Dal punto di vista del New York Times, probabilmente, c’è un solo modo per uscirne: la Chiesa smetta di essere Chiesa. Era quello che chiedeva già nel 2002, quando lo scandalo dei crimini sessuali commessi da sacerdoti esplose negli Stati Uniti e gli editorialisti del Nyt iniziarono a gareggiare con i colleghi di altre prestigiose testate Usa nella spregiudicata arte dell’equivoco. Le parole d’ordine, oggi come allora, sono sempre le stesse: fire e cover up, «licenziare» e «insabbiare». La Chiesa cattolica deve disfarsi ferocemente dei preti colpevoli, altrimenti rischia l’accusa di favoreggiamento. Detto altrimenti, la Chiesa rinunci a essere eccezione rispetto al mondo, rinunci a sanzionare e al tempo stesso a lavorare perché «nessuno vada perduto» neanche il più disperato e abbrutito degli esseri umani, e si conformi, in tutto, alle regole del mondo. È una pretesa che travalica di molto la sacrosanta richiesta di giustizia e che, di conseguenza, nessun comportamento della Chiesa riesce a soddisfare.
Nel 2002 la risposta di Giovanni Paolo II fu chiara e severa, gli errori e gli orrori nel clero statunitense furono affrontati senza sconti di sorta, figure autorevoli dell’episcopato pagarono di persona un comportamento ritenuto inadeguato. La volontà di moralizzare la Chiesa dal suo interno, rimuovendo ogni deposito di "sporcizia", ha poi caratterizzato fin dal principio la missione di Benedetto XVI, portando nelle ultime settimane alla pubblicazione della Lettera ai cattolici d’Irlanda, uno dei Paesi in cui la piaga dei reati di pedofilia compiuti da consacrati si è rivelata purulenta. Il contenuto del documento è noto a tutti: una condanna inappellabile, un’applicazione intransigente del principio di trasparenza, una collaborazione piena e incondizionata con le istanze della giustizia ordinaria, una chiamata al pentimento. Eppure, a quanto pare, ancora non basta. Negli ultimi giorni il New York Times ha alzato ripetutamente il tiro, cercando di colpire direttamente lo stesso Pontefice. Ieri, nella fattispecie, è toccato di nuovo al caso del "sacerdote H", reintegrato nei suoi compiti pastorali nell’arcidiocesi di Monaco nonostante si fosse già macchiato di crimini sessuali. La Sala stampa vaticana ha smentito seccamente il coinvolgimento dell’allora arcivescovo Joseph Ratzinger, ricordando come il vicario generale dell’epoca, monsignor Gerhard Gruber, abbia già ammesso la piena responsabilità al riguardo. Ma la campagna andrà avanti, c’è da scommetterci, se davvero la posta in gioco non è più soltanto la tutela delle vittime, ma lo statuto stesso della Chiesa.
Ieri come oggi, si sono azzardate interpretazioni al limite del complotto: un certo establishment Usa avrebbe voluto colpire i cattolici per la loro eccessiva vicinanza all’amministrazione Bush oppure per le critiche che una consistente parte dell’episcopato ha mosso ai contenuti della recente riforma sanitaria varata dal presidente Obama. Di sicuro c’è soltanto che il clima di diffidenza contro la Chiesa è stato l’elemento decisivo per il successo spropositato di un mediocre thriller compilato da un oscuro docente di storia dell’arte. Insomma, a guadagnarci finora è stato soltanto Dan Brown con il suo Codice Da Vinci. Per il resto stanno perdendo tutti, a partire da un’opinione pubblica globalizzata bombardata allo scopo di oscurare la sofferenza e l’intima grandezza che accompagnano l’impegno di purificazione assunto da Benedetto XVI e di rovesciare sulla Chiesa che richiama a una moralità superiore l’accusa della più bassa immoralità. Probabilmente non c’è bisogno di invocare alcun complotto per comprendere che cosa sta accadendo.
