DISCERNERE

Uno sguardo profetico sugli eventi

«Fedeltà di Cristo, fedeltà del Sacerdote». DALL´ESSERE ALLA FUNZIONE: PER LA MISSIONE

Convegno Teologico

Aula Magna

della Pontificia Università Lateranense,

giovedì 11 e venerdì 12 marzo 2010

«Fedeltà di Cristo, fedeltà del Sacerdote»

Conferenza dell’Ecc.mo Mons. Filippo Santoro,

Vescovo di Petrópolis

DALL´ESSERE ALLA FUNZIONE: PER LA MISSIONE

Introduzione

La Chiesa sta celebrando con grande gioia l’anno sacerdotale convocato da Papa Benedetto XVI per favorire la tensione dei sacerdoti verso la perfezione spirituale dalla quale soprattutto dipende l’efficacia del loro ministero[1]”. In quest’anno i sacerdoti sono invitati a approfondire la conoscenza della loro identità e “riscoprire la bellezza e l’importanza del sacerdozio”[2] per vivere con nuova intensità la loro missione.

É anche provvidenziale che il Santo Padre abbia voluto cominciare l’anno sacerdotale subito dopo l’anno dedicato a san Paolo che é modello di una vita totalmente dedicata a Cristo e all’ annunzio del suo nome a tutte le genti. La testimonianza di Paolo e il suo grido ”Guai a me se non annuncio il Vangelo” (1Cor 9,6) risuonano fortemente nella Chiesa universale dilatando la sua coscienza missionaria. In Paolo si può contemplare un modello straordinario di identificazione con Cristo “Siate miei imitatori come io sono di Cristo” (1Cor 11,1), indicando a tutti i fedeli, e particolarmente ai sacerdoti la fonte dell’ardore missionario.

Nello sviluppo di questo tema, ci accompagneranno le parole di Papa Benedetto come fonte e punto di riferimento più completo.

“Cari fratelli nel Sacerdozio, chiediamo al Signore Gesù la grazia di poter apprendere anche noi il metodo pastorale di san Giovanni Maria Vianney! Ciò che per prima cosa dobbiamo imparare è la sua totale identificazione col proprio ministero. In Gesù, Persona e Missione tendono a coincidere: tutta la sua azione salvifica era ed è espressione del suo “Io filiale” che, da tutta l’eternità, sta davanti al Padre in atteggiamento di amorosa sottomissione alla sua volontà. Con umile ma vera analogia, anche il sacerdote deve anelare a questa identificazione”[3].

Queste parole indicano l’origine della identità e della missione di Gesù a partire dal cuore della trinità; e come dice il Papa, ”per una umile, ma vera analogia”, valgono nella vita del sacerdote.

I Parte: L’origine della missione

1. Contemplare il Mistero per comunicare il dono ricevuto

Nella vita della Chiesa, e specialmente nella vita del sacerdote, urge un rinnovato ardore missionario. Negli ultimi anni la formazione sacerdotale, sopratutto nella America Latina, ha preparato il sacerdote come organizzatore delle pastorali, come promotore di attività sociali e politiche ed, in alcuni casi, come uomo del culto. In questi ultimi tempi, la formazione sacerdotale nei seminari ha insistito sulla preparazione liturgica e sulla guida della comunità. Abbiamo più sacerdoti dedicati al culto, alla cura delle pastorali, ma non sembra ancora soddisfacente l´ impegno per formare il sacerdote missionário. L’enfasi che la Chiesa sta dando sulla missione esige una preparazione molto più specifica sin dagli anni del seminario. Questa è la indicazione della V Conferenza dell’Episcopato Latino Americano di Aparecida: formare i discepoli missionari. E ciò che vale per tutti i cristiani, a maggiore ragione, vale per i sacerdoti. Non é questione di muoversi di più, é piuttosto il privilegio di un modello apostolico che vede il Sacerdote assimilato a Cristo e agli Apostoli tra la gente, nelle strade, nelle piazze , dove si incontrano le persone; ed anche nel Tempio. In questo senso San Paolo è un esempio ammirevole. Ma come rinnovare oggi questo ardore missionário nei sacerdoti?

Il Servo di Dio, Giovanni Paolo II, ci ha indicato varie volte la risposta: “Guardare a Cristo”. E il suo magistero é stato assimilato in vari documenti della Chiesa sino alla Conferenza di Aparecida che ripete “A tutti noi spetta ricominciare da Cristo”[4].

Contemplare l’essere di Cristo Sacerdote é il punto di partenza per vivere pieni di ardore missionario. L´essere sacerdotale di Cristo é la fonte della sua missione ed un celebre passo della Lettera agli Ebrei ci mostra nell´obbedienza al Padre l´ aspetto caratterizzante del suo sacerdozio.

“Nello stesso modo Cristo non si attribuì la gloria di sommo sacerdote, ma gliela conferì colui che gli disse: Mio figlio sei tu, oggi ti ho generato. Come in un altro passo dice: Tu sei sacerdote per sempre, alla maniera di Melchìsedek. Proprio per questo nei giorni della sua vita terrena egli offrì preghiere e suppliche con forti grida e lacrime a colui che poteva liberarlo da morte e fu esaudito per la sua pietà; pur essendo Figlio, imparò tuttavia l'obbedienza dalle cose che patì e, reso perfetto, divenne causa di salvezza eterna per tutti coloro che gli obbediscono, essendo stato proclamato da Dio sommo sacerdote alla maniera di Melchìsedek”[5].

Il sacerdozio si manifesta come obbedienza attraverso il sacrificio che diventa fonte di salvezza per gli uomini che gli obbediscono. Dall’essere obbediente del Figlio, dal suo amore appassionato per il Padre scaturisce la salvezza per gli uomini. “Propter nostram salutem”.

Cosi la ragione dell´ essere missionário non è assolutamente frutto di um attivismo o de um entusiasmo passeggero, ma risiede nel cuore della Trinità, in quella misteriosa unitá di amore, obbedienza e dono di sé.

2. Nel cuore della Trinità

Il Dio unico non è solitario; è Padre, Figlio e Spirito Santo. Quello che realmente distingue le tre persone divine è costituito dalle loro relazioni d’origine. Secondo la teologia classica di Santo Agostino e di Santo Tommaso, il Figlio e lo Spirito procedono realmente dal Padre, ma in forma immanente, cioè nella stessa natura divina. Le processioni del Figlio e dello Spirito non sono un’opera ad extra di Dio[6], ma il cuore della sua vita intima ed eterna, il mistero nel senso più stretto della parola.

