Convegno Teologico
Aula Magna
della Pontificia Università Lateranense,
giovedì 11 e venerdì 12 marzo 2010
«Fedeltà di Cristo, fedeltà del Sacerdote»
Conferenza di S.E.R. Mons. Raymond Leo Burke
Prefetto del Supremo Tribunale della Segnatura Apostolica
DALL’ESSERE ALLA FUNZIONE: PROFILI PASTORALI E GIURIDICI
Introduzione
Trattando dei profili pastorali e giuridici dell’essere sacerdotale è essenziale ricordare il servizio umile ma insostituibile prestato dalla disciplina canonica nella Chiesa. Il Venerabile Papa Giovanni Paolo II, nella Costituzione Apostolica Sacrae disciplinae leges, con la quale egli ha promulgato l’attuale Codice di Diritto Canonico, il 25 gennaio 1983, descrisse in modo lapidario questo servizio, dichiarando:
«E in realtà il Codice di Diritto Canonico è estremamente necessario alla Chiesa. Poiché infatti è costituita come una compagine sociale e visibile, essa ha bisogno di norme: sia perché la sua struttura gerarchica ed organica sia visibile; sia perché l’esercizio delle funzioni a lei divinamente affidate, specialmente quella della sacra potestà e dell’amministrazione dei sacramenti, possa essere adeguatamente organizzato; sia perché le scambievoli relazioni dei fedeli possano essere regolate secondo giustizia, basata sulla carità, garantiti e ben definiti i diritti dei singoli; sia, finalmente, perché le iniziative comuni, intraprese per una vita cristiana sempre più perfetta, attraverso le leggi canoniche vengano sostenute, rafforzate e promosse»[1].
Trattando allora dei profili pastorali e giuridici dell’essere sacerdotale, è necessario tenere sempre in vista la sacra realtà del sacerdozio ordinato, che la disciplina canonica rende visibile, salvaguarda e promuove.
L’essere del sacerdote ordinato
L’essere del sacerdote, in favore del quale la disciplina canonica è al servizio, è stato descritto con queste parole dal Venerabile Papa Giovanni Paolo II:
«Mediante la consacrazione sacramentale, il sacerdote è configurato a Gesù Cristo in quanto Capo e Pastore della Chiesa e riceve in dono un “potere spirituale” che è partecipazione all’autorità con la quale Gesù Cristo mediante il suo Spirito guida la Chiesa»[2].
L’essere del sacerdote è una vera partecipazione alla vita di Gesù, Capo e Pastore del gregge del Padre in ogni luogo e ogni tempo, e così, nelle parole del Venerabile Papa Giovanni Paolo II, «la vita spirituale del sacerdote viene improntata, plasmata, connotata da quegli atteggiamenti e comportamenti che sono propri di Gesù Cristo capo e pastore della Chiesa e che si compendiamo nella sua carità pastorale»[3].
È importante ricordare che il sacerdozio è una vocazione divina, una chiamata ricevuta da Dio, alla quale il chiamato risponde offrendo la sua vita, attraverso la consacrazione o ordinazione. La vocazione è inseparabilmente connessa con la missione sacerdotale, cioè la carità pastorale, quel compendio «degli atteggiamenti e comportamenti che sono propri di Gesù Cristo Capo e Pastore della Chiesa»[4]. Il sacerdote non sceglie una posizione con certe funzioni in una organizzazione che si chiama la Chiesa, ma egli risponde ad una chiamata, una grazia, e con la consacrazione o ordinazione sacerdotale egli è costituito un vero capo e pastore nella Chiesa, il Corpo di Cristo, nel quale Gesù Cristo stesso, nei suoi sacerdoti, è il Capo e Pastore. Il sacerdote non è un funzionario in una organizzazione, ma un membro insostituibile dell’unità organica che è il Corpo vivente di Cristo.
L’esercizio dell’essere sacerdotale
È opportuno notare subito che la traduzione del testo dalla Costituzione Apostolica Sacrae disciplinae leges, che ho citato all’inizio di questa presentazione, mi sembra alquanto difettoso, perché traduce le parole latine “exercitium munerum” con “l’esercizio delle funzioni”, e l’espressione latina “rite ordinare” con la locuzione “possa essere adeguatamente organizzato”. Il senso ecclesiale e perciò canonico non è organizzare qualche funzione, ma di rispettare l’ordine degli uffici inerenti alla vita organica della Chiesa.
In questo senso, sarebbe più giusto parlare dei profili pastorali e giuridici in termini non di funzione dell’essere sacerdotale, ma in termini di esercizio di una grazia conferita, di manifestazione del “carattere indelebile” impresso nell’anima del sacerdote per la consacrazione conferita. Secondo le parole del Catechismo della Chiesa Cattolica, «è ciò che la Chiesa esprime dicendo che il sacerdote, in virtù dell’Ordine, agisce “in persona Christi capitis” – in persona di Cristo Capo»[5]. Egli non esercita una funzione, ma la vivente “carità pastorale” che viene dal Cuore glorioso di Cristo, seduto alla destra del Padre. Questo è il profondo senso della dichiarazione del Santo Curato d’Ars, «Il sacerdozio è l’amore del Cuore di Gesù»[6]. Così si evita una falsa concezione della disciplina della Chiesa come qualcosa di artificiale e esteriore alla vita profonda della Chiesa, e, in particolare, l’astrazione delle norme canoniche riguardo al sacerdozio dall’essere stesso del sacerdote, il che induce ad un formalismo che porta grave danno alla vita dei singoli sacerdoti e perciò alla vita della Chiesa stessa.
Parlando dei profili pastorali e giuridici, dobbiamo essere chiari fin dall’inizio che la disciplina è al servizio della realtà teologica del sacerdozio ordinato e non c’è un modo giusto canonico di procedere se non rispetta pienamente la realtà che la disciplina esiste per servire, salvaguardare e promuovere.
