opinione “Crisis”, uno dei
più prestigiosi, e di “Catholic Dossier”,
altra ricca testata, non si vergognava
affatto a farsi dare dell’apologeta:
va detto, poiché molti accademici
cattolici invece ne arrossiscono al
sol pensiero. Del resto, sull’Osservatore
Romano del 22 giugno 2008, il cardinale
William J. Lavada, prefetto della
congregazione per la Dottrina della
fede, ha tranquillamente detto, all’indirizzo
del complesso ma importante
lavoro svolto dal filosofo americano,
che la società secolarizzata del relativismo
attuale “ha bisogno di un’apologetica
rinnovata”. Nessuno ha del
resto dimenticato le partecipazioni di
McInerny al programma tivù “Firing
Line”, la serie di 1.504 episodi andati
in onda dal 1966 al 1999 e condotti dal
decano dei giornalisti conservatori
americani, William F. Buckley jr,
(1925-2008), fondatore di “National Review”,
cattolico, egli stesso (anche)
scrittore di thriller.
Da noi però McInerny non è decisamente
mai stato una star. Il solito colpevole
ritardo della cultura dello Stivale,
più lo zampino dei cattolici adulti,
più l’inerzia dei preti assonnati.
Qualche buona eccezione c’è, meno
però del numero delle dita di una mano.
Anzitutto l’associazione Thomas
International, che opera da Palermo,
fondata e diretta da Fulvio Di Blasi, filosofo
professionista, discepolo di
McInerny, praticamente la sponda del
pensatore scomparso da questa parte
dell’Atlantico. Di Blasi ha creato Thomas
International per riecheggiare e
continuare l’opera di McInerny (e di
studiosi analoghi) e raccordarsi organicamente
al McInerny Center for
Thomistic Studies, l’ultima creazione
accademica che ha visto protagonista
il filosofo americano. A lui si deve la
pubblicazione in italiano del libro di
McInerry, “L’analogia in Tommaso
d’Aquino” (Armando, Roma 1999). Seconda
eccezione, l’occhiuto editore
calabrese Rubbettino di Soveria Mannelli,
che nel 2006 ne ha tradotto e
pubblicato “Conoscenza morale implicita”.
Terzo, il sociologo delle religioni
Massimo Introvigne, che ha scoperto
in ultimo McInerny ma che ci si
è subito buttato a pesce. Infine, l’editore
veronese Giovanni Zenone, che
ha colto l’invito d’Introvigne a pubblicare
almeno qualcosa d’altro di McInerny
e che lo ha fatto con la sua etichetta,
Fede & Cultura; è questa le genesi
dell’edizione italiana, pubblicata
un paio di mesi fa, del libro, minuto
per la verità ma dirompente, “Vaticano
II: che cosa è andato storto?”.
In esso il filosofo di Notre Dame anticipa
(l’edizione americana originale
è nel 1998) l’idea di Joseph Ratzinger-
Benedetto XVI circa la necessità, a
proposito del controverso Concilio
ecumenico Vaticano II, d’indossare
convintamente la cosiddetta “ermeneutica
della continuità” magisteriale,
lasciando ogni forzatura e tutti i deragliamenti
a quello spirito di divisione
che è allignato nel post Concilio
ma che semplicemente non appartiene
alla famosa assise vaticana. Anzi,
che non è nemmeno cosa cattolica. Ossia,
che se la chiesa con il Vaticano II
ha voluto e ricercato la continuità, altri
però, persino dentro oltre che attorno
alla chiesa, hanno cercato davvero
il ribaltone. McInerny, lontano
anni luce da ogni tentazione per
esempio lefebvriana, è costantemente
candido e astuto nel distinguere fra i
documenti del Concilio e la loro mala
interpretazione, e questo giacché mai
si è fermato alla sola questione, pur
fondamentale, della liturgia massacrata,
penetrando invece al fondo del
nocciolo teologico. Il disastro postconciliare,
insomma, è stato per McInerny
una rotonda crisi di fede, non solo un
conflitto fra pastorali diverse.