Le processioni divine si sono manifestate nella economia della salvezza, ossia nelle missione del Figlio (nella incarnazione) e nella missione del Figlio e dello Spirito Santo. In forza di questa missione, noi possiamo avere accesso allo Mistero più essenziale di Dio. Il Catechismo della Chiesa Cattolica esprime così questa verità.

“Tutta l'Economia divina, opera comune e insieme personale, fa conoscere tanto la proprietà delle Persone divine, quanto la loro unica natura. Parimenti, tutta la vita cristiana è comunione con ognuna delle Persone divine, senza in alcun modo separarle. Chi rende gloria al Padre lo fa per il Figlio nello Spirito Santo; chi segue Cristo, lo fa perché il Padre lo attira e perché lo Spirito lo guida”[7].

Da tutto ciò possiamo concludere che l´ uomo, immagine e somiglianza di Dio, è una vera immagine del Mistero trinitario. La rivelazione vera di Dio è stata fatta per mezzo del Figlio inviato a noi dal Padre e concepito per opera del Spirito Santo. Le missioni divine rivelano il mistero di Dio e anche il mistero del uomo. In un celebre passaggio il Vaticano II afferma:

“In realtà solamente nel mistero del Verbo incarnato trova vera luce il mistero dell'uomo. Adamo, infatti, il primo uomo, era figura di quello futuro e cioè di Cristo Signore. Cristo, che è il nuovo Adamo, proprio rivelando il mistero del Padre e del suo amore svela anche pienamente l'uomo a se stesso e gli manifesta la sua altissima vocazione[8].

Il cristiano contemplando il mistero del proprio essere radicato nel mistero della Trinità si riempie di gioia e nella forza del Spirito sente l’urgenza di essere fedele al prototipo di cui é immagine e percepisce che la missione é costitutiva del suo essere.

3. Lo Spirito nell´Incarnazione

Lo Spirito Santo, nella pienezza dei tempi, viene nel seno di Maria e divinamente lo feconda. Così, la natura umana del Salvatore si unisce alla persona del Figlio Eterno del Padre in una forma misteriosa che la teologia chiama unione ipostatica.

Come dice il Credo Niceno-Costantinopolitano Gesù Cristo “é stato concepito per opera dello Spirito Santo nel seno della Vergine Maria”. Ci illumina il Catechismo della Chiesa cattolica:

“La missione dello Spirito Santo è sempre congiunta e ordinata a quella del Figlio. Lo Spirito Santo, che è “Signore e dà la vita”, è mandato a santificare il grembo della Vergine Maria e a fecondarla divinamente, facendo sì che ella concepisca il Figlio eterno del Padre in un'umanità tratta dalla sua. (485)

Il Figlio unigenito del Padre, essendo concepito come uomo nel seno della Vergine Maria, è “Cristo”, cioè unto dallo Spirito Santo, sin dall'inizio della sua esistenza umana, anche se la sua manifestazione avviene progressivamente: ai pastori, ai magi, a Giovanni Battista, ai discepoli. L'intera vita di Gesù Cristo manifesterà dunque “come Dio [lo] consacrò in Spirito Santo e potenza” (At 10,38) (486). [9]

La missione dello Spirito è sempre unita e ordinata al Figlio. E 'lo Spirito Santo che unge il Signore fin dall’inizio della sua esistenza umana e lo accompagna nella sulla vita pubblica secondo una profonda unità tra la “gratia unionis e la gratia capitis”. Questo stesso Spirito sarà infatti dato alla Chiesa per continuare l’opera salvifica di Gesù. Esattamente in questo senso, Giovani Paolo II ha detto che lo Spirito Santo è il protagonista della missione della Chiesa:

“Al culmine della missione messianica di Gesù, lo Spirito santo diventa presente nel mistero pasquale in tutta la sua soggettività divina, come colui che deve ora continuare l'opera salvifica, radicata nel sacrificio della croce. Senza dubbio questa opera viene affidata da Gesù a uomini: agli apostoli, alla chiesa. Tuttavia, in questi uomini e per mezzo di essi, lo Spirito santo rimane il trascendente soggetto protagonista della realizzazione di tale opera nello spirito dell'uomo e nella storia del mondo”.[10]

Appaiono così profondamente unite la missione dello Spirito, l´incarnazione del Verbo e la missione della Chiesa.

4. Gesù Cristo, il mandato del Padre

Ma vediamo più da vicino da dove nasce la missione di Gesù? Nel vangelo di Giovanni si indica l´azione del Padre come inizio della missione di Gesù “Come il Padre ha mandato me” (Gv 21, 21) e questa affermazione é documentata esistenzialmente molte volte dal capitolo V al capitolo X, quando Gesù risponde alla domanda sulla sua identità implicando sempre la presenza di un altro: del Padre.

“Il Figlio da se stesso non può fare nulla, se non ciò che vede fare dal Padre” (Gv 5, 19); “ Il Padre ama il Figlio, gli manifesta tutto quello che fa”(5, 20); “Come il Padre risuscita i morti e da la vita, così anche il Figlio da la vita a chi egli vuole”(5, 21); “Chi non onora il Figlio, non onora il Padre che mi ha mandato” (5, 23); “ Chi ascolta la mia parola e crede in colui che mi ha mandato ha la vita eterna” (5, 24); “Come il Padre ha la vita in se stesso, così ha concesso anche al Figlio di avere la vita in se stesso” (26); “Da me, io non posso fare nulla. Giudico secondo quello che ascolto e il mio giudizio é giusto perché non cerco la mia volontà, ma la volontà di colui che mi ha mandato” (5, 30).