Vista la grande realtà del sacerdozio ordinato in tutta la vita della Chiesa, la disciplina della Chiesa al servizio della vocazione, ordinazione e missione sacerdotale è ampia e molto ricca. Sarebbe impossibile trattare tutta l’ampiezza della disciplina. Oggi vorrei soltanto parlare di alcuni punti riguardanti la vocazione sacerdotale, l’ordinazione sacerdotale, e l’esercizio della missione sacerdotale, che dimostrano il plurisecolare servizio canonico del grande e insostituibile dono del sacerdozio ordinato nella Chiesa. Parlerò della disciplina della Chiesa latina, ma sempre tenendo conto della disciplina delle Chiese Orientali e annotando, con l’occasione, i canoni delle loro Codice.
L’apostolato della vocazione sacerdotale e il seminario
L’attuale Codice di Diritto Canonico, nei primi canoni del capitolo sulla formazione dei chierici sottolinea il dovere di tutta la Chiesa di promuovere la vocazione di quanti sono chiamati al sacro ministero. La disciplina canonica enuncia la particolare responsabilità della famiglia, degli educatori e dei sacerdoti, specialmente i parroci, nell’apostolato delle vocazioni al ministero sacro, e la somma responsabilità del Vescovo diocesano per la cura di questo apostolato. Can. 233, § 1 dichiara:
«È dovere di tutta la comunità cristiana promuovere le vocazioni affinché si possa convenientemente provvedere alla necessità del sacro ministero in tutta la Chiesa; hanno questo dovere specialmente le famiglie cristiane, gli educatori, e in modo particolare i sacerdoti, soprattutto i parroci. I Vescovi diocesani, ai quali spetta in sommo grado curare la promozione delle vocazioni, rendano consapevole il popolo loro affidato dell’importanza del ministero sacro e della necessità di ministri nella Chiesa, suscitino e sostengano le iniziative atte a favorire le vocazioni, soprattutto mediante le opere istituite a tale scopo»[7].
Il secondo paragrafo dello stesso canone mette in chiaro il dovere dei sacerdoti e dei Vescovi diocesani di dare in modo più impegnativo, «con la parola e con l’opera», aiuto e anche preparazione a chi in età più matura sente la chiamata del Signore al sacro ministero[8] (cf. can. 233, § 2).
La responsabilità particolare della famiglia, della parrocchia e della diocesi per la vocazione di chi è chiamato al sacerdozio trova la sua fonte e ispirazione nell’insostituibile ministero del sacerdote in favore di ciascun fedele e di tutti i fedeli, soprattutto nella celebrazione della Santa Messa. L’attenzione particolare data alle vocazioni sacerdotali non diminuisce la dignità delle altre vocazioni, per esempio, la chiamata al matrimonio o alla vita consacrata, ma riconosce l’essenziale servizio del sacro ministero nella risposta a tutte le vocazioni.
Intimamente connessa con la preghiera e altri modi di sostegno di chi è chiamato al sacerdozio è la responsabilità dei Vescovi diocesani di provvedere seminari ben ordinati per la formazione umana, morale, intellettuale e spirituale dei seminaristi. La disciplina canonica favorisce il seminario diocesano, minore e maggiore, per la formazione dei seminaristi nella comunità ecclesiale, nella quale, Deo volente, serviranno come veri pastori. Giustamente, poi, la disciplina canonica insiste che la formazione dei seminaristi «sia impostata in modo che sentano la sollecitudine non solo della Chiesa particolare al servizio della quale sono incardinati, ma anche della Chiesa universale e in modo che si dimostrino pronti a dedicarsi alle Chiese particolari in cui urgano gravi necessità»[9].
I canoni da 234 a 264 trattano di tutta la disciplina essenziale che regge la formazione sacerdotale nel seminario. Non è possibile in questa sede fare l’esame dettagliato di singoli canoni, tutti quanti di somma importanza per una retta cura di quelli che stanno rispondendo alla vocazione sacerdotale. Può essere, però, di aiuto annotare qualche norma fondamentale.
Il can. 242, § 1 richiede che ogni nazione abbia una Ratio per la formazione sacerdotale, «emanata dalla Conferenza Episcopale sulla base delle norme fissate dalla suprema autorità della Chiesa e approvata dalla Santa Sede»[10]. Per mezzo della Ratio la saggezza della disciplina canonica, sviluppata lungo i secoli cristiani, si applica alle situazioni particolari di ogni luogo. Questa Ratio deve essere osservata in tutti i seminari del territorio[11]. Per esempio, la Ratio deve stabilire delle disposizioni riguardo all’ammissione dei seminaristi. Qui si deve notare la disciplina particolare da osservare nel caso dell’ammissione di qualcuno che è stato dimesso «da un altro seminario o da un istituto religioso»[12].
Al centro della disciplina, a partire dall’origine divina della vocazione e in vista dell’identità nuova che l’ordinazione sacerdotale conferisce sul chiamato, vi sono tutte le disposizioni che riguardano la formazione e la vita spirituale dei seminaristi. C’è il rispetto assoluto del foro interno stabilito per il rapporto del seminarista con il confessore e il direttore spirituale. Per esempio, nel prendere la decisione di ammettere un candidato per il seminario o dimettere un seminarista «non può mai essere richiesto il parere del direttore spirituale e dei confessori»[13].
Il Sacramento dell’Eucaristia è necessariamente il cuore della vita spirituale del seminarista e «il centro di tutta la vita del seminario»[14]. Il luogo principale per la scoperta della vocazione sacerdotale si trova nel rapporto con il Signore Gesù, realmente presente nel Santissimo Sacramento. Unita alla devozione eucaristica è la fedeltà alla celebrazione della Liturgia delle Ore, «mediante la quale i ministri di Dio lo invocano a nome della Chiesa per tutto il popolo loro affidato, anzi per tutto il mondo»[15].
La disciplina canonica, rispettando la natura stessa della vocazione sacerdotale, provvede anche che il seminarista coltivi la devozione alla Beata Vergine Maria, specialmente con la preghiera del Santo Rosario, utilizzi altre forme di preghiera e devozione, e si formi alla confessione regolare dei suoi peccati[16]. Gli annuali esercizi spirituali devono diventare una parte essenziale della formazione spirituale del futuro sacerdote[17].