Agli occhi dei suoi detrattori la Chiesa ha l’imperdonabile difetto di rendere evidente ciò che la cultura contemporanea, al contrario, cerca con ogni mezzo di nascondere, e cioè l’esistenza di un ordine gerarchico e morale connaturato alla realtà, così come connaturata all’umano è la materia oscura del peccato. Tutto questo risulta inaccettabile per certa mentalità e certi circoli ed è per questo che la Chiesa dev’essere "licenziata", per questo il suo messaggio va "insabbiato". Fire, cover up. A meno che, finalmente, la Chiesa non smetta di essere Chiesa. A quel punto, forse, e soltanto a quel punto, perfino il New York Times potrà ritenersi soddisfatto. Ma non accadrà.
Nel 2002 la risposta di Giovanni Paolo II fu chiara e severa, gli errori e gli orrori nel clero statunitense furono affrontati senza sconti di sorta, figure autorevoli dell’episcopato pagarono di persona un comportamento ritenuto inadeguato. La volontà di moralizzare la Chiesa dal suo interno, rimuovendo ogni deposito di "sporcizia", ha poi caratterizzato fin dal principio la missione di Benedetto XVI, portando nelle ultime settimane alla pubblicazione della Lettera ai cattolici d’Irlanda, uno dei Paesi in cui la piaga dei reati di pedofilia compiuti da consacrati si è rivelata purulenta. Il contenuto del documento è noto a tutti: una condanna inappellabile, un’applicazione intransigente del principio di trasparenza, una collaborazione piena e incondizionata con le istanze della giustizia ordinaria, una chiamata al pentimento. Eppure, a quanto pare, ancora non basta. Negli ultimi giorni il New York Times ha alzato ripetutamente il tiro, cercando di colpire direttamente lo stesso Pontefice. Ieri, nella fattispecie, è toccato di nuovo al caso del "sacerdote H", reintegrato nei suoi compiti pastorali nell’arcidiocesi di Monaco nonostante si fosse già macchiato di crimini sessuali. La Sala stampa vaticana ha smentito seccamente il coinvolgimento dell’allora arcivescovo Joseph Ratzinger, ricordando come il vicario generale dell’epoca, monsignor Gerhard Gruber, abbia già ammesso la piena responsabilità al riguardo. Ma la campagna andrà avanti, c’è da scommetterci, se davvero la posta in gioco non è più soltanto la tutela delle vittime, ma lo statuto stesso della Chiesa.
Ieri come oggi, si sono azzardate interpretazioni al limite del complotto: un certo establishment Usa avrebbe voluto colpire i cattolici per la loro eccessiva vicinanza all’amministrazione Bush oppure per le critiche che una consistente parte dell’episcopato ha mosso ai contenuti della recente riforma sanitaria varata dal presidente Obama. Di sicuro c’è soltanto che il clima di diffidenza contro la Chiesa è stato l’elemento decisivo per il successo spropositato di un mediocre thriller compilato da un oscuro docente di storia dell’arte. Insomma, a guadagnarci finora è stato soltanto Dan Brown con il suo Codice Da Vinci. Per il resto stanno perdendo tutti, a partire da un’opinione pubblica globalizzata bombardata allo scopo di oscurare la sofferenza e l’intima grandezza che accompagnano l’impegno di purificazione assunto da Benedetto XVI e di rovesciare sulla Chiesa che richiama a una moralità superiore l’accusa della più bassa immoralità. Probabilmente non c’è bisogno di invocare alcun complotto per comprendere che cosa sta accadendo.
Agli occhi dei suoi detrattori la Chiesa ha l’imperdonabile difetto di rendere evidente ciò che la cultura contemporanea, al contrario, cerca con ogni mezzo di nascondere, e cioè l’esistenza di un ordine gerarchico e morale connaturato alla realtà, così come connaturata all’umano è la materia oscura del peccato. Tutto questo risulta inaccettabile per certa mentalità e certi circoli ed è per questo che la Chiesa dev’essere "licenziata", per questo il suo messaggio va "insabbiato". Fire, cover up. A meno che, finalmente, la Chiesa non smetta di essere Chiesa. A quel punto, forse, e soltanto a quel punto, perfino il New York Times potrà ritenersi soddisfatto. Ma non accadrà.
Alessandro Zaccuri
© Copyright Avvenire 27 marzo 2010