Osserviamo che il Padre é l´origine piena e riconosciuta della vita del Figlio; senza il Padre il Figlio non é niente; Il Figlio chiama il Padre come “ colui che mi ha mandato”, e la natura del Figlio é di essere l´inviato del Padre. Le opere di Gesù testimoniano che il padre lo ha mandato “Le opere che il Padre mi ha dato da compiere, quelle opere che io sto facendo, testimoniano di me che il Padre mi ha mandato” ( 5,36). “Io sono venuto in nome del Padre mio” (5, 43). Il ritornello costante che definisce l´essere di Gesù é “Il Padre che mi ha mandato”[11]

E quando nel capitolo VIII di Giovanni i giudei gli domandano esplicitamente: “Tu chi sei?” (25) e Gesù risponde “ Quando avrete innalzato il Figlio dell´uomo, allora conoscerete che Io Sono e che non faccio nulla da me stesso, ma parlo come il Padre mi ha insegnato. Colui che mi ha mandato é con me: non mi ha lasciato solo, perché faccio sempre le cose che gli sono gradite” (28-29). E dopo aver guarito il cieco dalla nascita (cap. 9), afferma “Io sono la porta” (10, 7), “Io sono il buon pastore” (10, 11), e quindi arriva alla dichiarazione esplicita “Io e il Padre siamo una cosa sola” (10, 30); “Il Padre é in me e io nel Padre” (10, 38).

Dalla dichiarazione di questa identità profonda tra Gesù e il Padre ne segue la missione che non é una aggiunta all´essere di Cristo, ma é la sua natura; non qualcosa che viene dopo, in un secondo momento, ma é costitutiva del suo essere. Gesù non esiste se non come l´inviato del Padre e questo si manifesta nel suo essere, nel suo sguardo e nelle sue opere. Nella polemica con i farisei si accentua il valore inconfutabile delle opere come testimonianza della unità tra Gesù e il Padre.

Nella vita quotidiana, oltre alle opere straordinarie domina un altro elemento: lo sguardo e l´affetto di Cristo. Dalla chiamata dei primi discepoli, alla vocazione di Matteo, di Zaccheo, della Samaritana, di Maddalena. Si rivela un modo di guardare e di trattare le persone, di entrare in rapporto con loro che mostrava e documentava qualcosa di sconosciuto; l´amore del Padre. Tutti erano abbracciati nella loro umanità piena di desiderio e allo stesso tempo ferita e bisognosa di tutto. La missione mostra nel dono di sé che Cristo fa il volto e l´essere del Padre. Un essere che é affezione al povero, all´uomo che grida il suo bisogno.

Cristo non é una solitudine: é una comunione, per questo la sua missione é offrire il suo essere agli uomini come compagnia del loro destino, (del Padre) nel cammino della vita. “Io sono la via, la verità e la vita. Nessuno viene al Padre se non per mezzo di me. Se avete conosciuto me, conoscerete anche il Padre mio” (Gv 14, 6-7). “Filippo? Chi ha visto me ha visto il Padre” (14, 9). L´essere di Gesù si identifica con la missione di comunicare il volto del Padre e questo é un compito urgente, perché lo divora l´affetto per il bisogno dell´uomo e per l´offerta dell´abbraccio del Padre.

5. La Missione dei Dodici e della Chiesa

Nella scena conclusiva del Vangelo di San Matteo Gesù proclama solennemente la missione degli Apostoli e di tutta la Chiesa:

“A me é stato dato ogni potere in cielo e sulla terra. Andate dunque e fate discepoli tutti i popoli, battezzandoli nel nome del Padre del Figlio e dello Spirito Santo, insegnando loro ad osservare tutto ciò che vi ho comandato. Ed ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo” (Mt 28, 18-20).

Questa scena è la fonte e il modello dell’invio perché ci presenta in forma concentrata, la missione della Chiesa in tutti i tempi: battezzare, concedendo all' uomo la vita divina, insegnando ad osservare tutto ciò che il Signore ci ha comandato. L´Enciclica Redemptoris Missio presenta le varie forme del mandato nei quattro vangeli[12] e mette in rilievo il fatto che

“Giovanni è il solo a parlare esplicitamente di «mandato» parola che equivale a «missione» collegando direttamente la missione che Gesù affida ai suoi discepoli con quella che egli stesso ha ricevuto dal Padre: «Come il Padre ha mandato me, così io mando voi». (Gv 20,21) Gesù dice rivolto al Padre: «Come tu mi hai mandato nel mondo, anch'io li ho mandati nel mondo». (Gv 17,18) Tutto il senso missionario del Vangelo di Giovanni si trova espresso nella «preghiera sacerdotale»: la vita eterna è che «conoscano te, l'unico vero Dio e colui che hai mandato, Gesù Cristo». (Gv 17,3) Scopo ultimo della missione è di far partecipare della comunione che esiste tra il Padre e il Figlio: i discepoli devono vivere l'unità tra loro, rimanendo nel Padre e nel Figlio, perché il mondo conosca e creda. (Gv 17,21)”[13].

Gli Apostoli sono mandati, come Gesù é stato mandato e dalla loro unità dipende l´efficacia dell´annunzio missionário finalizzato ad introdurre le persone alla comunione che vive nel cuore della Trinità. La forma dell´annuncio é inseparabile dal suo contenuto. L´unità é all´origine del mandato ed é anche il metodo dell´annuncio e la sua finalità. Per questo l´annunzio ha un fondamento comunionale nella Trinità, in Cristo e nella Chiesa ed ha anche l´obbiettivo di introdurre tutte le genti all´esperienza ineffabile della “communio”.

Da tutto ciò possiamo evidenziare alcune caratteristiche della missione: innanzitutto che essa avviene nella forza dello Spirito.

Lo Spirito santo invero è il protagonista di tutta la missione ecclesiale: la sua opera rifulge eminentemente nella missione ad gentes, come appare nella chiesa primitiva per la conversione di Cornelio, (At 10,1) per le decisioni circa i problemi emergenti, (At 15,1) per la scelta dei territori e dei popoli. (At 16,6) Lo Spirito opera per mezzo degli apostoli, ma nello stesso tempo opera anche negli uditori: «Mediante la sua azione, la buona novella prende corpo nelle coscienze e nei cuori umani e si espande nella storia. In tutto ciò è lo Spirito santo che dà la vita” [14].

In secondo luogo osserviamo che la missione è permanente, durerà fino alla Parusia. Possiamo dire che lo “stato permanente di missione”, raccomandato programmaticamente dalla Conferenza di Aparecida, è un’esigenza intrinseca al mandato del Signore.

In terzo luogo che la missione é il diffondersi di una esperienza già in atto che é la comunione trinitaria ed ecclesiale. Da una esperienza presente di comunione e di pace nasce l´invio e l´annuncio a tutte le genti. Ed inoltre l´origine della missione nella storia é l´esperienza ecclesiale della quale é parte essenziale il ministero sacerdotale. Per questo il sacerdozio é strutturalmente missionario “finché egli venga”.

