DISCERNERE

Uno sguardo profetico sugli eventi

Sant'Agostino








La sconfessione di Sant’Agostino


di Franco Cardini

I protagonisti della fiction Rai Sant'Agostino - Credits: ANSA/GIUSEPPE GIGLIA / SIM

La Lux Vide del leggendario Ettore Bernabei, ormai pilotata dai figli Luca e Matilde, ha deciso stavolta, insieme con la Rai e altri, di fare sul serio, nel senso proprio dell’espressione, il passo più lungo non solo della sua, ma di qualunque altra gamba. E, sia chiaro, questo è un elogio.
Ma la zampata del grande vecchio si sente ancora, eccome: il cattolicesimo intransigente di Ettore Bernabei e la sua energia sono un autentico pezzo di storia dell’Italia repubblicana. Uno così non poteva non volersi incontrare con Aurelio Agostino. Chissà da quanto ci pensava.
Il Sant’Agostino della Lux Vide è una «grande fiction», con tutti i pregi e anche, ebbene sì, tutti i difetti di quella produzione. Anzitutto, sul piano stilistico può non dispiacere affatto la scelta di riecheggiare, specie nelle scene di massa, e nelle musiche, l’atmosfera dei kolossal degli anni Cinquanta, tipo “Quo vadis?”.
Poi, buoni i protagonisti: fra gli altri, un simpaticamente stagionato Franco Nero, non troppo a disagio negli abiti impegnativi dell’anziano vescovo d’Ippona in Africa (oggi Annaba in Algeria); un Andrea Giordana misurato interprete della difficilissima figura del vescovo milanese Ambrogio; infine una formidabile Monica Guerritore che, nei panni della madre di Agostino (che, essendole omonima, è la sua patrona), ci fornisce la misura della sua matura professionalità e della sua umanità intelligente, intensa, passionale. Bene gli altri, come si diceva una volta, incluso Alessandro Preziosi, che fa Agostino giovane.
Ma appunto qui sta il problema, per il recensore che è nella fattispecie tale proprio perché non di spettacoli si occupa, bensì di storia. Agostino, cittadino romano della colta e prospera provincia africana (altro che un angolo marginale dell’impero, come gli sceneggiatori sembrano credere!), vissuto fra 354 e 410 d.C., fu testimone non già della decadenza dell’Impero romano, bensì della sua cristianizzazione anche istituzionale.
Di lui e della sua storia personale si sa pochissimo, appena i brandelli fattuali presenti nelle sue opere: e non era uomo che amasse parlare di sé sotto il profilo dei fatti, mentre continuamente rifletteva su se stesso dal punto di vista dei sentimenti, dei turbamenti, delle passioni, perfino dei sogni. Insomma, com’è stato detto, della «storia dell’anima».
Non si può non dire grazie a chi ha redatto i testi della fiction e a chi ha dato loro voce. Gli spettatori italiani saranno inondati delle sublimi parole di Agostino, specie delle Confessioni: il risultato diretto sarà, speriamo, un immediato boom della vendita nelle librerie delle opere di colui che è forse lo spirito più alto che la civiltà cristiana abbia mai saputo esprimere; e uno dei fondamentali pensatori della storia dell’umanità.
Ma a parte ciò, sotto il profilo storico la realtà del IV-V secolo è stata resa in modo che non si può nemmeno definire deludente, perché c’era ben poco da illudersi: ma errato e inadeguato fino ai limiti del ridicolo, questo sì. Era possibile fare altrimenti?
In una fiction si può essere tanto più fedeli alla storia autentica del periodo in cui essa si svolge quanto più di essa si hanno notizie precise e quanto più il pubblico è in grado di recepire correttamente un messaggio storicamente complesso. Ma non è il nostro caso.
I secoli IV-V sono tra i meno frequentati dalla storia e dalla divulgazione, tra i meno conosciuti dagli stessi specialisti. Fra loro e noi si erge, tra l’altro, la spessa cortina dei luoghi comuni, dei pregiudizi, degli stereotipi: quelli del Cristianesimo (o, al contrario, dell’immoralità pagana, o della calata dei barbari) come causa della decadenza e della caduta dell’impero.
È un topos estetico-letterario-propagandistico d’origine soprattutto settecentesca (l’Impero romano è caduto nel XIII o addirittura nel XV secolo, non nel V), quello dei barbari feroci invasori e dei cristiani sempre buoni e docili come agnellini. E la sceneggiatura ci cade quasi in pieno.
L’atmosfera che si vive assistendo al Sant’Agostino televisivo è quella della doccia fredda tra anacronismi sia materiali sia concettuali: la civiltà romana del IV-V secolo è resa, a partire dagli abiti e dagli edifici, con un miscuglio di errori e di abusi che a volte ci rinviano alla Roma repubblicana, a volte c’immergono in un’atmosfera ormai bizantina.
A proposito del conflitto di fedi e di culture, ci si dimentica che ormai, dopo l’editto teodosiano, che nel 391-92 proibiva formalmente i culti pagani, nessun funzionario imperiale avrebbe potuto rivolgersi a un vescovo alludendo con disprezzo al «vostro Dio», come fa ancora il governatore di Ippona nel 430 (quarant’anni dopo l’editto!) discutendo col vecchio Agostino.
Nel centrale episodio milanese della contesa tra il vescovo Ambrogio e la gelida imperatrice madre Giustina, ci si dimentica che si era alla vigilia d’una guerra civile, ma tra cristiani niceni (cioè fedeli al dettato conciliare di Nicea del 325) e cristiani ariani che lo avversavano. Viceversa, nel film si assiste alla consueta parata dei banchetti coi romani che si strogolano e palpeggiano baldracche, al solito massacro dei gelidi e crudeli legionari (pagani?) nei confronti dei buoni poveri cristiani pacifisti che pregano, piangono, belano, perdonano.
D’altronde, è impossibile parlare di quel tempo a un pubblico che ignora le distinzioni tra niceni, ariani e manichei. Cercando di fornire un orientamento, il copione ripete ossessivamente il termine «cattolici», che è proprio quello che, per il IV-V secolo, non andrebbe usato, così come il richiamo all’autorità papale, in quei tempi praticamente priva di rilievo.
Eccoci al dunque. È tutto quasi sballato. I vandali che presero Ippona nel 430 non erano dei barbari invasori. Erano essi stessi cristiani ariani: e il loro capo Genserico (nella fiction ritratto in un modo che fa pensare a un khan tartaro) era un uomo duro ma un politico abile, tra l’altro in rapporti stretti con la corte imperiale. E gli accenti di pacifismo e d’integrazione messi in bocca ad Agostino sono un’irritante concessione a facili ma svianti paragoni con l’oggi. Quanto ai cristiani dell’età teodosiana e post-teodosiana, erano spesso a loro volta della gentaccia brutta sporca e cattiva, che bruciava i libri e ammazzava gli oppositori.
Agli spettatori di Sant’Agostino si può solo consigliare di vedere al più presto, ma con una prospettiva opposta, il film di Alejandro Amenabar, “Agorà”, dedicato alla tragedia della virtuosa e studiosa Ipazia, uccisa nel 415 dai fanatici cristiani aizzati dal vescovo Cirillo (che la Chiesa ha santificato). Perché quel che ci si deve mettere in testa è che la storia è complessa.
E allora? Smettere di fare fiction storiche? No, ma impegnarsi perché risultino storicamente migliori.

