DISCERNERE

Uno sguardo profetico sugli eventi

Casti più che celibi. Paolo Prodi spiega le differenze tra giustizia ecclesiale e civile E quelle tra la virtù e la norma

di Marco Burini
Tratto da Il Foglio del 20 marzo 2010

Roma. La vista lunga dello storico aiuta a mettere a fuoco più nitidamente quello che succede oggi. Sullo scandalo dei preti pedofili, e la discussione sul celibato che ne è seguita, abbiamo raccolto il parere di Paolo Prodi che al ruolo della chiesa e delle sue istituzioni nella storia dell’occidente ha dedicato studi fondamentali. Lo storico di Bologna ricorda che certi abusi sessuali “una volta rientravano tra i peccati riservati giudicati dal vescovo; san Carlo Borromeo aveva le sue prigioni in cui metteva i preti discoli. Questo potere repressivo oggi è finito, ma nella chiesa resiste l’idea di una giustizia interna e quindi la possibilità di sottrarsi alla legislazione civile. Ricordo il caso di quel prete allontanato dalla parrocchia e messo a capo di un orfanatrofio… Certo, restano in vigore pene ecclesiastiche come la scomunica o la sospensione a divinis, ma sono provvedimenti rari, erogati nel segreto e nella paura dello scandalo”. Prodi è scettico quando sente canonisti che ribadiscono la severità della giustizia ecclesiastica. “Il problema è che la chiesa continua a dichiararsi societas perfecta al pari dello stato. E’ vero che la pedofilia riguarda anche altri, ma deve riconoscere che ormai si tratta di un reato, e come tale va sottoposto alla legge”. Anche perché la chiesa è una delle ultime istituzioni educative e quindi ci sono più aspettative. “In effetti non vedo un accanimento, come dice qualche alto prelato. E’ comprensibile che un certo anticlericalismo cavalchi simili vicende, ma è molto più scandaloso che avvengano”. Invece ci si affanna a contare le mele marce e ci si accapiglia per stabilire se sono tante o poche: “E’ un discorso pazzesco, sia che lo facciano gli anticlericali sia che lo facciano certi ecclesiastici che ancora vogliono sopire, troncare”.

Intanto dagli abusi sessuali del clero si è passati al celibato. “Un tema strettamente connesso ma non coincidente”, dice Prodi che ha letto l’ultima esternazione di Hans Küng su Repubblica senza appassionarsi: “E’ rimasto alle beghe professorali di quando era a Münster con Ratzinger, e poi manca di visione storica”. Lo storico bolognese sottolinea come nessuno abbia ricordato che celibato non è castità. “Eppure è una verità elementare. Fin dai primi tempi le comunità monastiche fanno voto di castità come via di perfezione che per mille anni, fino al Concilio di Trento, non viene imposta al clero secolare. La riforma gregoriana dell’Undicesimo-Dodicesimo secolo inaugura la lotta al concubinato dei preti come battaglia contro la secolarizzazione delle proprietà ecclesiastiche e contro la mondanizzazione della chiesa. La difesa del celibato va in parallelo con la lotta alla simonia. Ma oggi il sistema dei benefici è finito”. Insomma, le gerarchie erano preoccupate che un prete che stesse con una donna da cui poteva avere dei figli poi avrebbe dato in eredità alla prole quello che invece doveva andare alla chiesa.

Una preoccupazione concreta prima ancora che un principio ideale. “Ma certo, la chiesa si è sempre misurata con la società che la circondava. Il celibato è un istituto di garanzia nato per difendere la libertas ecclesiae. Questa realtà negli ultimi cinquant’anni è venuta meno. Quando ero piccolo i parroci delle nostre campagne avevano ancora il beneficio – un pezzo di terra, un edificio – e vivevano di questo. Con la fine della società rurale il celibato ha perso la valenza di norma generalizzata e resta come vocazione alla perfezione”. Prodi ipotizza una prassi simile alle chiese ortodosse in cui vige il doppio regime, un clero alto (vescovi, monaci) celibatario e un clero basso (pope) uxorato. E non come cedimento allo spirito del tempo. “Anzi, solo se si storicizza il celibato si può rilanciare la castità come paternità diffusa. Non credo che nel postconcilio la chiesa si sia arresa al secolo, se oggi la chiesa punta alla castità come virtù più che al celibato come norma fa un discorso liberante”. La fine del celibato è intesa da qualcuno come minaccia all’istituzione ecclesiastica: “Non credo. Certo, abolirlo non significherebbe eliminare tutti i preti pedofili o far aumentare le vocazioni. Ma oggi ciò che conta è esaltare la castità e non solo come distacco dalla carne ma come distacco dal possesso delle cose, come principio di ascesi. Così la chiesa recupera la propria tradizione, torna a parlare al cuore dell’uomo”. Predica la grazia e il peccato, lasciando che dei reati si occupi il mondo.