Dalla comunione nasce l `impeto missionario e non possiamo non ricordare l´Apostolo Paolo: “Annunciare il vangelo non é per me un vanto, perché é una necessità che mi si impone: guai a me se non annuncio il Vangelo!” (Gv 8 16). La missione é questo traboccare di una esperienza; é il traboccare di una vita. Il tempo della vita é il tempo della missione.

II Parte: L’essere del sacerdote

1. Motivazione cristologica

Dopo più di quarant'anni dalla fine del Concilio Vaticano II siamo in grado di ricordare gli anni dolorosi del dopo-Concilio, in cui il dibattito sulla identità del sacerdote era così intenso e sembrava che la sete di novità e di riforma avrebbe soffocato la ricerca serena della verità. Si sviluppò l´“ermeneutica della discontinuità [15], propagandata da molti mezzi di comunicazione, diffondendo molte tesi contrarie alla Sacra Scrittura e alla Tradizione. Oggi questa teologia cerca ancora spazio in alcuni settori arrivando a dire che non si devono chiamare sacerdoti i ministri ordinati, ma solamente presbiteri, insistendo unilateralmente su un fondamento ecclesiologico o puramente funzionale del ministero ordinato.

Dinanzi a queste tesi Giovanni Paolo II, raccogliendo l´insegnamento del Sinodo del 1990 sulla “Formazione sacerdotale oggi”, aveva detto nella Esortazione Apostolica Pastores Dabo Vobis :

“Non si può allora definire la natura e la missione del sacerdozio ministeriale, se non in questa molteplice e ricca trama di rapporti, che sgorgano dalla Santissima Trinità e si prolungano nella comunione della Chiesa, come segno e strumento, in Cristo, dell'unione con Dio e dell'unità di tutto il genere umano. In questo contesto l'ecclesiologia di comunione diventa decisiva per cogliere l'identità del presbitero, la sua originale dignità, la sua vocazione e missione nel Popolo di Dio e nel mondo. Il riferimento alla Chiesa è, perciò, necessario, anche se non prioritario nella definizione dell'identità del presbitero. In quanto mistero, infatti, la Chiesa è essenzialmente relativa a Gesù Cristo: di Lui, infatti, è la pienezza, il corpo, la sposa. È il « segno » e il « memoriale » vivo della sua permanente presenza e azione fra noi e per noi. Il presbitero trova la verità piena della sua identità nell'essere una derivazione, una partecipazione specifica ed una continuazione di Cristo stesso, sommo e unico sacerdote della nuova ed eterna Alleanza: egli è un'immagine viva e trasparente di Cristo sacerdote. Il sacerdozio di Cristo, espressione della sua assoluta « novità » nella storia della salvezza, costituisce la fonte unica e il paradigma insostituibile del sacerdozio del cristiano e, in specie, del presbitero. Il riferimento a Cristo è allora la chiave assolutamente necessaria per la comprensione delle realtà sacerdotali”[16].

E papa Benedetto XVI riferendosi alla crisi di identità del sacerdote così si é espresso nel famoso discorso alla Curia Romana per gli auguri natalizi del suo primo anno di Pontificato. Il Papa fa una lettura attenta del Vaticano II e del clima post conciliare parlando direttamente della “ermeneutica della discontinuità e della rottura e di una “ermeneutica della riforma”.

“I problemi della recezione sono nati dal fatto che due ermeneutiche contrarie si sono trovate a confronto e hanno litigato tra loro. L'una ha causato confusione, l'altra, silenziosamente ma sempre più visibilmente, ha portato frutti. Da una parte esiste un'interpretazione che vorrei chiamare “ermeneutica della discontinuità e della rottura”; essa non di rado si è potuta avvalere della simpatia dei mass-media, e anche di una parte della teologia moderna. Dall'altra parte c'è l'“ermeneutica della riforma”, del rinnovamento nella continuità dell'unico soggetto-Chiesa, che il Signore ci ha donato; è un soggetto che cresce nel tempo e si sviluppa, rimanendo però sempre lo stesso, unico soggetto del Popolo di Dio in cammino. L'ermeneutica della discontinuità rischia di finire in una rottura tra Chiesa preconciliare e Chiesa postconciliare”[17].

Nella “prospettiva della riforma” il ministero ordinato viene descritto manifestazione dell´immagine biblica del buon pastore che da la vita del il suo gregge, come partecipazione alla missione di Cristo e come presenza sacramentale di Cristo capo della Chiesa. Del sacerdozio di Cristo tutti i fedeli partecipano, ma é diversa la situazione degli apostoli da quella degli altri discepoli di Gesù. I Dodici sono stati scelti per predicare il vangelo a tutte le genti, per celebrare i santi misteri e per presiedere l´eucaristia e per guidare le comunità. Il ministero apostolico si prolunga nel ministero post-apostolico dei successori degli apostoli e dei loro diretti collaboratori. Cristo stesso continua la sua missione sacerdotale di capo del suo popolo per mezzo di ministri che, attraverso gli apostoli e i suoi successori, Lui stesso sceglie. Il ministero ordinato si ricollega così alla unzione e missione che propria di Cristo e da Lui partecipata agli Apostoli. Ai loro successori e ai loro collaboratori[18].

Ricevuto il sacramento, il sacerdote è configurato a Cristo Capo della Chiesa e riceve una nuova capacità di agire. Una volta ordinati i presbiteri sono uomini nuovi, inseriti ontologicamente nel mistero di Cristo e sono chiamati ad una “apostolica vivendi forma”che Benedetto XVI ha ricordato nel suo discorso alla Congregazione per il Clero.

“Per l’imposizione delle mani del Vescovo e la preghiera consacratoria della Chiesa, i candidati divengono uomini nuovi, divengono “presbiteri”. In questa luce appare chiaro come i tria munera siano prima un dono e solo conseguentemente un ufficio, prima una partecipazione ad una vita, e perciò una potestas. Certamente, la grande tradizione ecclesiale ha giustamente svincolato l’efficacia sacramentale dalla concreta situazione esistenziale del singolo sacerdote, e così le legittime attese dei fedeli sono adeguatamente salvaguardate. Ma questa giusta precisazione dottrinale nulla toglie alla necessaria, anzi indispensabile, tensione verso la perfezione morale, che deve abitare ogni cuore autenticamente sacerdotale”[19].