Uomo di libri che con i libri e in
mezzo ai libri ha speso una vita intera,
McInerny non è però mai stato uno
di quei closet philosopher con cui, diceva
Edmund Burke, è iniziata la decadenza
del pensare moderno. Alla
bisogna, scendeva in campo in prima
persona, da quel lato conservatore
delle cose che gli calzava come un vestito
di sartoria. Successe per esempio
poco tempo fa, allorché Notre Dame,
la sua Notre “Fighting Irish” Dame
invitò, il 17 maggio scorso, il presidente
federale Barack Hussein Obama
per la cerimonia delle lauree che
chiude un anno accademico e che ne
apre un altro, consegnandogli pure
un titolo “honoris causa” in Giurisprudenza.
Fu lì che il McInerny,
grande apologeta del diritto naturale
che accomuna nel buon senso credenti
e non credenti contro quell’aborto
che invece il neogiusperito della
Casa Bianca sponsorizza, sbottò.
McInerny si unì subito al coro di proteste
intonato da 19 tra cardinali e vescovi
degli States, tra cui il presidente
della Conferenza episcopale del
paese nordamericano, e quindi vergò
un cristallino “Is Obama Worth a
Mass?”, “Obama vale una messa?”,
comparso su “The Catholic Thing”
(periodico dal titolo chestertoniano,
non occhettiano…) del 23 marzo. “Ora
che il presidente dell’aborto”, scrisse
tagliente il placido Ralph, “viene onorato
e festeggiato e ascoltato alla fine
dell’anno accademico di Notre Dame,
la domanda diventa questa: chi celebrerà
la messa inaugurale?”.
Nonostante le materie di cui si è
occupato esigessero talora trattazioni
dotte al limite del complesso, lo stile
di scrittura piano e il ragionare sereno
di McInerny hanno sempre fatto
grande onore al principio secondo cui
le cose buone vanno ben dette così
come al suo corollario, che filosofia e
buon senso debbono andare sempre a
braccetto. L’essere stato un prolifico
narratore gli ha giovato sicuramente,
e questo pone l’accento su un’altra verità
delicata del nostro tempo. Si legge
sempre meno volentieri il librone
alto e difficile, e a esso, tutti, preferiamo
il testo morbido e sobrio, meglio
se coinvolgente tutti i cinque sensi,
se capace di affabulare, se persino
avviato lungo la via pulchritudinis. Il
risultato non cambia, giacché il bello,
il vero e il buono, McInerny alla scuola
dell’Aquinate lo sapeva benissimo,
sono facce della medesima medaglia,
e però nel mezzo ci si guadagna in numero
di ascoltatori. Ci si metta poi l’agilità
con cui la prosa in lingua inglese
riesce di norma a indorare pillole
anche amare, e si comprende il vantaggio,
a parità di buona dottrina, della
via media degli angloscriventi rispetto
al resto del mondo. McInerny
tutto questo lo ha meditato, ponderato
e distillato con talento enorme. Il
miglior regalo che si possa fare ora alla
sua memoria d’innamorato della
verità in tutte le sue poliedriche e armoniose
manifestazioni è l’imitarlo,
se ci riusciamo.



Perché dopo il Concilio Vaticano II qualcosa è andato storto


Pubblichiamo un estratto da Ralph McInerny,
“Vaticano II: che cosa è andato storto?”, prefazione
di Massimo Introvigne, Fede & Cultura, Verona 2009
Col passar del tempo la crisi si approfondì. All’inizio,
ci fu un rifiuto esplicito e senza precedenti
del Magistero, qualcosa che stupiva e faceva
sì che i dissidenti si percepissero come eroi impegnati
in una lotta contro l’oppressione, una lotta il
cui carattere rivoluzionario era chiaro. Col passare
degli anni il dissenso divenne abitudine. Una generazione
di teologi più giovani fu educata all’idea che
il suo compito è in qualche modo distinto e non guidato
dal Magistero. Oggi i documenti pontifici sono
regolarmente fatti oggetto di rifiuto, che sarebbe impudente
se non fosse così consueto. La sfida non è
più una novità. Oggi sembra quasi che il termine
“teologo dissidente” debba essere applicato a quei
pochi che accettano il Magistero. Ma c’è un’ironia
ancora più profonda. Un numero illimitato di bambini
non è più la sola alternativa alla contraccezione.
