Ricordiamo l'ultima  immagine che Giovanni Paolo ii ha lasciato agli uomini del suo tempo:   quella di un anziano malato, sfinito, incapace di camminare, appena in  grado di parlare. Un'immagine scioccante, quasi scandalosa, ma destinata  a far passare un messaggio forte, controcorrente rispetto all'epoca:   la grandezza dell'uomo è anche quella dell'uomo malato, sofferente o  menomato. Sconvolgenti, quasi impudiche, le ultime apparizioni di colui  che era stato un tempo soprannominato "lo sportivo di Dio" hanno nutrito  il ricordo contrastato di un personaggio fuori dal comune e di un Papa  eccezionale.
Eccezionale, innanzitutto, per il suo itinerario personale. Mentre  tutti i suoi predecessori erano italiani, provenienti da famiglie  numerose, e avevano maturato la loro vocazione fin dal seminario minore,  Karol Wojtyla  è polacco, ha perso tutta la sua famiglia e  ha avuto  una "vocazione adulta":  maggiorenne, appassionato di teatro, quest'uomo  pensa ancora di diventare un attore professionista! È solo alla morte  del padre che sceglie, nel settembre 1942, il sacerdozio. Quindici anni  dopo, il bisogno di ricostruire la Chiesa nel suo Paese dopo una guerra  terribile spinge l'episcopato polacco a fare di lui, a 38 anni, uno dei  più giovani vescovi del suo tempo.
 Eccezionale, poi, per la sua longevità. Su 262 Papi, solo Pio ix  (1846-1878) ha regnato più a lungo di lui, se si esclude, secondo la  tradizione, l'apostolo Pietro in persona. Al di là del mero primato,  basti ricordare che questo Papa ha avuto come interlocutori cinque  successivi presidenti degli Stati Uniti e sei leader storici russi! Fra  l'elezione e la scomparsa di Giovanni Paolo II, la Chiesa cattolica ha  dovuto affrontare l'accelerata scristianizzazione dell'Europa, un grande  spostamento della fede verso il sud del pianeta, la crescente  concorrenza delle sette, il risveglio degli integralismi religiosi e il  rifiuto generale di qualsiasi magistero, soprattutto morale, nelle  nostre società del benessere. 
 Giovanni Paolo II ha insomma guidato la Chiesa fra grandi cambiamenti, a  volte spaventosi, per oltre ventisei anni:  il crollo del comunismo,  l'Europa allargata a venticinque Paesi, la globalizzazione, l'acuirsi  del terrorismo, l'ascesa dell'islamismo, i progressi della bioetica, e  così via. Tanti mutamenti inimmaginabili quel 16 ottobre 1978, quando i  membri del Collegio cardinalizio, sconvolti dalla morte improvvisa di  Albino Luciani dopo trentatré giorni di regno, hanno scelto come Papa  Karol Wojtyla, di 58 anni, un polacco quasi sconosciuto dalla camminata  sportiva e insieme composta. Il suo primo messaggio, pronunciato il  giorno dell'inizio solenne del suo magistero, avrebbe dato il tono di  quel pontificato nascente di cui nessuno poteva immaginare l'intensità:   "Non abbiate paura!". 
 Eccezionale, infine, Giovanni Paolo II lo è stato per quello che ha  detto e quello che ha fatto. A cominciare da ciò che resterà in tutti i  manuali di storia:  il suo ruolo nel crollo del sistema comunista  dell'Est europeo. Se un evento di una simile portata ha chiaramente  molteplici cause, nessuno mette in dubbio il ruolo fondamentale svolto  dal "Papa slavo". Basti ricordare lo straordinario viaggio  dell'arcivescovo emerito di Cracovia nel suo Paese natale, nel giugno  1979, viaggio che resta, per molti storici, la prima breccia aperta  nella "cortina di ferro", e che ha conferito una dimensione inedita, un  anno dopo, alla rivolta operaia sulle rive del Baltico. Chi altro  avrebbe sostenuto così attivamente il sindacato Solidarnosc, e,  ancor di più,  tutti i dissidenti e gli altri difensori dei diritti  dell'uomo nei Paesi dell'Est? "Questo Papa è un dono di Dio", disse  allora alla Bbc lo scrittore Aleksandr Solgenitsin.
 Al tempo della "distensione" fra Est e Ovest, e mentre il  marxismo-leninismo continuava a diffondersi (in Laos, in Mozambico, in  Afghanistan), solo un Papa venuto dalla Polonia poteva osare affermare  che il comunismo era una "parentesi" nella vita di questi Paesi e che la  divisione dell'Europa in due era un "incidente" della storia. Certo,  Giovanni Paolo II non era un capo militare, e neppure un uomo politico, e  ancor meno un crociato dell'anticomunismo. Le sue armi furono le  parole:  in ogni occasione, questo Papa umanista e poliglotta predicava i  diritti dell'uomo, la libertà religiosa, la dignità umana, il diritto  alla verità. Tutti valori particolarmente sovversivi nei Paesi del  "socialismo reale", ma anche in altri tipi di dittatura, come ad Haiti,  nelle Filippine, in Paraguay. Giovanni Paolo II sottolinea  nell'enciclica Centesimus annus (1991) che il liberalismo  potrebbe essere anch'esso condannato se commettesse lo stesso errore del  socialismo:  dimenticare il primato dell'uomo.