2. Motivazione pneumatologica

“Ogni presbitero riceve lo Spirito del Signore nella sua Ordinazione che lo rende partecipe dell´unico sacerdozio di Cristo, della sua missione e del suo servizio agli uomini. I presbiteri “ per l´unzione dello Spirito Santo, sono insigniti di uno speciale carattere che li configura a Cristo sacerdote”[20] ed essi “esistono ed agiscono per l´annunzio del vangelo al mondo e per l´edificazione della Chiesa in nome e in persona di Cristo capo e pastore[21]. I presbiteri sono così “consacrati dall´unzione dello Spirito e inviati da Cristo[22] e in loro i vescovi hanno dei necessari collaboratori e consiglieri nel ministero[23]. Ogni ministro ordinato può fare proprio il testo del profeta Isaia che Gesù applicò a se stesso nella sinagoga di Nazaret: “Lo Spirito del Signore é sopra di me; (...) mi ha mandato per annunziare ai poveri un lieto messaggio” (Lc 4, 18).

Da qui nasce nel sacerdote l´esigenza di una sintonia tra il suo essere e la sua azione. In questo senso, ha detto il Papa Giovanni Paolo II:

“Lo Spirito del Signore ha consacrato Cristo e lo ha mandato ad annunciare il Vangelo. (cf. Lc 4, 18). La missione non è un elemento esteriore e giustapposto alla consacrazione, ma ne costituisce la destinazione intrinseca e vitale: la consacrazione è per la missione. Così, non solo la consacrazione, ma anche la missione sta sotto il segno dello Spirito, sotto il suo influsso santificatore. Così è stato di Gesù. Così è stato degli apostoli e dei loro successori. Così è dell'intera Chiesa e in essa dei presbiteri: tutti ricevono lo Spirito come dono e appello di santificazione all'interno e attraverso il compimento della missione”[24].

Lo Spirito Santo è colui che rende capaci i presbiteri di una vita nuova, e li prepara per la missione. L´effusione dello Spirito diviene fonte di grazia interiore che trasforma l´essere del ministro ordinato e lo rende capace di comunicare gli effetti salvifici dell´unica mediazione di Cristo.

D'altra parte, lo Spirito “soffia dove vuole” (Gv 3, 8), ed è anche presente nel cuore dell’uomo, disponendo ad accogliere la Rivelazione e preparando all’incontro con Cristo. Ogni sacerdote deve essere sempre più consapevole di questo: la missione non è sua, lui non è solo, ma é lo Spirito che lo guida e che lo precede nello cuore di ogni uomo.

3. Motivazione ecclesiologica

Il sacramento dell´ordine produce negli ordinati un nuovo modo di essere e di operare nella Chiesa, non fuori o al di sopra della comunità ecclesiale, ma dal di dentro di essa con un compito specifico ricevuto nella ordinazione.

La base della dottrina del Vaticano II sul sacerdozio é costituita dalla concezione della Chiesa come “sacramento o segno e strumento dell´intima unione con Dio e dell´unità di tutto il genere umano” (LG1; cf. Lg 48; SC2 et alii ). Se ogni cristiano é segno di Cristo, il sacerdote é segno di Cristo in quanto “Capo e Buon Pastore” (PO 2). Da questa identificazione sacramentale nascono le funzioni di ministro della Parola, dei sacramenti e della attività salvifica e pastorale di Cristo (PO 4-6). Il sacerdote é “strumento vivo di Cristo sacerdote” (PO 12).

Nel post-concilio é scoppiata la crisi sacerdotale e Paolo VI l´ha affrontata con chiarezza e coraggio in una tempesta di critiche , seguita alla sua enciclica Sacerdotalis Coelibatus del ´76. Giovanni Paolo II, continuando il magistero del Concilio e di Paolo VI, indice il Sinodo del ´90 e nella Esortazione Pastores Dabo vobis riprende e conferma la concezione conciliare del sacerdote come trasparenza e segno del Buon Pastore nel mondo di oggi.

Dalla partecipazione alla unzione e missione di Cristo nasce una spiritualità sacerdotale che edifica la Chiesa seguendo con radicalità i consigli evangelici della obbedienza, della castità e della povertà. Nella Chiesa comunione, (categoria molto sviluppata dopo il sinodo dell´85), é decisivo lo spirito e la pratica della fraternità sacerdotale come espressione della carità pastorale.

“Anima e forma della formazione permanente del sacerdote è la carità pastorale: lo Spirito Santo, che infonde la carità pastorale, introduce e accompagna il sacerdote a conoscere sempre più profondamente il mistero di Cristo che è insondabile nella sua ricchezza e, di riflesso, a conoscere il mistero del sacerdozio cristiano. La stessa carità pastorale spinge il sacerdote a conoscere sempre più le attese, i bisogni, i problemi, le sensibilità dei destinatari del suo ministero: destinatari colti nelle loro concrete situazioni personali, familiari, sociali”[25].

Da questa immedesimazione con Cristo Buon Pastore e con i bisogni concreti delle persone prende forma la partecipazione alla missione salvifica della Chiesa.

“Nella Chiesa « missione » la formazione permanente del sacerdote entra non solo come necessaria condizione, ma anche come mezzo indispensabile per rimettere costantemente a fuoco il senso della missione e per garantirne una realizzazione fedele e generosa”[26].

In questo contesto ecclesiologico é necessario il riferimento a Maria che é modello della comunione ecclesiale e della missione sacerdotale. La Chiesa, come Maria, riceve la Parola, il Verbo, e diventa madre. Analogamente il sacerdote da al mondo il Figlio di Dio per mezzo del suo ministero. Ma é Maria che ha una funzione materna particolare nella vita del sacerdote perche, guardando a lei impara l´accoglienza della Parola, la perseveranza del suo si e la partecipazione all´offerta della croce.

La dimensione mariana della vita del presbitero non é appena una importante componente affettiva e devozionale, ma é un elemento costitutivo del suo essere e del suo operare.[27] È un riferimento sostanziale nel vivere il cuore della consacrazione e missione del sacerdote come segno sacramentale del Buon Pastore.