La formazione ad accogliere e vivere il sacro celibato è anche essenziale alla preparazione del seminarista per l’ordinazione. La disciplina canonica sottolinea l’importanza dell’educazione a ricevere il dono del celibato[18]. Questa educazione è posta nel contesto dello sviluppo della consapevolezza «dei doni e degli oneri che sono propri dei ministri sacri della Chiesa, senza alcuna reticenza sulle difficoltà della vita sacerdotale»[19].
Gli impedimenti e le irregolarità
Oltre ai requisiti per l’ordinazione sacerdotale, la Chiesa lungo i secoli ha definito delle condizioni del candidato che gli impediscono di ricevere il Sacramento dell’Ordine o lo rendono irregolare a riceverlo, affinché si verifichi prima dell’ordinazione che il candidato è degno e adatto allo stato sacerdotale, sia all’ordinazione stessa sia all’esercizio della grazia conferita per l’ordinazione. Le irregolarità sono infatti impedimenti che sono per loro natura perpetui[20], per esempio un’infermità psichica che rende la persona incapace dell’esercizio dell’Ordine, o la commissione del delitto di apostasia, eresia o scisma[21]. È importante nel discernimento della vocazione sacerdotale che il candidato sia conscio degli impedimenti e delle irregolarità, e anche i fedeli, in genere, devono conoscere gli impedimenti affinché possano adempire il loro obbligo di rivelarli «se ne sono a conoscenza, all’Ordinario o al parroco, prima dell’ordinazione»[22].
In un mondo secolarizzato e tra fedeli con una scarsa educazione nella fede e nella sua prassi, è importante più che mai dichiarare e spiegare gli impedimenti e le irregolarità, specialmente a quelli che vogliono entrare in seminario o hanno cominciato i loro studi seminaristici. Nel mondo odierno, purtroppo, non è del tutto raro, per esempio, che un candidato abbia avuto qualche positiva cooperazione in un aborto procurato[23]. Due lettere circolari della Congregazione per l’Educazione Cattolica hanno infatti insistito sul dovere dei Vescovi e di altri organismi della Chiesa di informare i candidati al più presto possibile della disciplina canonica sugli impedimenti e le irregolarità[24].
Ci sono anche irregolarità e impedimenti riguardo all’esercizio dell’Ordine già ricevuto[25]. Per quanto riguarda la dispensa dalle irregolarità e dagli impedimenti, si deve osservare la disciplina enunciata nei cann. 1047-1049[26].
L’incardinazione
L’istituto canonico dell’incardinazione esprime e salvaguarda la comunione del singolo sacerdote con tutta la Chiesa, la comunione garantita dal ministero del Successore di San Pietro e i Vescovi in comunione con lui. La disciplina dell’incardinazione, come anche dichiara il can. 265, non prevede l’esistenza di un chierico acefalo o girovago[27]. Allo stesso tempo, l’istituto dell’incardinazione dà forma alla paternità del Vescovo o superiore religioso, che è essenziale per l’esercizio efficace del ministero sacerdotale. Il Venerabile Papa Giovanni Paolo II, nell’Esortazione Apostolica Pastores dabo vobis, scrisse del più profondo senso dell’istituto canonico dell’incardinazione con queste parole:
«In questa prospettiva [l’essenziale e irrinunciabile dimensione ecclesiale della vita spirituale del sacerdote] occorre considerare come valore spirituale del presbitero la sua appartenenza e la sua dedicazione alla Chiesa particolare. Queste, in realtà, non sono motivate soltanto da ragioni organizzative e disciplinari. Al contrario, il rapporto con il Vescovo nell’unico presbiterio, la condivisione della sua sollecitudine ecclesiale, la dedicazione alla cura evangelica del popolo di Dio nelle concrete condizioni storiche e ambientali della Chiesa particolare sono elementi dai quali non si può prescindere nel delineare la configurazione propria del sacerdote e della sua vita spirituale. In questo senso l’incardinazione non si esaurisce in un vincolo puramente giuridico, ma comporta anche una serie di atteggiamenti e di scelte spirituali e pastorali, che contribuiscono a conferire una fisionomia specifica alla figura vocazionale del presbitero»[28].
L’incardinazione non è uno strumento organizzativo di un’associazione, ma una disciplina che serve l’unità organica del Corpo di Cristo nel ministero sacerdotale che è al suo cuore.
Le singole norme riguardanti l’incardinazione e l’escardinazione sono tutte indirizzate al bene del sacerdote e della Chiesa, particolare e universale, per il servizio della quale egli è stato consacrato. Il tempo non ci consente di trattare delle norme contenute nei canoni dal 265 al 272[29], ma la loro accurata conoscenza è certamente necessaria per la retta disciplina della vita sacerdotale.
Si deve indicare una certa lacuna nella disciplina attuale della Chiesa Latina nella materia dell’incardinazione, della quale vale la pena di prendere nota. Nel caso di un sacerdote dimesso da un istituto religioso, l’attuale disciplina permette l’esercizio del Sacro Ordine senza incardinazione, se il sacerdote trova un vescovo che permetta un tale esercizio del ministero sacerdotale. Il can. 701 recita:
«Con la legittima dimissione cessano, per il fatto stesso, i voti e insieme gli obblighi derivanti dalla professione. Tuttavia se il religioso è chierico, non può esercitare gli ordini sacri se prima non ha trovato un Vescovo il quale, dopo un conveniente periodo di prova nella diocesi a norma del can. 693, lo accolga o almeno gli consenta l’esercizio degli ordini sacri»[30].
Non essendo incardinato né in un istituto religioso né in una diocesi, il sacerdote di fatto manca di una paternità nel suo ministero, cioè è acefalo. Finché questa lacuna nella disciplina canonica non sarà colmata, si deve aiutare un sacerdote in tale condizione a conseguire l’incardinazione o almeno cominciare il processo per essere incardinato in una diocesi.
Il can. 494, § 1 del Codice dei Canoni delle Chiese Orientali colma questa lacuna, prescrivendo che:
«Il monaco di voti perpetui e costituito nell’ordine sacro, se ha ottenuto l’indulto di separarsi dal monastero e di ritornare al secolo, non può esercitare gli ordini sacri finché non abbia trovato un Vescovo eparchiale benevolo che lo accolga»[31].