    PANORAMA
  • Lunedì 1 Febbraio 2010



CURIOSITA'


"L'immagine del film è nata dallo studio approfondito dei mosaici delle chiese di Ravenna da parte del regista Duguay e del costumista Stefano De Nardis (Gang of New York, Coco Chanel).

» Tra figurazioni ed attori sono stati utilizzati circa 3000 costumi, un terzo dei quali realizzati appositamente per la miniserie.

» Per i vestiti di corte tutti i tessuti sono stati fatti venire dall'India, mentre quelli dei barbari sono stati cuciti con 200 pellicce provenienti direttamente dagli Stati Uniti.

» I mantelli indossati dalla famiglia imperiale nella scena del discorso celebrativo di Agostino sono stati utilizzati realizzando antichi abiti nuziali afghani dell'Ottocento, completamente ricamati con fili metallici d'oro.

» Tutti i gioielli dei personaggi principali (l'anello di Ambrogio, le collane e i gioielli della corte) sono stati disegnati e realizzati da artigiani marocchini, utilizzando pietre indiane.

» Le pesanti acconciature di gioielli dell'imperatrice, direttamente ispirate dai mosaici di Ravenna, avevano così tante pietre da dover essere tolte e rimontate ad ogni ciak, per non causare mal di testa all'attrice Francesca Cavallin.

» Monica Guerritore ha partecipato direttamente alla creazione di tutti i suoi costumi, fino all'abito finale della scena di Ostia, che doveva apparire come fatto si sola luce.

» Quattro i set principali realizzati dallo scenografo Carmelo Agate per ricostruire Ippona, Milano, Cartagine e Tagaste. Ognuno è stato realizzato secondo una gamma cromatica differente, come da precise indicazioni di regia.