Infine nel contesto ecclesiologico notiamo un importante discorso fatto da Papa Benedetto XVI nell’ultima udienza plenaria della Congregazione per il Clero dove metteva in evidenza le dimensioni della missione del presbitero, identificando la loro origine nel mistero di Dio e della Chiesa. Il Papa parlava della dimensione ecclesiale, comunionale, gerarchica e dottrinale che sono assolutamente indispensabili ad ogni autentica missione ed aggiungeva:

“I quattro aspetti menzionati devono essere sempre riconosciuti come intimamente correlati: la missione è “ecclesiale” perché nessuno annuncia o porta se stesso, ma dentro ed attraverso la propria umanità ogni sacerdote deve essere ben consapevole di portare un Altro, Dio stesso, al mondo. Dio è la sola ricchezza che, in definitiva, gli uomini desiderano trovare in un sacerdote. La missione è “comunionale”, perché si svolge in un’unità e comunione che solo secondariamente ha anche aspetti rilevanti di visibilità sociale. Questi, d’altra parte, derivano essenzialmente da quell’intimità divina della quale il sacerdote è chiamato ad essere esperto, per poter condurre, con umiltà e fiducia, le anime a lui affidate al medesimo incontro con il Signore. Infine le dimensioni “gerarchica” e “dottrinale” suggeriscono di ribadire l’importanza della disciplina (il termine si collega con “discepolo”) ecclesiastica e della formazione dottrinale, e non solo teologica, iniziale e permanente”[28].

III Parte: Lo specifico della missione

1. La dimensione missionaria del presbitero

Dai documenti analizzati e dalle riflessioni sin qui svolte si é mostrata dominate la prospettiva trinitaria e cristologica per fondare il ministero ordinato, senza trascurare la dimensione pneumatologica e ecclesiale. Da questi fondamenti emerge la linea evangelica del Cristo consacrato e inviato al mondo dal Padre (Gv 10, 36) per fondare la dimensione missionaria del presbitero.

Dalla coscienza di Gesù di essere il mandato del Padre, che, a sua volta invia gli Apostoli (Gv 13, 20; 17, 18; 20, 21) si sviluppa una “cristologia della missione” che la specifica natura missionaria del presbitero nella Chiesa. L´essere del presbitero é caratterizzato sin dall´inizio dalla “consacrazione-missione” in una rappresentazione sacramentale e vicaria del proprio Cristo. La missione così non é un appendice, ma un elemento strutturante dell´essere del presbitero che la Pastores dabo vobis definisce come “Capo e Pastore della Chiesa”[29].

La stessa Esortazione Apostolica di Giovanni Paolo II aggiunge un nuovo aspetto:

In quanto ripresenta Cristo capo, pastore e sposo della Chiesa, il sacerdote si pone non solo nella Chiesa ma anche di fronte alla Chiesa »[30].

Così si indica il fatto che, se per un verso il sacerdote é un fedele che fa parte della comunità come uomo di comunione che esercita il suo ministero nella forza dello Spirito di Gesù risorto come animatore della comunità, d´altro canto é immagine viva di Cristo sposo della Chiesa di fronte alla quale anche il sacerdote é lo sposo.

E la motivazione teologica offerta per la Pastores Dabo Vobis ´pone in evidenza il primato assoluto della grazia di cui il sacerdote é segno.

“Così, per la sua stessa natura e missione sacramentale, il sacerdote appare, nella struttura della Chiesa, come segno della priorità assoluta e della gratuità della grazia, che alla Chiesa viene donata dal Cristo risorto. Per mezzo del sacerdozio ministeriale la Chiesa prende coscienza, nella fede, di non essere da se stessa, ma dalla grazia di Cristo nello Spirito Santo. Gli apostoli e i loro successori, quali detentori di un'autorità che viene loro da Cristo Capo e Pastore, sono posti — col loro ministero — di fronte alla Chiesa come prolungamento visibile e segno sacramentale di Cristo nel suo stesso stare di fronte alla Chiesa e al mondo, come origine permanente e sempre nuova della salvezza, « lui che è il salvatore del suo corpo »”[31].

E Benedetto XVI, valorizzando il magistero anteriore ha ribadito sinteticamente l´origine della dimensione missionaria del presbitero nell´essere segno di Cristo capo e questo comporta un modo di vivere differente che é il segno dell´annunzio missionario.

“La dimensione missionaria del presbitero nasce dalla sua configurazione sacramentale a Cristo Capo: essa porta con sé, come conseguenza, un’adesione cordiale e totale a quella che la tradizione ecclesiale ha individuato come l’apostolica vivendi forma. Questa consiste nella partecipazione ad una “vita nuova” spiritualmente intesa, a quel “nuovo stile di vita” che è stato inaugurato dal Signore Gesù ed è stato fatto proprio dagli Apostoli”[32].

La missione é la testimonianza della vita cambiata dall´incontro con il Signore e dalla consacrazione sacerdotale. L´apostolica vivendi forma ci riporta allo stile di vita degli Apostoli che percorrevano tutta la terra allora conosciuta per annunciare Cristo e costruire la Chiesa. L´Apostolo che percorre le strade dei popoli, incontra le persone, annuncia la parola, celebra i santi misteri e attrae i cuori con la forza dello Spirito e per il fascino della sua vita. Certamente anche l´Apostolo sente la sproporzione tra ciò che porta e le sue capacità personali, ma la sua vita é dominata dalla presenza di Cristo e dal compito da lui ricevuto. Perciò continua il Santo Padre:

Per l’imposizione delle mani del Vescovo e la preghiera consacratoria della Chiesa, i candidati divengono uomini nuovi, divengono “presbiteri”. In questa luce appare chiaro come i tria munera siano prima un dono e solo conseguentemente un ufficio, prima una partecipazione ad una vita, e perciò una potestas. Certamente, la grande tradizione ecclesiale ha giustamente svincolato l’efficacia sacramentale dalla concreta situazione esistenziale del singolo sacerdote, e così le legittime attese dei fedeli sono adeguatamente salvaguardate. Ma questa giusta precisazione dottrinale nulla toglie alla necessaria, anzi indispensabile, tensione verso la perfezione morale, che deve abitare ogni cuore autenticamente sacerdotale”[33].

L´ annuncio nasce da questa esperienza nuova que l´esercizio dei Tria munera produce perché prima di essere “un ufficio” e “una potestas” é “un dono” e “una partecipazione ad una vita”. Il Papa afferma che l´anno sacerdotale, occasionato dal 150º anniversario della morte de Santo Curato d´Ars, é stato indetto

“per favorire questa tensione dei sacerdoti verso la perfezione spirituale dalla quale soprattutto dipende l’efficacia del loro ministero”[34].

