Lourdes (di Jessica Hausner)
La prospettiva di Jessica Hausner nel suo Lourdes è dichiarata subito, sin dalla scena iniziale, coll’inquadratura dall’alto della sala da pranzo per i pellegrini...
Nessuna finestra, ma una luce artificiale fioca, su un ambiente claustrofobico: nero il pavimento, nere le pareti cui sono appesi crocifissi neri, nere le gonne e i pantaloni del personale, neri i mantelli delle hospitalières con la croce di Malta, nere le divise dei Cavalieri dell’Ordine, neri i clergyman dei preti. A quei tavoli funerei prende posto,in silenzio, una turba da corte dei miracoli di nani, paralitici, cancerosi, assistiti da volontari tanto formalmente educati quanto distratti o perplessi (“che ci faccio, qui?”), vivi solo nello scambio di sguardi tra ragazze col velo e giovanotti col basco. Poca, pochissima luce in tutto il film, la cui cifra cromatica è il plumbeo: nuvole nere nel cielo persino nelle pochissime scene all’aperto. Anche la benedizione eucaristica del pomeriggio –l’appuntamento quotidiano più amato dai pellegrini, assieme alla processione notturna con le fiaccole– non è girata, come è nel vero, sulla grande, luminosa Esplanade che fronteggia i tre santuari sovrapposti. No, la Hausner ha scelto di ambientarla nell’enorme chiesa sotterranea, dove non penetra alcuna luce. Poca luce pure per la lugubre festicciola finale. E buia, ovviamente, la scena topica della guarigione –miracolosa o casuale che sia– della tetraplegica venuta a Lourdes non per fede, ma per sfuggire dalla casa dove il male la imprigiona.
Crediamo abbia visto bene la UAAR, “Unione degli atei e degli agnostici razionalisti“ nell’attribuire a questo film il suo beffardo premio intitolato a Brian, dal nome di una dissacrante pellicola su Gesù. Dicono, questi atei organizzati, che l’opera della Hausner potrà aiutare a perdere la fede “chi non è ancora approdato a una visione disincantata e scettica“. Pure la Massoneria ha espresso il suo apprezzamento. Che dire, allora, del premio attribuito dagli uomini di cinema cattolici, riuniti in un’associazione riconosciuta ufficialmente dalla Santa Sede? Che dire della diocesi milanese che ha deciso di sponsorizzare quest’opera, diffondendola nelle parrocchie?
Verrebbe in mente quanto mi disse un Umberto Eco ironicamente deluso, quando analoghi premi cattolici (uno, addirittura dalla Loyola University, l’ateneo dei gesuiti americani) furono attribuiti al film tratto dal suo Il nome della rosa: “Io ho faticato per fare un libro radicalmente agnostico se non ateo, sperando di suscitare un dibattito infuocato. E invece no, ‘sti preti mi fregano , applaudendomi e riempiendomi di premi. Quasi quasi ho nostalgia dei bei, vecchi tempi della Santa Inquisizione. Quei tosti domenicani erano meno noiosi del frate e del sagrestano “ adulti“ che, entusiasti, acclamano il miscredente“.
Ma sì, sarebbe facile sorridere del masochismo clericale, cui peraltro siamo ormai rassegnati. Qui, però, occorre forse riconoscere delle attenuanti. In effetti, a una prima lettura il film della regista austriaca (la solita ex-cattolica: l’Occidente ne è ormai pieno) pare accattivante per i devoti. Non c’è nulla dell’anticlericalismo di un Emile Zola che si intrufolò, da anonimo, nel Pellegrinaggio Nazionale francese e ne trasse il suo fazioso romanzo, dove tutto inizia, per lui, da “une pauvre idiote“, da una piccola isterica chiamata Bernadette. Nulla, qui, delle invettive delle Logge ottocentesche, che chiedevano la chiusura manu militari di Lourdes “per abuso della credulità pubblica“, nonché per “ragioni igieniche“. Il vecchio mangiapretismo vociferante ha fatto posto, nella Hausner, a un ateismo radicale, ma politically correct. E una simile negazione della fede -durissima nei contenuti, ma molto soft nei modi- può avere depistato i clericali entusiasti. L’ateismo, peraltro onestamente dichiarato nelle interviste, non sta tanto nella barzelletta del capo dei Cavalieri hospitaliers (la Madonna che vuole andare a Lourdes, perché non vi è mai stata), battuta un po’ blasfema che svela l’incredulità di quei volontari. Non sta tanto nei dubbi dei pellegrini, nel loro spiarsi invidiosi, ciascuno temendo che il vicino di stanza sia guarito e lui no. E non sta neppure in quei cappellani che, alle domande dei malati, replicano con slogan, quasi fossero distributori automatici di risposte apologetiche. No, l’ateismo radicale del film sta nell’annuncio che il cristianesimo è morto, perché proprio la cartina di tornasole di Lourdes rivela che sono morte le tre virtù teologali che lo sorreggevano: morta la Fede, morta la Speranza, morta anche la Carità, malgrado le apparenze di chi, come i volontari, sembra esercitarla. Ma per amore di sé, non dei bisognosi. Per sfuggire alla noia, per trovare un senso o un marito, più che per aiutare il prossimo.