I successi dei metodi naturali di regolazione delle
nascite hanno reso gli argomenti di base che
avrebbero dovuto sostenere il dissenso contro
l’“Humanae Vitae” non più sostenibili. Perché i teologi
dissidenti non sono interessati o sono ostili ai
metodi naturali? La loro dichiarata preoccupazione
di trovare un modo morale per limitare il numero
dei figli sembra essere svanita proprio ora che la
scienza ha scoperto una via morale per farlo.
Il dissenso ormai è diventato un abito mentale:
un abito mentale privo di senso.
“Rapporto sulla fede” aveva richiamato l’attenzione
su questa crisi di autorità. Il Vaticano aveva
tentato di risolverla con sforzi come quello del Sinodo
Straordinario del 1985, la professione di fede
e il giuramento di fedeltà del 1989, il catechismo del
1992, e la lettera apostolica “Ad Tuendam Fidem”
del 1998, che ha fatto del dissenso una violazione
del diritto canonico e ha minacciato sanzioni ai dissidenti.
E c’è stato un fuoco di sbarramento di altri
documenti e misure tese a fermare la marea del dissenso.
Nessuna ha funzionato.
E’ evidente che la soluzione alla crisi di autorità
non si trova nei soli argomenti. Gli argomenti, per
essere efficaci, hanno bisogno che coloro cui sono
destinati siano in possesso di orecchie per intendere.
In ogni caso, generalmente il Signore non sceglie
di salvare il suo popolo servendosi della dialettica.
Piuttosto, io e il lettore – e i dissidenti – dobbiamo
tutti imparare dal contesto più ampio nel quale Papa
Giovanni Paolo II aveva inserito la sua trattazione
della morale cristiana nella sua enciclica “Veritatis
Splendor”. Il Papa partiva dal racconto di Matteo
relativo al giovane ricco che va da Gesù attratto
dal Maestro. Il giovane chiede cosa debba fare per
essere salvato. “Osserva i comandamenti”, risponde
il Signore. Quali sono i comandamenti? Gesù li ricorda
nominandone alcuni, e il giovane risponde dicendo
che li osserva tutti. Bene, allora se vuole essere
perfetto, dice Gesù, dovrebbe vendere tutto
quello che ha, dare il denaro ai poveri, e seguire il
Signore.
Qui il Papa vuole che vediamo che le questioni
morali particolari sono specificazioni di una questione
più generale: che cosa devo fare per salvarmi?
Cristo ha fondato la chiesa perché la Sua risposta
a quella domanda e la grazia di riceverla possano
discendere di generazione in generazione. Ha
dato al Santo Padre il compito d’insegnare a coloro
che desiderano la salvezza.
Quello di cui oggi abbiamo bisogno non è una confutazione
dei cattivi argomenti dei dissidenti, ma un
cambiamento del cuore. La “Lumen Gentium”, la
Costituzione dogmatica sulla chiesa del Vaticano II,
culmina in un capitolo sulla Beata Vergine Maria
quale Madre della chiesa. Giovanni XXIII concludeva
il suo discorso di apertura del Concilio con una
preghiera a Maria. La “Veritatis Splendor” di Giovanni
Paolo II, come altri scritti dello stesso Pontefice,
culmina in una preghiera a Maria. All’inizio di
queste pagine, io affermavo che sarà seguendo i desideri
di Maria come furono comunicati ai bambini
di Fatima che la promessa del Vaticano II sarà mantenuta.
Ha chiesto preghiera e penitenza. Preghiera
e penitenza scacceranno il demone del dissenso e ci
daranno una chiesa nuovamente piena della speranza
e dell’ottimismo del Vaticano II.

Ralph McInerny

Il Foglio 10 gennaio 2010