2. Comunicare esistenzialmente la bellezza della consacrazione

Papa Benedetto XVI nella Messa del Giovedì Santo del 2009 indicava la linea della spiritualità missionaria sacerdotale.

“«Consacrali nella verità»: è questa la vera preghiera di consacrazione per gli apostoli. Il Signore chiede che Dio stesso li attragga verso di sé, dentro la sua santità. Chiede che Egli li sottragga a se stessi e li prenda come sua proprietà, affinché, a partire da Lui, essi possano svolgere il servizio sacerdotale per il mondo. (...)

Cristo chiede per i discepoli la vera santificazione, che trasforma il loro essere, loro stessi; che non rimanga una forma rituale, ma sia un vero divenire proprietà di Dio stesso. Potremmo anche dire: Cristo ha chiesto per noi il Sacramento che ci tocca nella profondità del nostro essere. Ma ha anche pregato, affinché questa trasformazione giorno per giorno in noi si traduca in vita; affinché nel nostro quotidiano e nella nostra vita concreta di ogni giorno siamo veramente pervasi dalla luce di Dio”[35].

Ciò che ontologicamente ci é dato dalla ordinazione, secondo le parole del Papa, é orientato a tradursi giorno per giorno in vita perché la novità dell´incontro con Cristo sia visibile e costituisca la forma storica della missione. La spiritualità non é altro che la vita nello Spirito, che si documenta nell´offerta di sé e nella missione.

Il nuovo essere in Cristo e particolarmente l´essere segno di Cristo capo della Chiesa é destinato alla fecondità e a testimoniare come é capace di trasformare la vita. La nuova creatura edifica nella società un popolo diverso ed é chiamata ad entrare in tutto il mondo. La realtà della Chiesa si afferma non come ideologia (teoria e prassi), ma come capacità di trasformare la vita. L´annuncio nasce da un cuore che nell´incontro con Cristo trova l´inizio del suo compimento e che senza Cristo andrebbe in frantumi.

La missione é il vibrare di una ragione inquieta che non si soddisfa con le risposte che corrono sulla superficie della realtà, ma che rischia l´avventura del Mistero. Come già diceva Platone “Kalós gar ho kindynos”( Fedone, 114 d), Il rischio é bello. La missione accade quando anche l´affettività si lancia verso il suo oggetto adeguato: l´abbraccio del bene infinito e concreto. L´esperienza di Cristo come compimento del cuore, ragione, desiderio, affettività é il principio esistenziale della missione. Aveva detto il Signore ”Chi mi segue avrà la vita eterna e il centuplo quaggiù” (Cf. Mt 19, 29; Mc10, 29-30; Lc 18, 30). Avendo lasciato tutto e seguito il Signore, come Pietro e gli Apostoli, si fa l´esperienza di quello che basta alla vita e lo si annuncia a tutti. La missione é finalizzata alla gloria di Cristo e alla vera felicità degli uomini.

Scrive San Paolo ai Corinzi: “L´amore di Cristo ci strugge al pensiero che, se uno é morto per tutti, é morto perche tutti non vivano più per se stessi, ma per Colui che é morto e risuscitato per loro” (2Cor 5, 14-15). La missione é la passione perché tutti vivano per Colui che é morto e risuscitato.

La missione é questo vivere per, che implica un autocoscienza nuova e un nuovo principio dell´azione in cui non c´é più l´io ma il Tu. Come diceva Gesù “io sono il mandato del Padre”. E Paolo indica la nuova sorgente dell´azione: “non vivo più io, ma Cristo vive in me” (Gal 2, 20). Obbedienza totale ad un altro come contenuto della nuova autocoscienza e dinamica missionaria sono una stessa cosa. Ciò che accade nella Trinità, ciò che accade nella persona di Cristo, accade, con le dovute proporzioni, ma in maniera reale nella vita del missionario.

3. Dall´essere alla missione: un itinerario educativo

Il ministero ordinato, attraverso l´annuncio della Parola, il Sacramento e la guida della comunità, genera il soggetto della missione, il popolo di Dio che annunzia sino ai confini del mondo le meraviglie del Signore.

Il passaggio dall´essere alla missione non é automatico; é necessario che la potenzialità si sviluppi, che il seme maturi nella dinamica concreta della vita e non appena in iniziative occasionali ed in attività di specialisti.

Un grande educatore, Luigi Giussani, diceva che la missione non é il termine, ma il metodo dell´educazione. Già in un testo degli anni 60 diceva: “L´ideale sarebbe poter far nascere nella mentalità degli studenti il bisogno di una prospettiva nuova nello studiare, nella scelta della professione, nella concezione della strada della vita: una prospettiva che ecceda il limite di una convenienza, di un gusto, di una carriera, e sconfini invece appassionatamente nella consapevolezza di essere utile al mondo e alla storia”[36]. La missione non viene alla fine dopo un lungo processo di maturazione, ma é essa stessa elemento essenziale della crescita della personalità cristiana.

Questo passaggio avviene in forza della presenza del maestro; e non semplicemente per quello che questi dice o per le istruzioni che dà, ma per come vive, per come tratta la realtà. Gli Apostoli hanno imparato la missione perché hanno visto come Gesù la viveva e hanno obbedito al suo mandato. A loro volta, vivendo secondo lo stile di vita di Gesù, sono stati maestri per le generazioni successive.

Nella vita del Signore, c´e stato un momento, all´inizio del suo ministero pubblico, quando la sua umanità, già unita alla persona del Verbo, ricevette nel battesimo una nuova unzione in vista del suo ufficio messianico. Mediante l´unzione lo Spirito esplica nella storia quel compito che ha nella Trinità, la funzione di essere nesso di amore tra il Padre e il Figlio. Tutto questo per dire che il magistero esterno di Gesù, degli Apostoli, della Chiesa é accompagnato dal magistero interno dello Spirito. Al maestro esteriore si unisce il maestro interiore che particolarmente nel momento della persecuzione, anche nella più grande solitudine, suggerisce le parole adatte (Cf. Mt 10, 19-20). Sant´Agostino parla dello Spirito come “maestro interiore”[37].