» Gli esterni della Basilica della Pace e il Tempio dei Donaisti sono stati girati nell'antico monastero (ribat) di Hammamet. Nel ribat della città di Monastir sono state girate le scene ambientate a Cartagine.

» Gli altri set – Basilica di Ambrogio, Biblioteca di Agostino, Sala Del Trono – sono stati invece ricostruiti negli Empire Studios di proprietà della Lux Vide in Tunisia.

» Per la sola biblioteca sono stati realizzati più di 1.500 libri e codici miniati e istoriati, strumenti per calligrafi, scrivanie, banchi e sedute, come da originali documentati.

» Sono stati realizzati circa 1.000 Mq2 di mosaici ed affreschi.


Il regista: il pubblico non incontrerà il Santo, ma un uomo che si converte



Sant'Agostino, la fiction interpretata da Alessandro Preziosi e Franco Nero, che si conclude stasera su Raiuno alle 21.10, racconta le vicissitudini di un uomo e del suo viaggio spirituale. Il regista Christian Duguay, che il sussidiario.net ha raggiunto, ci spiega perché con la fiction ha voluto raccontare la modernità del personaggio reale. E attraverso la narrazione di quegli episodi e di quei tratti della personalità particolarmente umani, ci fa capire quanto il santo assomigli a ciascuno di noi.

Sant’Agostino è un personaggio molto conosciuto, ma non è un santo “del popolo” come, per esempio, San Francesco. Come avete fatto a rendere la sua storia interessante per il pubblico di oggi?
Con Sant’Agostino cerchiamo di raggiungere un largo pubblico, sia cristiano che non. Quella che presentiamo è la storia di un uomo che è vittima del proprio narcisismo, della propria abilità oratoria e il cui carisma è tale che i peccati e i vizi della vita gli ruotano attorno. È un viaggio pieno di colpa, di rammarico, di introspezione e, a un certo punto, una serie miracolosa di eventi che porteranno alla sua conversione spirituale. Una storia personale che ha un orizzonte epico e raccontata in un modo immediato e accessibile che spero ne permetterà l’apprezzamento da parte di tutti.
Perché secondo lei “Le confessioni di Sant'Agostino” sono, dopo la Sacra Bibbia, il libro cristiano più letto nel mondo anche da non cattolici?
Le riflessioni e le preoccupazioni espresse allora da Agostino hanno una risonanza e una immediatezza che sono interessanti per i lettori di oggi allo stesso modo in cui lo furono per i lettori del suo tempo.
Lei conosceva la figura di Sant’Agostino? Che idea ne aveva prima del film? Il suo punto di vista è cambiato grazie a questo film?
Essendo stato educato da cattolico, lo conoscevo sotto il profilo religioso e spirituale, ma, essendo mio padre un avvocato, anche questo aspetto di Sant’Agostino mi ha sempre affascinato. Conoscevo il filosofo e l’oratore cortigiano che si è allontanato dal compiacimento e dall'egocentrismo derivante dal suo ovvio talento per indirizzarlo verso la fede cristiana. La ricerca e poi la rappresentazione di un uomo che ha vissuto una conversione così profonda ha avuto un marcato impatto spirituale su di me e, in un certo senso, ho percepito una specie di invito divino a presentare al pubblico qualcosa di questa esperienza personale.

Il film segue la vita di Sant’Agostino in modo fedele, o qualche parte è stata romanzata?
Abbiamo condotto ricerche molto attente su Sant’Agostino e la maggior parte dei personaggi è basata su figure storiche. A scopi narrativi abbiamo costruito uno schema nel quale un Sant’Agostino più anziano, sull’orlo di perdere tutto quanto ha costruito sotto l’incalzare dei Vandali, riconsidera il suo passato attraverso i suoi scritti. Con questo schema narrativo abbiamo dovuto alleggerire alcune circostanze per questioni di tempo. Per esempio, non siamo entrati nel fatto che allora vi fossero due imperatori e abbiamo parlato solo di quello residente a Milano, dove Agostino era diventato oratore di corte. Ma ci siamo attenuti per la maggior parte del racconto alla verità storica.
Qual è, secondo lei, il punto di forza di questo film, quello che può renderlo un successo televisivo?
La chiave è proprio la sua conversione. Un ampio pubblico di cristiani e non cristiani potrà mettersi in rapporto non con un santo, ma con un uomo che fa sua l’idea molto moderna di dover fare i conti con i propri intimi conflitti e contemporaneamente con la propria vita esteriore. Un uomo che abbandonerà il proprio narcisismo, la propria avidità e i successi mondani per qualcosa di più profondo e intenso.
Come è stato lavorare con gli attori protagonisti, e in particolare con Alessandro Preziosi? È stato difficile per lui calarsi nel ruolo di Agostino, un personaggio tutt’altro che semplice e lineare?