Papa Giovanni definì Lourdes, che molto amava, “una finestra che si è spalancata all’improvviso, mostrandoci il Cielo“. La Hausner, quella finestra la chiude: da qui, la mancanza di luce, il senso di oppressione, la claustrofobia, il nero che segnano tutta la sua pellicola. Quel Cielo di Roncalli è ormai sbarrato, uccidendo la Speranza.
L’esplosione gioiosa dell’alba della Risurrezione è rimossa a favore di una routine devozionale grigia, noiosa, segretamente ipocrita. Ma è sul serio così? Chi ha esperienza vera di Lourdes sa (e non è retorica) che questo è il regno del dolore ma anche della gioia; della disperazione e della speranza; del dubbio e della fede; dell’egoismo di mercanti, osti, professionisti dell’assistenza e della generosità di infiniti anonimi. Un impasto contradditorio, certo, ma pieno di vita e plasmato, malgrado tutto, da una fede tenace, che non si arrende. Vi sono talvolta nubi, sui Pirenei. Ma, ancor più spesso, vi splende un sole caldo. La Hausner ha le sue ragioni, cui va il nostro rispetto. Ma, attorno alla Grotta –quella vera, non quella della ex allieva delle suore che ha perso la fede- c’è un braciere che continua ad ardere, simboleggiato dalle mille candele accese giorno e notte, da 150 anni. Non c’è il cero ormai spento, o solo fumigante, che vorrebbe questo film, tanto eccellente nella tecnica quanto unilaterale nei contenuti.
Vittorio Messori, Corriere della Sera del 12 febbraio 2010
Lourdes, caro Messori…
Al direttore - Sono stata a Lourdes più di
una volta, e sono anche andata al cinema, a
vedere il film di Jessica Hausner. Ma forse
non ho visto lo stesso film di Vittorio Messori,
che ieri sul Corriere ha sparato a zero
contro i cattolici entusiasti per un film a
dir suo plumbeo, ateo e nichilista. Non è
vero. Il film è plumbeo, certo, pieno di
pioggia, certo, molto dissacrante, certo,
perché i preti oltre a occuparsi dei malati
passano il tempo a raccontarsi barzellette
sulla famiglia di Nazareth, mentre le volontarie
dell’Ordine di Malta sembrano soprattutto
alla ricerca di un marito. E’ anche
vero che la protagonista, Sylvie Testud,
che recita il ruolo di una biondina
sulla sedia a rotelle, sorride a stento. Anche
se spera moltissimo. E forse nemmeno
ci crede all’apparizione della Madonna di
Lourdes, alla grotta di Bernadette Soubirous,
al miracolo delle piscine con l’acqua
santa, anche se s’abbandona a tutti i riti del
gioioso parrocchialismo che ogni anno mobilita
verso le montagne dei Pirenei migliaia
di pellegrini da tutto il mondo, col
loro seguito di dame e barellieri volontari.
Il fatto è che, proprio per questo, è un film
cattolico e cristiano, nel senso più profondo
e misterioso del termine, miracolosamente
sospeso tra la fede nell’onnipotenza
divina e lo scetticismo dei miscredenti. Attraverso
il miracolo, infatti, la Grazia divina
colpisce l’ignara ragazza in sedia a rotelle,
che non ha niente della beghina invasata,
non recita il rosario e ha scelto
Lourdes, dopo essere stata a Roma, solo
per mandare in vacanza la sua solitudine.