Nel secondo paragrafo dello stesso canone è stabilito che il Vescovo eparchiale può accogliere il sacerdote senza un periodo di esperimento o per un periodo di sperimento di cinque anni. La norma specifica che «nel primo caso il monaco è ascritto all’eparchia per il diritto stesso, nel secondo invece lo è quando sono passati cinque anni, a meno che non sia stato prima espressamente dimesso»[32]. Nella disciplina delle Chiese Orientali un Vescovo non può acconsentire all’esercizio dell’Ordine Sacro di un sacerdote acefalo senza aver almeno messo in movimento il processo di incardinazione per lo stesso sacerdote.
L’ufficio pastorale
Fra i diritti del chierico, e specificamente, del sacerdote, vi è il diritto di «ottenere uffici il cui esercizio richieda la potestà di ordine o la potestà di governo ecclesiastico»[33]. Questo diritto è, infatti, allo stesso tempo, un obbligo per il sacerdote che è consacrato per esercitare l’ufficio pastorale che comprende nella sua integrità il governo ecclesiastico. Il secondo paragrafo del canone 274 sottolinea l’essenziale rapporto fra diritto e obbligo, dichiarando:
«I chierici, se non sono scusati da un impedimento legittimo, sono tenuti ad accettare e adempiere fedelmente l’incarico loro affidato dal proprio Ordinario»[34].
Allo stesso tempo, è consentito nominare un solo parroco o sacerdote moderatore in ciascuna parrocchia[35]. In questa disciplina vediamo riflessa la visione canonica dell’essere sacerdotale, cioè agire nella persona di Gesù Cristo Capo e Pastore della Chiesa.
Lasciando da parte i singoli diritti e doveri del sacerdote, enunciati nei cann. 273-289[36], vorrei soffermarmi in una breve considerazione della disciplina canonica sull’officio del parroco, per illustrare ancora di più come il diritto canonico serve la realtà teologica della vita organica della Chiesa.
La parrocchia per definizione gode del suo proprio pastore, il parroco[37]. Anche nel caso della parrocchia sotto la cura pastorale esercitata da più sacerdoti in solido e nel caso della parrocchia nella quale una persona che non è sacerdote ordinato partecipa nell’esercizio della cura pastorale, la disciplina richiede che un sacerdote serva come moderatore dell’esercizio della cura pastorale[38]. In ogni caso, la norma è la presenza del sacerdote che in virtù della grazia dell’Ordine, non di un principio di organizzazione, agisce nella persona di Cristo, l’unico e vero Pastore e Capo di ogni parrocchia nella Chiesa. Questa verità si esprime nella descrizione dell’ufficio del parroco nel can. 519, che recita:
«Il parroco è il pastore proprio della parrocchia affidatagli, esercitando la cura pastorale di quella comunità sotto l’autorità del Vescovo diocesano, con il quale è chiamato a partecipare al ministero di Cristo, per compiere al servizio della comunità le funzioni di insegnare, santificare e governare, anche con la collaborazione di altri presbiteri o diaconi e con l’apporto dei fedeli laici, a norma del diritto»[39].
Data la natura stessa dell’ufficio di parroco, la disciplina canonica indica i requisiti essenziali di cui il Vescovo deve tener conto nella nomina del parroco[40] e sottolinea l’importanza della stabilità del sacerdote nell’ufficio[41].
Qui è bene notare la responsabilità del parroco per l’amministrazione dei beni temporali della parrocchia. Talvolta per una falsa nozione di pastorale, l’amministrazione dei beni temporali è vista come estranea al ministero pastorale. Il can. 532, al contrario, recita:
«Il parroco rappresenta la parrocchia, a norma del diritto, in tutti i negozi giuridici; curi che i beni della parrocchia siano amministrati a norma dei cann. 1281-1288»[42].
Certamente, il parroco ha bisogno dell’aiuto dei fedeli nella retta amministrazione dei beni temporali della parrocchia. Si pensi, per esempio, ai membri del consiglio parrocchiale per gli affari economici, che è obbligatorio in ogni parrocchia secondo la legislazione universale; è, però, lui che alla fine ha la responsabilità di provvedere che i beni temporali servano nel modo più efficace possibile la missione spirituale della parrocchia[43].
La disciplina canonica indica i doveri principali del parroco, cioè l’annuncio della Parola di Dio, trasmessa nella sua integrità dal Magistero della Chiesa[44], e il concentrare la vita parrocchiale nella celebrazione della Santissima Eucaristia e dei Sacramenti, in genere, e specialmente del Sacramento della Penitenza[45]. Intimamente connessa con i suoi sforzi a fare del Sacratissimo Sacramento e degli altri Sacramenti «il centro dell’assemblea parrocchiale dei fedeli», è la promozione della vita di preghiera e della devozione fra i parrocchiani[46]. Egli ha la responsabilità di moderare le celebrazioni della Sacra Liturgia nella parrocchia «sotto l’autorità del Vescovo diocesano e sulla quale è tenuto a vigilare perché non si insinuino abusi»[47]. Ricordando la massima di Prospero di Aquitania, “La legge del pregare stabilisce la legge del credere”, si capisce quanto è importante la cura del parroco e dei sacerdoti in genere per la celebrazione degna della Sacra Liturgia, secondo le norme contenute nei libri liturgici approvati[48].
Il Codice di Diritto Canonico indica anche i modi essenziali con i quali il parroco adempie le sue responsabilità, cioè la conoscenza personale dei fedeli e la loro cura pastorale nelle varie circostanze, liete e tristi, della loro vita. Il can. 529, § 1 recita:
«Per adempiere diligentemente l’ufficio di pastore, il parroco cerchi di conoscere i fedeli affidati alle sue cure; perciò visiti le famiglie, partecipando alle sollecitudini dei fedeli, soprattutto alle loro angosce e ai loro lutti, confortandoli nel Signore e, se hanno mancato in qualche cosa, correggendoli con prudenza; assista con traboccante carità gli ammalati, soprattutto quelli vicini alla morte, nutrendoli con sollecitudine dei sacramenti e raccomandandone l’anima a Dio; con speciale diligenza sia vicino ai poveri, agli afflitti, a coloro che sono soli, agli esuli e così pure a tutti coloro che attraversano particolari difficoltà; si impegni anche perché gli sposi e i genitori siano sostenuti nell’adempimento dei doveri e favorisca l’incremento della vita cristiana nella famiglia»[49].