La mia collaborazione con Alessandro è stata intensa e soddisfacente. Siamo così riusciti a presentare il viaggio intimo di un uomo e, contemporaneamente, a collocarlo nel suo contesto sociale, storico e spirituale. In questo, abbiamo avuto un forte supporto dal reparto letterario della Lux Vide e dallo scrittore Francesco Arlanch, riuscendo così a dare una prospettiva globale di questo viaggio, senza essere sopraffatti dalla complessità del quadro storico. Credo che questa sia una delle più significative interpretazioni di Alessandro.
Ha vissuto degli episodi particolarmente importanti con Preziosi?

Un momento significativo che Alessandro e io abbiamo vissuto insieme, e che è un buon esempio della fusione tra le nostre capacità, è il discorso che Agostino tiene come vescovo alla corte a Cartagine, dove viene accusato di eresia dai donatisti. La scena era stata concepita in modo da poter riprendere l’intero discorso con una sola ripresa di steadicam. Una sequenza complicata per entrambi e che richiedeva tutta la nostra concentrazione ed esperienza, ma a un certo punto Alessandro e io eravamo talmente in comunione che è diventato un balletto spirituale.

Cosa intende?
Mi sentiva attorno a lui con la steadicam e quasi percepiva le mie istruzioni senza che io le dovessi esprimere. Il risultato è stata una delle più sorprendenti interpretazioni che Alessandro abbia mai offerto e una ripresa tra le più complesse che io abbia mai girato. Allo stesso tempo ha dato scorrevolezza al personaggio, avvantaggiando tutta la storia.

Quali sono state le maggiori difficoltà incontrate nel passaggio dalla sceneggiatura alla messa in scena?
Come per tutti i racconti storici è essenziale cercare di ricostruire accuratamente l’autenticità delle scene. Siamo stati aiutati dall’aver girato negli Empire Studios in Tunisia, di cui Lux Vide è comproprietaria. Abbiamo così potuto rispettare l’autenticità dei set e delle location nonostante un budget limitato. In precedenti occasioni mi ero abituato a lavorare con budget molto più grandi e abbiamo dovuto ricorrere a tutta la nostra abilità di cineasti per realizzare una fiction di questa ampiezza.

In che maniera avete ovviato al budget limitato?

Daniele Passani, il nostro line producer, mi ha sempre fornito ciò di cui avevo bisogno, ma sempre sfruttando al massimo le risorse che ci erano consentite. Così come è stato molto bravo Paolo Zaccara, il nostro responsabile delle visualizzazioni, un aspetto molto importante nel nostro film, che ci ha consentito per esempio, nei luoghi storici di eliminare digitalmente elementi di disturbo, o di moltiplicare la folla o gli eserciti. Anche il tempo atmosferico è stato dalla nostra parte e il produttore, Luca Bernabei, mi ha detto che in tutte le sceneggiature con un soggetto spirituale in cui è stato coinvolto ha riscontrato accadere un piccolo miracolo. Io posso veramente dire che con Sant’Agostino ho potuto sperimentare ogni giorno piccoli miracoli.

A parte il protagonista, c’è un personaggio che, mentre giravate il film, ha assunto un peso inaspettato, ha rivelato – magari grazie all’interprete – un potenziale non previsto?
Grazie al buon lavoro della responsabile del casting, Teresa Razzauti, gli attori erano tutti adeguati ai personaggi che dovevano interpretare. Un esempio è la scelta di Francesca Cavallini, di solito impiegata in ruoli romantici, per il ruolo della fredda, dura, calcolatrice madre del giovane imperatore, che è riuscita anche a comunicarci una figura materna e ferocemente protettiva. Ma ve ne sono molti altri…

Quali, ad esempio?
Johannes Brandrup, nella parte del giovane Valerio è stato perfetto come amico del cuore di Agostino, così come lo sono stati Gerard Alexander Held, Valerio da vecchio, e Franco Nero, nella parte di Sant’Agostino anziano. Monica Guerritore ha offerto un’interpretazione unica e delicata nel non semplice ruolo di una figura materna che non ha mai smesso di aver fiducia nella capacità di suo figlio di progredire e cambiare.
E tra i personaggi minori?

