DISCERNERE

Uno sguardo profetico sugli eventi

L’olocausto dei non nati

«Essere umano ma non persona» e l’aborto è vantato come conquista di civiltà e diritto fondamentale? Tor­na la teoria della discriminazione tra esseri pienamente umani e «inter­menschen»
di Carlo Casini
Anche quella di domenica sarà una Giornata della memoria
Il 27 gennaio: «Giornata della me­moria». Le massime autorità del­lo Stato e i mezzi di informazio­ne hanno ricordato le sofferenze dei lager nazisti, in particolare la pro­grammazione e l’attuazione di quel­la che fu chiamata «soluzione fina­le»: la distruzione del popolo ebrai­co. Il presupposto dell’eccidio fu la qualificazione degli ebrei come es­sere subumani. A Milano, in corri­spondenza del binario 21, è stato i­naugurato il museo della Shoah per­ché proprio il 27 gennaio 1944 da quel binario 600 uomini, donne e bambini, partirono in carri bestiame piombati verso la morte di Au­schwitz.
È giusto non dimenticare. Non per rendere eterni il dolore ed il rancore, ma perché non si ripetano più trage­die simili. Il ricordo impedisce il rie­mergere della teoria discriminante secondo cui ci sarebbero degli «in­termenschen »: esseri umani inferio­ri. «Dimenticare - ha scritto su La Re­pubblica Elie Wiesel, sopravvissuto e testimone dell’olocausto -è un gran­de pericolo perché l’oblio significa tradimento. E dal tradimento non può mai derivare il bene».Al riguar­do Avvenire ha titolato un suo edito­riale: «Lasciamoci ferire per stare sve­gli. Per restare uomini».
7 febbraio: Giornata per la vita. È le­cito accostare le due date? È oppor­tuno paragonare l’aborto di massa, culturalmente accettato e gestito nel- la forma di un servizio sociale, alla Shoah? Crescerà il rispetto per la vi­ta se,così come mostriamo le imma­gini di cadaveri accatastati nei lager, per contrastare l’aborto mostreremo le fotografie di feti frantumati e san­guinanti?
Ho sempre sostenuto la maggior ca­pacità di introdurre un dialogo per­suasivo dell’immagine stupefacente e commovente del feto che a 3 mesi si poppa il pollice. «È tanto meglio un bimbo vivo» fu il primissimo slogan del Movimento per la vita. Tuttavia, come ripetere la irrinunciabile verità usando le parole «essere umano», «soggetto» «bambino non ancora na­to » «persona» e poi non fremere di fronte alle spaventose cifre dell’a­borto legale in Italia e nel mondo, cui si debbono aggiungere quelle degli aborti nascosti e delle distruzioni em­brionali nei molteplici laboratori bio­tecnologici? E allora come respinge­re l’idea di un nuovo permanente «o­locausto », nel quale il nascituro è qualificato «grumo di cellule» o an­che «vita soltanto potenziale» ovve­ro » Tuttavia avverto un profondo disa­gio nell’accostare la Giornata per la vita alla Giornata della memoria. È timidezza? Timore delle reazioni? Di­plomazia politica? Effetto di una di­versa scelta argomentativa? Medito e rispondo: no, non è così. Da un la­to vedo una cinica crudeltà ed una diabolica smania di potere; dall’altra giovani donne sempre nella solitudi­ne e nella paura, talvolta con il cuo­re piangente. Il figlio che recano in seno è frutto di un incontro, che, se non è imposto con violenza, è og­gettivamente segno di amore e che comunque, anche quando è sbaglia­to, manifesta soggettivamente il bi­sogno di superare solitudini e di feli­cità, non cinica crudeltà e smodata ansia di potere. Se poi riflettiamo sul­le responsabilità dei padri («È affar tuo. Veditela te»), sulla opprimente ba­nalizzazione della sessualità impo­sta da «maestri» di ogni genere, sulle spesso reali difficoltà che rendono problematica una gravidanza, pos­siamo concludere non irragionevol­mente che le vittime sono due: il fi­glio in primo luogo, ma anche la ma­dre. Di fronte alla Shoah un solo sen­timento è possibile: la esecrazione. Di fronte all’aborto compare forte an­che la compassione. Il giudizio resta severo perché non si può lenire il do­lore con la menzogna , dicendo che il bambino non c’è, ma vorremmo tanto aiutare la madre a restare ma­dre, non condannarla. Le stesse leg­gi che permettono l’aborto sono «in­tegralmente inique» (La Pira) perché – in definitiva – consacrano la men­zogna dell’«intermenschen», ma i le­gislatori furono mossi anche da un senso di pietà.
C’è, però, un aspetto che lega sicu­ramente la Giornata della memoria e la Giornata per la vita: la necessità di contrastare il «negazionismo». Nel caso della Shoah tutti sono insorti contro le voci isolate che hanno ten­tato di negare lo sterminio riducen­dolo ad una strumentale invenzione. Nel caso dell’aborto i più distolgono lo sguardo: non c’è tragedia, non ci sono milioni di vittime. La censura, il silenzio, il negazionismo permet­tono che tutto continui come prima, anzi che la tragedia si allarghi e si con­solidi. In questo senso anche la Gior­nata per la vita, non a caso istituita al­l’indomani della legge 194, è Giorna­ta della memoria. Non per polemiz­zare e condannare. Ma per non ras­segnarci. Per contenere e alla fine far cessare la tragedia. Per costruire un mondo migliore in cui davvero tutti gli uomini siano uguali. Non dimentichiamolo.
«Avvenire» del 3 febbraio 2010