Affinché i fedeli adempiano le loro responsabilità per la missione della Chiesa, specialmente nei vari settori del loro impegno nel mondo, il parroco riconosca e promuova la loro distinta identità come laici, anche attraverso il sostegno delle loro proprie associazioni[50].
Il parroco ha anche la responsabilità di promuovere la sana coscienza ecclesiale fra i fedeli, «impegnandosi anche perché i fedeli si prendano cura di favorire la comunione parrocchiale, perché si sentano membri e della diocesi e della Chiesa universale e perché partecipino e sostengano le opere finalizzate a promuovere tale comunione»[51]. Così i fedeli si formeranno, secondo l’esempio dato dal parroco, una coscienza della natura cattolica della Chiesa.
Ci sono altre indicazioni importanti che riguardano l’ufficio insostituibile del parroco nella comunità parrocchiale dei fedeli, quali, per esempio, le norme riguardanti le celebrazioni principali liturgiche affidate al parroco[52], l’applicazione della Messa per il popolo ogni domenica e giorno di precetto[53], la cura dei registri parrocchiali e dell’archivio nel quale gli stessi devono essere conservati[54] nonché la residenza e la presenza costante del parroco in parrocchia[55]. In tutte queste norme troviamo il tesoro della saggezza pastorale della Chiesa e perciò un riflesso della carità pastorale di Cristo, Capo del Suo Corpo Mistico. In questo contesto, sarebbe di grande utilità il rinnovato studio del Direttorio per il Ministero e la Vita dei Presbiteri pubblicato il 31 gennaio 1994 dalla Congregazione del Clero, un documento che sembra troppo poco conosciuto e considerato[56].
La cessazione dall’ufficio del parroco
Data la dignità sacramentale dell’ufficio sacerdotale, l’importanza dell’ufficio del parroco nella vita di tutti i fedeli e la sua nativa stabilità, la disciplina ecclesiale ha sviluppato norme particolari che governano la cessazione da questo ufficio. Il can. 538, § 1 elenca i modi con i quali un parroco cessa dall’ufficio:
«Il parroco cessa dall’ufficio con la rimozione o il trasferimento deciso da parte del Vescovo diocesano a norma del diritto, con la rinuncia fatta dal parroco stesso per giusta causa, la quale, per essere valida, deve essere accettata dal Vescovo, e inoltre cessa allo scadere del tempo se fu costituito a tempo determinato, secondo le disposizioni del diritto particolare di cui nel can. 522»[57].
Le norme particolari sui vari modi di perdita dell’ufficio ecclesiastico si trovano nei cann. 184-196[58]. L’attenta osservanza di queste norme protegge e salvaguarda i diritti di tutti quanti sono coinvolti, il parroco, i parrocchiani e la Chiesa stessa.
Per rispettare il significato dell’ufficio del parroco per il sacerdote stesso e per i fedeli affidati alla sua cura pastorale, la Chiesa ha sviluppato una procedura ben articolata sia per la rimozione sia per il trasferimento di un parroco. La procedura per la rimozione è articolata nei cann. 1740-1747[59] e quella per il trasferimento nei cann. 1748-1752[60]. Non è il caso in questa sede di rivedere i singoli canoni, ma almeno di sottolineare la figura diversa delle due procedure e consigliare la limpidezza nella loro applicazione: non si deve, per esempio, utilizzare la procedura per il trasferimento quando è prescritta la procedura per la rimozione perché «il ministero di un parroco per qualche causa, anche senza sua colpa grave, risulti dannoso o almeno inefficace»[61]. La procedura per il trasferimento invece è indicata per «il bene delle anime oppure la necessità o l’utilità della Chiesa» e per sé presuppone che il parroco da essere trasferito sta governando bene la parrocchia dalla quale sarà trasferito[62].
L’applicazione delle pene per delitti commessi da un sacerdote
È necessario, infine, trattare la questione delle pene inflitte ad un sacerdote per i delitti commessi. Come tutta la disciplina canonica, così anche la disciplina penale da applicare nel caso di un delitto commesso da un sacerdote deve rispettare il carattere distinto e indelebile impresso nell’anima sacerdotale e l’ufficio distinto e insostituibile del sacerdote nel Corpo di Cristo. Non si può entrare in questa sede in tutti i dettagli del diritto penale e disciplinare.
È importante però sottolineare la distinzione tra la censura o pena medicinale, per esempio, la sospensione, nel caso di un sacerdote[63]; la pena espiatoria, per esempio, la dimissione dallo stato clericale per un sacerdote[64]; i rimedi penali e penitenze che hanno lo scopo di prevenire un delitto[65]; la procedura da seguire nell’applicazione di ciascuna forma di pena, rimedio o penitenza, anche attraverso un incremento nel caso di un sacerdote che non si pente[66], e finalmente la distinzione tra l’applicazione di una pena per via amministrativa e per via giudiziaria[67].
In questi ultimi anni, la Chiesa, specialmente negli Stati Uniti, ha sofferto lo scandalo dell’abuso sessuale dei minori da parte di sacerdoti. La situazione oggettiva di un sacerdote che ha abusato di un minore è gravissima in sé stessa. È una violazione della sacra fiducia del gregge nel pastore, che infligge le più gravi ferite al Corpo di Cristo.
Un certo forte coinvolgimento dei mezzi di comunicazione e degli avvocati ha aumentato fortemente il livello dello scandalo e ha reso molto difficile il giudizio oggettivo sulla situazione in se stessa e dei singoli casi di accusa. Lo sforzo di rispondere agli interventi dei mezzi di comunicazione e degli avvocati ha creato facilmente anche un certo pregiudizio contro la adeguatezza della disciplina ecclesiastica nei confronti della predetta situazione.
