a cura di Andrea A. Galli
Avvenire 24 marzo
Una settimana fa ripubblicavamo la «Nota dottrinale circa alcune questioni riguardanti l’impegno e il comportamento dei cattolici nella vita politica» del 2002 a firma dell’allora cardinale Joseph Ratzinger e dell’allora arcivescovo Tarcisio Bertone. I punti salienti di quel documento – come il giusto concetto di laicità o la dovuta intransigenza per quanto riguarda la difesa della vita umana e della famiglia – sono stati riproposti da Benedetto XVI in numerosissimi interventi, di cui qui riportiamo una mini-silloge: «E’ vero che oggi esiste un nuovo moralismo le cui parole-chiave sono giustizia, pace, conservazione del creato, parole che richiamano dei valori morali essenziali di cui abbiamo davvero bisogno. Ma questo moralismo rimane vago e scivola così, quasi inevitabilmente, nella sfera politico-partitica. Esso è anzitutto una pretesa rivolta agli altri, e troppo poco un dovere personale della nostra vita quotidiana. Infatti, cosa significa giustizia? Chi lo definisce? Che cosa serve alla pace? Negli ultimi decenni abbiamo visto ampiamente nelle nostre strade e sulle nostre piazze come il pacifismo possa deviare verso un anarchismo distruttivo e verso il terrorismo. Il moralismo politico degli anni Settanta, le cui radici non sono affatto morte, fu un moralismo che riuscì ad affascinare anche dei giovani pieni di ideali. Ma era un moralismo con indirizzo sbagliato in quanto privo di serena razionalità, e perché, in ultima analisi, metteva l’utopia politica al di sopra della dignità del singolo uomo, mostrando persino di poter arrivare, in nome di grandi obbiettivi, a disprezzare l’uomo». (Discorso a Subiaco in occasione della consegna del "Premio San Benedetto", 1 aprile 2005) «La generazione è un dono apportatore di vita e di benessere per la società. Ne siamo consapevoli ai nostri giorni di fronte a nazioni che il calo demografico priva della freschezza, dell’energia, del futuro incarnato dai figli. Su tutto, però, si erge la presenza benedicente di Dio, sorgente di vita e di speranza». (Udienza generale, 31 agosto 2005) «Formulo l’auspicio che la riflessione che si farà al riguardo tenga conto della dignità dell’uomo e dei suoi diritti fondamentali, che rappresentano valori previi a qualsiasi giurisdizione statale. Questi diritti fondamentali non vengono creati dal legislatore, ma sono inscritti nella natura stessa della persona umana, e sono pertanto rinviabili ultimamente al Creatore. Se, quindi, appare legittima e proficua una sana laicità dello Stato, in virtù della quale le realtà temporali si reggono secondo norme loro proprie, alle quali appartengono anche quelle istanze etiche che trovano il loro fondamento nell’essenza stessa dell’uomo. Tra queste istanze, primaria rilevanza ha sicuramente quel "senso religioso" in cui si esprime l’apertura dell’essere umano alla Trascendenza. Anche a questa fondamentale dimensione dell’animo umano uno Stato sanamente laico dovrà logicamente riconoscere spazio nella sua legislazione. Si tratta, in realtà, di una "laicità positiva", che garantisca ad ogni cittadino il diritto di vivere la propria fede religiosa con autentica libertà anche in ambito pubblico. Per un rinnovamento culturale e spirituale dell’Italia e del Continente europeo occorrerà lavorare affinché la laicità non venga interpretata come ostilità alla religione, ma, al contrario, come impegno a garantire a tutti, singoli e gruppi, nel rispetto delle esigenze del bene comune, la possibilità di vivere e manifestare le proprie convinzioni religiose». (Lettera al Presidente del Senato Marcello Pera in occasione del convegno di Norcia "Libertà e laicità", 15 ottobre 2005) «Di fronte poi alla pretesa, che spesso affiora, di eliminare la sofferenza, ricorrendo perfino all’eutanasia, occorre ribadire la dignità inviolabile della vita umana, dal concepimento al suo termine naturale». (Messaggio ai Vescovi italiani riuniti ad Assisi per la 55° Assemblea Generale, 10 Novembre 2005) «Matrimonio e famiglia non sono in realtà una costruzione sociologica casuale, frutto di particolari situazioni storiche ed economiche. Al contrario, la questione del giusto rapporto tra l’uomo e la donna affonda le sue radici dentro l’essenza più profonda dell’essere umano e può trovare la sua risposta soltanto a partire da qui [...] il matrimonio come istituzione non è quindi una indebita ingerenza della società o dell’autorità, l’imposizione di una forma dal di fuori, è invece esigenza intrinseca del patto dell’amore coniugale. Non si tratta qui di norme peculiari della morale cattolica, ma di verità elementari che riguardano la nostra comune umanità: rispettarle è essenziale per il bene della persona e della società. Esse interpellano quindi anche le vostre responsabilità di pubblici Amministratori e le vostre competenze normative, in una duplice direzione. Da una parte, sono quanto mai opportuni tutti quei provvedimenti che possono essere di sostegno alle giovani coppie nel formare una famiglia e alla famiglia stessa nella generazione ed educazione dei figli: al riguardo vengono subito alla mente problemi come quelli dei costi degli alloggi, degli asili-nido e delle scuole materne per i bambini più piccoli. Dall’altra parte, è un grave errore oscurare il valore e le funzioni della famiglia legittima fondata sul matrimonio, attribuendo ad altre forme di unione impropri riconoscimenti giuridici, dei quali non vi è, in realtà, alcuna effettiva esigenza sociale. Uguale attenzione ed impegno richiede la tutela della vita umana nascente: occorre aver cura che non manchino di concreti aiuti le gestanti che si trovano in condizioni di difficoltà ed evitare di introdurre farmaci che nascondano in qualche modo la gravità dell’aborto, come scelta contro la vita. In una società che invecchia diventano poi sempre più rilevanti l’assistenza agli anziani e tutte le complesse problematiche attinenti alla cura della salute dei cittadini». (Discorso agli amministratori della Regione Lazio, del Comune e della Provincia di Roma, 12 gennaio 2006) «L’amore di Dio non fa differenza fra il neoconcepito ancora nel grembo di sua madre, e il bambino, o il giovane, o l’uomo maturo o l’anziano. Non fa differenza perché in ognuno di essi vede l’impronta della propria immagine e somiglianza. Non fa differenza perché in tutti ravvisa riflesso il volto del suo Figlio Unigenito». (Discorso ai partecipanti all’assemlea generale della Pontificia Accademia per la Vita e al congresso internazionale "L’embrione umano nella fase del preimpianto", 27 febbraio 2006).