Andrea Giordana ha fornito una sorprendente interpretazione del vescovo Ambrogio, rappresentando in un modo estremamente efficace la sua capacità di vedere dentro Sant’Agostino, di cui diventa il vero mentore e colui che provoca la sua trasformazione spirituale. Al centro del film c’è la complessa relazione tra Agostino e la sua amata schiava Khalida. Serena Rossi recita con delicata grazia nella parte di questa schiava, che segue Sant’Agostino, gli dà un figlio, lo sostiene nel suo lavoro e nella sua trasformazione, fino al sacrificio finale di lasciarlo perché possa continuare nelle mani di Dio. La sua intesa sullo schermo con Alessandro dà un grande apporto alla storia, con tutti i corretti elementi del dramma.
Quali aspetti, durante la lavorazione del film, le sono rimasti più favorevolmente impressi nella memoria?
Ho avuto la fortuna di poter utilizzare la stessa squadra italiana della mia precedente produzione su Coco Chanel. È stata la mia seconda esperienza con un équipe italiana e mi sono trovato immediatamente a casa, loro sono diventati rapidamente come una seconda famiglia per me. Tutti hanno giocato un ruolo fondamentale, a cominciare dal produttore Luca Bernabei e gli altri della Lux, che mi hanno lasciato libero di mettere le mie capacità al servizio della storia, dandomi anche la migliore squadra creativa che abbi amai incontrato. E poi la straordinaria progettazione dei set di Carmelo Agate, o i costumi di Stefano De Nardis, il prezioso contributo di Sergio Ercolessi nel dare autenticità alla atmosfera attorno agli attori e alle loro interpretazioni.
Che ruolo ha svolto il feeling tra lei e la sua squadra nella realizzazione del film?
Non sarebbe stato possibile portare a termine una produzione delle dimensioni di Sant’Agostino se tutti non avessero lavorato in sintonia, che si trattasse del più piccolo oggetto in scena o della più grande costruzione scenica, della recitazione delle nostre star o delle azioni dietro le quinte. In tutto questo, non avrei potuto avere un aiuto migliore di Sergio. Si arriva così a Fabrizio Lucci, il direttore della fotografia.
Ovvero?
Dato che io opero direttamente tutte le macchine da ripresa, occorrono un rapporto e un’intesa speciale con il direttore della fotografia. Con Fabrizio è stata una delle esperienze più significative di collaborazione stringente che io abbia mai avuto. È veramente un artista nel senso più stretto del termine e della tradizione centenaria italiana. Infine, ancora Luca Bernabei. Attraverso la nostra collaborazione professionale abbiamo sviluppato un’amicizia che ci permette di andare più al fondo e di trasferire una profondità alle nostre produzioni che spero possa avere impatto sul pubblico e dare ad esso una comunicazione profonda.

Qual' l'aspetto della personalità di Agostino che può colpire di più l'uomo comune contemporaneo?
Il punto chiave è disegnare un personaggio la cui ambizione ad un certo punto prende il sopravvento sul suo viaggio spirituale ed emotivo. Il risultato è che chi viene in contatto con lui soffre nello stesso modo in cui lui sta soffrendo, ed è così che si rende conto che non può in coscienza continuare a vivere in quel modo.
E a quel punto?
Perciò si rivolge a Dio, cosciente che, sebbene cerchi il perdono, non può riparare il male del passato, ma che la sua conversione gli permetterà di fare il bene in futuro. Ho usato la metafora dei mosaici, una forma d’arte molto comune specialmente nelle chiese, piccolo pezzi che vediamo assemblare nel quadro completo di una vita spirituale e intensa. È come se ogni piccolo pezzo trattasse dei suoi peccati fino al punto in cui vediamo il mosaico della chiesa di Ambrogio e Sant’Agostino vede per la prima volta che l’immagine è il battesimo di Cristo.

Perché ha voluto utilizzare questi elementi artistici?
Sono riuscito a riunire artisticamente tutti questi elementi per aiutare il pubblico a sperimentare questo momento altamente spirituale. La musica di Andrea Guerra è stata essenziale per sostenere la realizzazione di questo difficile compito e Andrea, con le sue capacità e attraverso le voci dei bambini, ha introdotto un’aura di purezza nel panorama musicale.
Quale messaggio lascerà questo film al pubblico, alla società in cui viviamo?
Abbiamo realizzato un film che, sebbene ambientato tra il quarto e il quinto secolo, rappresenta una storia molto attuale, alla quale il pubblico potrà facilmente rapportarsi. La storia di un uomo portato dai suoi desideri e ambizioni a una conversione spirituale che renderà la sua vita piena di significato e di scopo. È una storia che riguarda il concetto che le azioni hanno conseguenze, il perdono, la profondità delle relazioni e l’importanza dei valori familiari. È difficile trovare una storia più attuale per la nostra epoca convulsa.
(Ilenia Provenzi)
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