La Chiesa ha subito la ripetuta accusa di non esser in grado di applicare la giusta disciplina in questa gravissima fattispecie. Molti Vescovi hanno insistito sulla necessità di proteggere i fedeli da un sacerdote propenso all’abuso dei minori e di prevenire l’aumento dello scandalo.
Sarebbe auspicabile la preparazione di un’istruzione da seguire nella trattazione delle cause penali da parte dei Vescovi e dei loro tribunali, come si è fatto nella Chiesa latina con la Istruzione Dignitas connubii per le cause di nullità matrimoniali. Non si può non osservare, per esempio, che già una norma del diritto universale, ossia il can. 1722, contribuisce alla prevenzione degli scandali e di altri pericoli nello svolgimento di un processo penale[68].
La Chiesa, specialmente nei suoi membri più piccoli e meno difesi, ha sofferto una ferita gravissima per gli atti di abuso di minori, commessi dai sacerdoti, ma il giusto rimedio, il rimedio della situazione, che proteggerà e salvaguarderà la Chiesa, si deve cercare nella prassi canonica, sviluppata lungo i secoli e articolata nell’attuale legislazione universale. Nella celebrazione del grande dono del sacerdote ordinato nella Chiesa, «l’amore del Cuore di Gesù»[69], non sembra giusto prescindere da una accurata e completa considerazione dell’attuale situazione dell’applicazione delle pene ecclesiastiche nei casi di sacerdoti accusati dei menzionati delitti.
Conclusione
In conclusione, la considerazione di alcuni istituti della disciplina canonica per quanto riguarda il sacerdozio ordinato illustra l’importante servizio del diritto canonico nella Chiesa, a protezione e salvaguardia della realtà sacra del sacerdozio ordinato nella Chiesa. Tale studio ispira un rispetto più profondo per la disciplina canonica della Chiesa, come veicolo insostituibile di rispetto per il grande dono del sacerdote ordinato.
Il Santo Padre, Papa Benedetto XVI, nell’indizione dell’Anno Sacerdotale, ha proposto lo scopo di tale osservanza, dichiarando «che vuole contribuire a promuovere l’impegno d’interiore rinnovamento di tutti i sacerdoti per una loro più forte e incisiva testimonianza evangelica nel mondo di oggi»[70]. Ci si augura che la più completa attenzione alla disciplina canonica, specialmente a quelle norme che toccano più direttamente la vocazione, ordinazione e missione del sacerdote ordinato, fornirà il suo essenziale contributo all’interiore rinnovamento dei sacerdoti ordinati e così alla loro più forte testimonianza al Vangelo nel mondo odierno.
[1] «Ac revera Codex Iuris Canonici Ecclesiae omnino necessarius est. Cum ad modum etiam socialis visibilisque compaginis sit constituta, ipsa normis indiget ut eius hierarchica et organica structura adspectabilis fiat, ut exercitium munerum ipsi divinitus creditorum, sacrae praesertim potestatis et administrationis sacramentorum rite ordinetur, ut secundum iustitiam in caritate innixam mutuae christifidelium necessitudines componantur, singulorum iuribus in tuto positis atque definitis, ut denique communia incepta, quae ad christianam vitam perfectius usque vivendam suscipiuntur, per leges canonicas fulciantur, muniantur ac promoveantur». Ioannes Paulus PP. II, Constitutio Apostolica Sacrae disciplinae leges, 25 ianuarii 1983, in Acta Apostolicae Sedis 75 (1983) pars II, xii-xiii. Versione italiana: Codice di diritto canonico commentato [= CDCC] a cura della Redazione di Quaderni di diritto ecclesiale, 3ª edizione, Milano: Àncora Editrice, 2009, p. 65.
[2] «Presbyter, per sacramentalem hanc consecrationem, configuratur Christo Iesu quatenus Capiti et Pastori Ecclesiae, atque exinde, donationis instar, recipit eam “spiritualem potestatem” quae participatio est auctoritatis summae qua Christus, per Spiritum suum, ducit Ecclesiam». Ioannes Paulus PP. II, Adhortatio Apostolica Postsynodalis Pastores dabo vobis de sacerdotum formatione in aetatis nostrae rerum condicione, 25 martii 1992, in Acta Apostolicae Sedis 84 (1992) 689, n. 21 [= PDV]. Versione italiana: Enchiridion Vaticanum [= EV], vol. 13, Bologna: Edizioni Dehoniane Bologna, 1995, p. 629, n. 21.
[3] «Spiritualis presbyteri vita instruitur, confingitur, signatur quodammodo iis habitibus, gestibus, placitis, quae Ipsius Christi Iesu, Capitis et Pastoris Ecclesiae, propria sunt, et quae compendio efficiunt caritatem quam dicimus pastoralem». Ibid., 690. Versione italiana: ibid., p. 629.
[4] «iis habitibus, gestibus, placitis, quae Ipsius Christi Iesu, Capitis est Pastoris Ecclesiae, propria sunt». Ibid., 690. Versione italiana: ibid., p. 629.
[5] «Hoc est quod Ecclesia exprimit affirmans sacerdotem, virtute sacramenti Ordinis, in persona Christi Capitis agere». Catechismus Catholicae Ecclesiae, Città del Vaticano: Libreria Editrice Vaticana, 1997, n. 1548. Versione italiana: Catechismo della Chiesa Cattolica, Città del Vaticano: Libreria Editrice Vaticana, 1992, n. 1548.
[6] «Le sacerdoce, c’est l’amour du Coeur de Jésus». A. Monnin, Esprit du Curé d’Ars, Paris: Pierre Téqui Éditeur, 2007, p. 90. Versione italiana: Alfred Monnin, Spirito del Curato d’Ars, tr. Maria Belardetti Maraschini, Milano: Edizioni Ares, 2009, p. 79.