La testimonianza interiore deve poi sempre coniugarsi con la testimonianza esteriore, con i doni e i carismi che lo stesso Spirito suscita e tra cui c´é il dono della funzione magisteriale della Chiesa.

L´effusione dello Spirito col suo magistero interiore ed esteriore ha sempre accompagnato la storia della Chiesa particolarmente in epoche decisive ed ha sempre suscitato un nuovo impeto missionario. Ricordiamo solo alcuni momenti come l´espansione della Chiesa nel mondo ellenico e romano; le missioni legate alle scoperte dell´inizio dell´epoca moderna; la diffusione missionaria della Chiesa nella seconda metà dell´ottocento e nel novecento per opera di ordini e congregazioni religiose.

La missione é suscitata dallo Spirito che si serve di carismi per svegliare in tuta la Chiesa la passione missionaria. E la missione prima di essere il partire per terre lontane é la trasformazione della vita quotidiana che diventa desiderio ardente di comunicare il principio della vita nuova. Il passaggio dall´essere alla funzione avviene per un incontro vivo e per la presenza di un maestro che aiuta a giudicare con lo sguardo di Cristo gli interessi e le forme della vita quotidiana.

Prima che di corsi sulla missione, di gruppi di studio e di gruppi di lavoro si tratta di un incontro e di un fascino. Molto opportunamente in tutta l´America Latina e il Caribe, soprattutto dopo la Conferenza di Aparecida si insiste sulla “missione permanente” e (nel capitolo VI del Documento) sulla Formazione dei Discepoli missionari come un fatto globale e non appena come risposta preoccupata all´avanzare delle sette. Quanto più si é coscienti della vita come missione, più si costruisce il Regno di Dio e si é responsabili della missione della Chiesa.

In questa prospettiva il ministero ordinato ha un peso tutto particolare perché sostiene il popolo di Dio nel suo essere e nel suo compito per mezzo del triplice munus. Così dal cuore della Trinità si sviluppa una dinamica irresistibile che ha il suo punto culminante nella croce e risurrezione del Signore e che si dilata nel mondo nella forza dello Spirito e mediante l´opera educativa della Chiesa.



[1] Benedetto XVI, Discorso alla Congregazione per il Clero, 16/03/2009.

[2] Cardinale Hummes, Lettera di inizio dell’anno sacerdotale, 03/04/2009

[3] Lettera Del Santo Padre Benedetto XVI per l'indizione dell'anno Sacerdotale In occasione del 150° Anniversario del "Dies Natalis" di Giovanni Maria Vianney, 16 giugno, 2009.

[4] Documento di Aparecida, n 12, citando NMI 28-29.

[5] Eb 5, 4-10

[6] SAN TOMMASO D´ AQUINO, Summa Theologiae, 1 q. 45 a. 6 co. “Deus est causa rerum per suum intellectum et voluntatem, sicut artifex rerum artificiatarum. Artifex autem per verbum in intellectu conceptum, et per amorem suae voluntatis ad aliquid relatum, operatur. Unde et Deus pater operatus est creaturam per suum verbum, quod est filius; et per suum amorem, qui est spiritus sanctus. Et secundum hoc processiones personarum sunt rationes productionis creaturarum, inquantum includunt essentialia attributa, quae sunt scientia et voluntas”.

[7] Catechismo della Chiesa Cattolica, 259

[8] GS 22

[9] Catechismo della Chiesa Cattolica. 485-486.

[10] Giovanni Paolo II, Redemptoris Missio 21.

[11] Cfr. Tra molte altre citazioni Gv 6, 44. 57; 7, 16.18. 29; 8, 28. 29

[12] Giovanni Paolo II, Encíclica Redemptoris Missio, 22-23;

[13] Ibid., 23.

[14] Ibidem, 21.

[15] BENEDETTO XVI, Discorso ai membri della Curia e della Prelatura Romana per la presentazione degli auguri natalizi, 22/12/2005.

[16] Giovanni Paolo II, Esortazione post-sinodale Pastores Dabo vobis, 12.

[17] BENEDETTO XVI, Discorso ai memembri della Cúria e della Prelatura Romana per la presentazione degli auguri natalizi,, 22/12/2005.

[18] Ibidem.

[19] Ibidem.

[20] PO 2c. 12a.

[21] PdV 15d.

[22] PO 12b; PdV 21-23

[23] PO 7a.

[24] PDV 24.

[25] PdV 70.

[26] PdV 75.

[27] Cf. Congregazione per il Clero, Il Prebitero Pastore e Guida della Comunitá Parrocchiale: “In Maria, Madre del Sommo ed Eterno Sacerdote, il sacerdote prende coscienza di essere con Lei, «strumento di comunicazione salvifica fra Dio e gli uomini», anche se in modo differente: la Santa Vergine mediante l’Incarnazione, il sacerdote mediante i poteri dell’Ordine”, 8.

[28] Benedetto XVI, Discorso ai partecipanti alla plenária della Congregazione per il Clero, 16/03/2009.

[29] PdV 15. Il texto completo dice: “i presbiteri esistono ed agiscono per l'annuncio del Vangelo al mondo e per l'edificazione della Chiesa in nome e in persona di Cristo Capo e Pastore”

[30] PdV 22.

[31] Ibid. 16.

[32] Benedetto XVI, Discorso ai partecipanti allá plenária della Congregazione per il Clero, 16/03/2009.

[33] Ibidem.

[34] Ibidem.

[35] Benedetto XVI, Omelia nella Santa Messa Crismale, 09/04/2009.

[36] Giussani L., Gioventú Studentesca. Riflessioni sopra um´esperienza. Oggi in: Il cammino al vero é un´esperienza, Rizzoli, Milano, 2006, p. 75.


[37] S. Agostino, Sulla prima lettera di Giovanni, 3,13; 4,1 (PL 35, 2004 s.):“Non avete bisogno che alcuno vi istruisca”? Forse che il singolo cristiano sa già tutto per conto suo e che non ha bisogno di leggere, di istruirsi, di ascoltare nessuno? Ma se fosse così, a che scopo l’apostolo avrebbe scritto questa sua lettera? La verità è che c’è bisogno di ascoltare maestri esterni e predicatori esterni, ma che solo capirà e approfitterà di quello che essi dicono colui al quale parla nell’intimo lo Spirito Santo. Questo spiega perché molti ascoltano la stessa predica e lo stesso insegnamento, ma non tutti capiscono allo stesso modo” .