Ma è proprio lei che una mattina scopre di
poter muovere le mani, le braccia, le gambe,
s’alza dal letto e va in bagno a pettinarsi.
Viene in mente la pioggia, che bagna indifferentemente
il mare e i campi coltivati,
secondo la bellissima metafora usata da
Malebranche per raffigurare l’onnipotenza
divina e le sue leggi misteriose e generali.
Possibile che un fine intenditore di cose
cattoliche come Messori l’abbia dimenticata?
(Marina Valensise)
Il Foglio 13 febbraio 2010
``LOURDES``, FILM GELIDO DA SALA CHIRURGICA
Lourdes, caro Messori…
Al direttore - Sono stata a Lourdes più di
una volta, e sono anche andata al cinema, a
vedere il film di Jessica Hausner. Ma forse
non ho visto lo stesso film di Vittorio Messori,
che ieri sul Corriere ha sparato a zero
contro i cattolici entusiasti per un film a
dir suo plumbeo, ateo e nichilista. Non è
vero. Il film è plumbeo, certo, pieno di
pioggia, certo, molto dissacrante, certo,
perché i preti oltre a occuparsi dei malati
passano il tempo a raccontarsi barzellette
sulla famiglia di Nazareth, mentre le volontarie
dell’Ordine di Malta sembrano soprattutto
alla ricerca di un marito. E’ anche
vero che la protagonista, Sylvie Testud,
che recita il ruolo di una biondina
sulla sedia a rotelle, sorride a stento. Anche
se spera moltissimo. E forse nemmeno
ci crede all’apparizione della Madonna di
Lourdes, alla grotta di Bernadette Soubirous,
al miracolo delle piscine con l’acqua
santa, anche se s’abbandona a tutti i riti del
gioioso parrocchialismo che ogni anno mobilita
verso le montagne dei Pirenei migliaia
di pellegrini da tutto il mondo, col
loro seguito di dame e barellieri volontari.
Il fatto è che, proprio per questo, è un film
cattolico e cristiano, nel senso più profondo
e misterioso del termine, miracolosamente
sospeso tra la fede nell’onnipotenza
divina e lo scetticismo dei miscredenti. Attraverso
il miracolo, infatti, la Grazia divina
colpisce l’ignara ragazza in sedia a rotelle,
che non ha niente della beghina invasata,
non recita il rosario e ha scelto
Lourdes, dopo essere stata a Roma, solo
per mandare in vacanza la sua solitudine.
Ma è proprio lei che una mattina scopre di
poter muovere le mani, le braccia, le gambe,
s’alza dal letto e va in bagno a pettinarsi.
Viene in mente la pioggia, che bagna indifferentemente
il mare e i campi coltivati,
secondo la bellissima metafora usata da
Malebranche per raffigurare l’onnipotenza
divina e le sue leggi misteriose e generali.
Possibile che un fine intenditore di cose
cattoliche come Messori l’abbia dimenticata?
(Marina Valensise)
Il Foglio 13 febbraio 2010
``LOURDES``, FILM GELIDO DA SALA CHIRURGICA
Film sulla disperazione e, quindi, antimariano, arriva questa settimana nelle sale italiane “Lourdes” della regista austriaca Jessica Hausner. “Dove giunge Maria è presente Gesù. Chi apre il suo cuore alla Madre incontra ed accoglie il Figlio
ed è invaso dalla Sua gioia”, dice Benedetto XVI. La Hausner è convinta del contrario. Agnostico e antievangelico fin dalle intenzioni (“Volevo indagare sulla casualità dei miracoli”, dice la regista) il suo film è anche una sorta di riflettore accesso su una nuova ed inedita incapacità dei cattolici di capire e di utilizzare il cinema per la missione pastorale della Chiesa. “Ho trattato il miracolo e la malattia in senso metaforico per comunicare quanto il concetto di salvezza sia relativo – dice la regista -, mi interessava soffermarmi sulla transitorietà della vita”.