[7] «Universae communitati christianae officium incumbit fovendarum vocationum, ut necessitatibus ministerii sacri in tota Ecclesia sufficienter provideatur; speciatim hoc officio tenentur familiae christianae, educatores atque peculiari ratione sacerdotes, praesertim parochi. Episcopi dioecesani, quorum maxime est de vocationibus provehendis curam habere, populum sibi commissum de momento ministerii sacri deque ministrorum in Ecclesia necessitate edoceant, atque incepta ad vocationes fovendas, operibus praesertim ad hoc institutis, suscitent ac sustentent» (can. 233, § 1). Versione italiana: CDCC. Cf. Codex Canonum Ecclesiarum Orientalium [= CCEO], cann. 329 e 380.
[8] «verbo opereque» (can. 233, § 2). Versione italiana: CDCC. Cf. CCEO, cann. 329, §1, nn. 2-3 e 380.
[9] «Ita provideatur, ut non tantum Ecclesiae particularis in cuius servitio incardinentur, sed universae quoque Ecclesiae sollicitudinem habeant, atque paratos se exhibeant Ecclesiis particularibus, quarum gravis urgeat necessitas, sese devovere» (can. 257, § 1). Versione italiana: CDCC. Non c’è un canone corrispondente nel CCEO.
[10] «Ab Episcoporum conferentia, attentis quidem normis a suprema Ecclesiae auctoritate latis, statuenda et a Sancta Sede approbanda» (can. 242, § 1). Versione italiana: CDCC. Cf. CCEO, can. 330, §§ 1-3.
[11] Cf. can. 242, § 2. Non c’è un canone corrispondente nel CCEO.
[12] «Ex alieno seminario vel instituto religioso dimissi fuerint» (can. 241, § 3). Versione italiana: CDCC. Cf. CCEO, can. 342, § 3.
[13] «Numquam directoris spiritus et confessariorum votum exquiri potest» (can. 240, § 2). Versione italiana: CDCC. Cf. CCEO, can. 339, § 3.
[14] «centrum … totius vitae seminarii» (can. 246, § 1). Versione italiana: CDCC. Cf. CCEO, can. 346, § 2, n. 2.
[15] «Qua Dei ministri, nomine Ecclesiae pro toto populo sibi commisso, immo pro universo mundo, Deum deprecantur» (can. 246, § 2). Versione italiana: CDCC. Cf. CCEO, can. 346, § 2, n. 3.
[16] Cf. can. 246, §§ 2-4 e CCEO, can. 346, § 2, nn. 4-6, senza la menzione del Santo Rosario.
[17] Cf. can. 246, § 5 e CCEO, can. 346, § 2, n. 6.
[18] Cf. can. 247, § 1. Nel can. 355 del CCEO si tratta dell’educazione riguardante gli obblighi dei chierici, senza menzione specifica del sacro celibato.
[19] «De officiis et oneribus quae ministris sacris propria sunt … nulla vitae sacerdotalis difficultate reticita» (can. 247, § 2). Versione italiana: CDCC. Cf. CCEO, can. 355.
[20] Cf. can. 1040. Non c’è un canone corrispondente nel CCEO.
[21] Cf. can. 1041, nn. 1-2. Cf. CCEO, can. 762, § 1, nn. 1-2.
[22] «Si qua norint, Ordinario vel parocho ante ordinationem» (can. 1043). Versione italiana: CDCC. Cf. CCEO, can. 771, § 2.
[23] Cf. can. 1041, nn. 4 e CCEO, can. 762, § 1, n. 4.
[24] Cf. Lettera circolare del 27 luglio 1992 (Prot. n. 1560/90/18) e Lettera circolare del 2 febbraio 1999 (Prot. n. 1560/90/33).
[25] Cf. can. 1044, §§1-2. Cf. CCEO, can. 763.
[26] Cf. CCEO, cann. 767-768.
[27] Cf. CCEO, can. 357, § 1.
[28] «Rebus ita perspectis [essentiales et non renuntiabiles peculiaritates ecclesiales vitae spiritualis sacerdotalis] valor spiritalis evadit pro presbytero ipsa eius inscriptio ac dedicatio in servitium cuiusdam Ecclesiae particularis. In eo enim vinculo non organizationis dumtaxat et disciplinae normae sunt perpendendae: potiora e contra habeantur tum vinculum ipsum quo singuli ad Episcopum in uno Presbyterio uniuntur, tum participatio in sollicitudinibus ecclesialibus, tum denique dedicatio ad curas evangelicas Populi Dei in concretis adiunctis historicis et temporalibus cuiuscumque Ecclesiae particularis; haec enim talia sunt ut per ea vel maxime designetur quodammodo propria sacerdotis eiusque vitae spiritualis imago, atque eo sensu illa quae “incardinatio” dici solet, non vinculum dumtaxat iuridicum constituit, sed habitudines et optiones, spirituales et pastorales, secum fert, quae non parum conferunt in conficiendum concretum archetypum presbyteri». PDV, n. 31. Versione italiana: EV, vol. 13, p. 667.
[29] Cf. CCEO, cann. 357-366.
[30] «Legitima dimissione ipso facto cessant vota necnon iura et obligationes ex professione promanantia. Si tamen sodalis sit clericus, sacros ordines exercere nequit, donec Episcopum inveniat qui eum post congruam probationem in dioecesi, ad normam can. 693, recipiat vel saltem exercitium sacrorum ordinum permittat» (can. 701). Versione italiana: CDCC.
[31] «Monachus a votis perpetuis et in ordine sacro constitutus, si indultum discedendi a monasterio et redeundi ad saeculum obtinuit, non potest ordines sacros exercere, donec Episcopum eparchialem benevolum receptorem invenerit» (CCEO, can. 494, § 1). Versione italiana: EV, vol. 12.
[32] «In primo casu monachus est ipso iure eparchiae ascriptus, in altero vero exacto quinquennio, nisi antea expresse dimissus est». (CCEO, can. 494, § 2)
[33] «Obtinere … officia ad quorum exercitium requiritur potestas ordinis aut potestas regiminis ecclesiastici» (can. 274, § 1). Versione italiana: CDCC. Cf. CCEO, can. 371, § 1.
[34] «Clerici, nisi legitimo impedimento excusentur, munus, quod ipsis a suo Ordinario commissum fuerit, suscipere ac fideliter adimplere tenentur» (can. 274, § 2). Versione italiana: CDCC. Cf. CCEO, can. 371, § 2.
