Iniziata con la pubblicazione su Internet
di decine di e-mail nelle quali
diversi climatologi si accordavano
su come truccare i dati delle temperature
per meglio sostenere la teoria
del riscaldamento globale causato
dall’uomo, la ritirata dei catastrofisti
non manca di consegnare alla storia
capitoli surreali. Così dopo la notizia
che le previsioni fatte dagli scienziati
dell’Onu sullo scioglimento dei ghiacciai
aveva come base scientifica un articolo
apparso su una rivista per alpinisti,
torna a far parlare di sé Phil Jones,
ex direttore del centro di ricerche
sul clima dal cui server sono fuoriuscite
le famose e-mail. Dopo lo
scoppio del “Climategate” buona parte
della comunità scientifica ha chiesto
a Jones di avere i dati con cui si
provava l’aumento inusuale delle temperature.
I dati non si sono però visti,
questo perché lo scienziato inglese ha
“difficoltà a starci dietro”, come ha
candidamente ammesso alla Bbc: la
sua stanza è nel caos, sommersa da pile
di fogli e documenti accumulati negli
anni, e quei dati proprio non si riescono
a trovare.
Alla Bbc Jones ha però detto anche
altro, tornando a parlare di clima, e
ha stupito tutti ammettendo che “dal
1995 non c’è traccia di un aumento significativo
delle temperature globali”.
Il professore ha aggiunto poi che nel
medioevo le temperature erano più
alte delle attuali e che nel passato recente
ci sono stati anni in cui il riscaldamento
è stato simile a quello del
periodo 1975-1998: precisamente tra il
1860 e il 1880 e tra il 1910 e il 1940.
Quando l’uomo non produceva CO2.
Jones rimane ovviamente della sua
idea, pensa cioè che il global warming
ci sia e sia causato dall’uomo, ma è costretto
ad ammettere che “il dibattito
sul clima non è chiuso”. La storia dei
documenti persi nel disordine dell’ufficio
è poi il definitivo suggello (comico)
a una vicenda che ha mostrato all’opinione
pubblica come il motore
che ha mosso in malafede per anni la
macchina della climatologia poco aveva
a che fare con la scienza.
Il Foglio 17 febbraio 2010