Il miracolo, spiega la Hausner “viene considerato come qualcosa di banale perché non racchiude necessariamente una morale o un senso, forse è soltanto una delle tante tappe della vita. Ci possono essere più risposte a un evento di quel tipo: l’autosuggestione e la forza psichica ad esempio; molte guarigioni non sono state nemmeno spiegate dalla medicina, e non capitano soltanto a Lourdes. Dopo essere stata a Lourdes posso dire una cosa: o Dio si è addormentato oppure non esiste”.
Il film è gelido e perfetto nella forma, come un’operazione chirurgica. C’è però anche una barzelletta. Gesù propone a Maria di andare a Betlemme, racconta un prete ad un assistente, la sera, dopo aver messo a letto i “malati”. Sempre Betlemme, replica Maria. Potremmo allora andare a Lourdes, dice Gesù. Carino, risponde Maria, non ci sono mai stata. Curzio Maltese, su “Repubblica”, spietatamente, ha scritto che le organizzazioni religiose del luogo di culto, dopo aver letto la sceneggiatura, hanno dato il permesso di girare anche in luoghi di Lourdes normalmente vietati alle macchine da presa. Il potere censura solo ciò che capisce, ha chiosato con sarcasmo. Il film, a Venezia, ha ricevuto due premi cattolici, il “Signis” (una volta si chiamava Ocic – Organizzazione Cattolica per il cinema) e la “Navicella” dell’Ente dello Spettacolo. È un sintomo di questa sorprendente confusione della cultura cattolica di oggi.
Nel 1944, in piena occupazione nazista, i cinematografari più famosi dell’epoca, per evitare la deportazione, si chiusero in una chiesa romana e, sotto la guida di Vittorio De Sica e grazie alla protezione proprio dell’Ente dello Spettacolo – Centro Cattolico Cinematografico, realizzarono uno dei capolavori della cinematografica cattolica. Si tratta de “La porta del cielo”. Anche in quel caso si narrava della devozione mariana e del mistero del miracolo. Scritto insieme con Zavattini, il film aveva un approccio laico ma non era agnostico. Nel lungo finale, davanti all’esposizione del Santissimo, la gente si inginocchiava e si faceva il segno della Croce. Il film si chiudeva con un miracolo ma, al contrario di quello descritto dalla Hausner, era lo stesso tipo di miracolo di cui parla il Nuovo Testamento, quello caratterizzato dalla conversione e dal perdono. Un film ben diverso, quindi, da quello della Hausner.
In questi giorni, il “Corriere della Sera” ha dato spazio a un dibattito sull’egemonia culturale della sinistra e sull’incapacità della destra di costruire un’alternativa. In un Paese come il nostro, verrebbe da chiedersi piuttosto che fine abbia fatto la cultura cattolica. “Credo che il cinema abbia fallito la sua missione di essere l’arte del nostro secolo. Ha fatto dei tentativi, persino dei tentativi eroici, ma ha fallito. Non solo ma, tra le arti, è forse la più grande responsabile di questa immensa opera di condizionamento, d’abbrutimento che si è compiuta”, scriveva Roberto Rossellini nel 1962. Da allora il cinema si è interrogato ancora mille volte sul senso del trascendente e sui valori umani fondamentali con risultati spesso eccentrici che hanno fatto fibrillare i critici cattolici. Con “Lourdes” invece si è scatenata (si fa per dire) solo una sorprendente e apatica afasia critica. Eppure basterebbe così poco per accendere il dibattito. A cominciare dalla locandina del film. C’è solo la metà del volto di una statua di Maria. Lucida, platinata e parziale. Una sintesi critica involontaria del film che infatti dice, in modo artefatto e plastificato, solo una parte della verità e non racconta l’altra storia, quella che muove centinaia di milioni di persone ogni anno verso i santuari mariani. “Lourdes è una profezia di giustizia e di pace, dove non c’è posto per la superbia e la durezza di cuore, anzi dove questa durezza viene sciolta dalla testimonianza della carità, della misericordia, della serena sopportazione del male, della solidarietà umana, della generosità sincera e toccante”, diceva Giovanni Paolo II nel 1989. Chissà se avrebbe apprezzato il film della Hausner.
Andrea Piersanti