[35] Cf. can. 526, § 2. Cf. CCEO, can. 287, § 2.
[36] Cf. CCEO, cann. 368-374; 376-379; 381-386 e 392.
[37] Cf. can. 515, § 1. Cf. CCEO, can. 279.
[38] Cf. can. 517, §§ 1-2. Cf. CCEO, can. 287, § 2.
[39] «Parochus est pastor proprius paroeciae sibi commissae, cura pastorali communitatis sibi concreditae fungens sub auctoritate Episcopi dioecesani, cuius in partem ministerii Christi vocatus est, ut pro eadem communitate munera exsequatur docendi, sanctificandi et regendi, cooperantibus etiam aliis presbyteris vel diaconis, atque operam conferentibus christifidelibus laicis, ad normam iuris» (can. 519). Versione italiana: CDCC. Cf. CCEO, can. 281, § 1. La norma orientale non esplicita la natura cristologica dell’ufficio del parroco.
[40] Cf. cann. 521, §§ 1-3 e 524. Cf. CCEO, cann. 281, § 1 e 285, § 1.
[41] Cf. can. 522. Cf. CCEO, can. 284, § 3.
[42] «In omnibus negotiis iuridicis parochus personam gerit paroeciae, ad normam iuris; curet ut bona paroeciae administrentur ad normam cann. 1281-1288» (can. 532). Versione Italiana: CDCC. Cf. CCEO, can. 290, § 1.
[43] Cf. can. 537 e CCEO, can. 295.
[44] Cf. can. 528, § 1 e CCEO, can. 289, § 1.
[45] Cf. can. 528, § 2 e CCEO, can. 289, § 2.
[46] «Centrum … congregationis fidelium paroecialis» (can. 528, § 2). Versione italiana: CDCC. Cf. CCEO, can. 289, § 2.
[47] «Sub auctoritate Episcopi dioecesani … ne abusus irrepant, invigilare tenetur» (can. 528, § 2). Versione italiana: CDCC.
[48] «Legem credendi lex statuat supplicandi», citato in A. G. Martimort, L’Église en prière: Introduction à la Liturgie, ed. 3ª, Paris: Desclée, 1965, p. 231.
[49] «Officium pastoris sedulo ut adimpleat, parochus fideles suae curae commissos cognoscere satagat; ideo familias visitet, fidelium sollicitudines, angores et luctus praesertim participans eosque in Domino confortans necnon, si in quibusdam defecerint, prudenter corrigens; aegrotos, praesertim morti proximos, effusa caritate adiuvet, eos sollicite sacramentis reficiendo eorumque animas Deo commendando; peculiari diligentia prosequatur pauperes, afflictos, solitarios, e patria exsules itemque peculiaribus difficultatibus gravatos; allaboret etiam ut coniuges et parentes ad officia propria implenda sustineantur et in familia vitae christianae incrementum foveat» (can. 529, § 1). Versione italiana: CDCC. Cf. CCEO, can. 289, § 3.
[50] Cf. can. 529, § 2. Cf. CCEO, can. 289, § 3.
[51] «Allaborans etiam ut fideles communionis paroecialis curam habeant, iidemque tum dioecesis tum Ecclesiae universae membra se sentiant operaque ad eandem communionem promovendam participent vel sustineant» (can. 529, § 2). Non c’è una norma corrispondente nel CCEO.
[52] Cf. can. 530 e CCEO, can. 290, § 2.
[53] Cf. can. 534, §§ 1-3 e CCEO, can. 295.
[54] Cf. can. 535, §§ 1-5 e CCEO, can. 296, §§ 1-5.
[55] Cf. can. 533, §§ 1-3 e CCEO, can. 292, §§ 1-3.
[56] Congregatio pro Clericis, Directorium pro Presbyterorum Ministerio et Vita, Città del Vaticano: Libreria Editrice Vaticana, 1994. Versione italiana: Congregazione per il Clero, Direttorio per il Ministero e la Vita dei Presbiteri, Città del Vaticano: Libreria Editrice Vaticana, 1994.
[57] «Parochus ab officio cessat amotione aut translatione ab Episcopo dioecesano ad normam iuris peracta, renuntiatione iusta de causa ab ipso parocho facta et, ut valeat, ab eodem Episcopo acceptata, necnon lapsu temporis si, iuxta iuris particularis de quo in can. 533 praescripta, ad tempus determinatum constitutus fuerit» (can. 538, § 1).
[58] Cf. CCEO, cann. 965-978.
[59] Cf. CCEO, cann. 1389-1396.
[60] Cf. CCEO, cann. 1397-1400.
[61] «Alicuius parochi ministerium ob aliquam causam, etiam citra gravem ipsius culpam, noxium aut saltem inefficax evadat» (can. 1740). Cf. CCEO, can. 1389.
[62] «Bonum animarum vel Ecclesiae necessitas seu utilitas» (can. 1748). Cf. CCEO, can. 1397.
[63] Cf. cann. 1312, § 1, n. 1; 1331-1333; CCEO, cann. 1401 e 1431-1434.
[64] Cf. cann. 1313, § 1, n. 2; 1336; CCEO, cann. 1429-1430 e 1433, §§ 1- 2
[65] Cf. cann. 1312, § 3; 1339-1340; CCEO, can. 1427, §§ 1-2.
[66] Cf. cann. 1341-1353; 1717-1731; CCEO, cann. 1402, § 2; 1407, 1409-1410; 1412; 1435; 1471, § 1; 1468-1487. Riguardo all’incremento nell’applicazione delle pene in caso di contumacia cf, per esempio: cann. 1315, § 3; 1326, § 2; 1348, § 3; 1364, § 2; 1370, § 1; 1378, § 3; 1395, § 1; CCEO, cann.1405, §§ 1-2; 1416; 1436, § 1; 1443; 1445, § 1; 1453, § 1.
[67] Cf. cann. 1341-1342; CCEO, can. 1402, § 2.
[68] Cf. CCEO, can. 1473.
[69] Cf. nota n. 6 supra.