  Ma la memoria collettiva, su questo piano, non ricorderà solo la sua  azione ostinata a favore dei diritti dell'uomo. Il Papa polacco, che non  dimenticò mai il suo passato personale, fu anche il difensore  appassionato di quella comunità naturale che è la nazione:  "I diritti  dell'uomo non possono essere rispettati laddove i diritti della nazione  sono scherniti", ricordò un giorno alle Nazioni Unite. Fu anche un  accanito difensore della pace:  dalla sua azione personale nella  controversia sul canale di Beagle, che aveva quasi opposto militarmente  il Cile e l'Argentina nel 1979, fino ai suoi tentativi disperati per  impedire l'intervento militare americano in Iraq nel 2003, Giovanni  Paolo II non ha mai smesso di spiegare che "la guerra è sempre una  sconfitta dell'umanità". 
 Al confine fra il politico e il religioso, il ricordo di Giovanni Paolo  II resterà strettamente legato allo straordinario avvicinamento al  mondo ebraico. Nessun Papa aveva compiuto tanti sforzi per dissipare  l'odio, la diffidenza o il disprezzo che hanno così spesso  caratterizzato, in questi duemila anni, le relazioni fra ebrei e   cristiani. Dalla sua visita al Tempio Maggiore di Roma nel 1986 - dove  definì gli ebrei "fratelli maggiori" - all'instaurazione di relazioni  diplomatiche normali fra la Santa Sede e Israele nel 1993-94, Giovanni  Paolo II ha cambiato, in questo ambito, il corso della storia. Certo,  non ha dissipato la diffidenza che molti ebrei provano nei confronti dei  cattolici, come si è visto nel corso delle "questioni" che hanno  costellato il suo pontificato, dalla costruzione di un convento  carmelitano ad Auschwitz alla stretta di mano con Kurt Waldheim,  passando per  la nomina di monsignor Lustiger a capo dell'arcidiocesi di  Parigi. Ma nell'inedito cammino di "pentimento" che ha imposto alla  Chiesa all'alba del terzo millennio, il perdono chiesto da Giovanni  Paolo II agli ebrei a nome dei cristiani di ieri e di oggi ha costituito  una svolta nelle relazioni fra le due confessioni. Se di questo Papa  dovesse restare domani una sola immagine, sarebbe certamente quella  dell'anziano Pontefice dalla mano già tremante che depone una preghiera  in una fessura del Muro del Pianto, a Gerusalemme, durante il "grande  giubileo" dell'anno 2000. 
 Il ricordo  sfuma nel tempo. A cinque anni dalla morte  di Giovanni  Paolo II, i media tendono a contrapporre la sua immagine a quella del  suo successore. Significa dimenticare che Giovanni Paolo II fu, sul  piano della morale, un Papa legato alla tradizione della Chiesa, e che  difese appassionatamente le sue convinzioni in materia familiare e  sessuale. Inamovibile di fronte alla multiforme messa in discussione dei  valori familiari tradizionali, soprattutto al matrimonio omosessuale, e  sostenitore della castità e della fedeltà di fronte al diffondersi del  virus dell'Aids, eppure questo Papa è stato il primo a celebrare la  bellezza dell'atto sessuale vissuto come un dono assoluto di un uomo a  una donna (e viceversa), condannando allo stesso tempo tutto ciò che  altera il carattere assoluto di questo dono. È questo l'ideale di vita  proposto da Giovanni Paolo II. 
 Ciò che ha accentuato il malinteso fra Giovanni Paolo II e le società  occidentali riguardo alla contraccezione è stato l'amalgama che spesso i  mass media hanno fatto con la sua posizione inespugnabile, senza  riserve né compromessi, rispetto all'aborto. Quante volte Giovanni Paolo  II ha condannato, talvolta con rara violenza verbale,  come a Kielce  nel 1991, l'eliminazione dei "bambini che stanno per nascere"! Dopo  quindici anni di regno, Giovanni Paolo II ha persino fatto della  denuncia della "cultura della morte" un tema centrale del suo  insegnamento, difendendo nel suo libro Varcare la soglia della  speranza "il diritto di nascere e quello di morire di morte  naturale". Allo stesso tempo, non senza logica, Giovanni Paolo II ha  fatto uscire la Chiesa dalle sue ambiguità passate, condannando  definitivamente la pena di morte. 
 Giovanni Paolo II non può essere classificato. Questo Papa capace di  gesti sorprendentemente audaci - come invitare tutte le religioni del  mondo ad Assisi, nel 1986, contro il parere di alcuni dei suoi   cardinali -  non ha mai nascosto la propria preferenza per la  conservazione delle tradizioni sacramentali e liturgiche. Entusiasmato  dai dibattiti ai quali prese parte al concilio Vaticano ii, quando era  ancora un giovane vescovo, Giovanni Paolo II non ha forzato  l'"aggiornamento" caro al suo lontano predecessore Giovanni XXiii. Così,  nel campo dell'ordinazione di uomini sposati e dei divorziati  risposati, ha scelto di restare fedele alla disciplina della Chiesa.  Come ha sempre difeso tradizioni antiche - dalla confessione individuale  alla recita del Rosario - che facevano parte della quotidianità dei  fedeli all'epoca della sua giovinezza. Nello stesso modo ha sviluppato  il culto della Vergine - ha visitato moltissimi santuari mariani del  mondo - e quello dei santi:  non ha forse beatificato oltre 1.300  persone e canonizzato quasi 500 beati, più di qualsiasi altro Pontefice   prima di lui? Il giorno in cui gli è stata rimproverata questa  inflazione agiografica, questo Papa dal grande senso dell'umorismo ha  risposto:  "Rivolgetevi allo Spirito Santo!". 
 Infine, di Giovanni Paolo II si serberà il ricordo del suo attaccamento  alla "responsabilità principale" del vescovo di Roma:  l'unità della  Chiesa. Al di là di alcune misure energiche nei confronti della  Compagnia di Gesù, di certi universitari americani, della "teologia  della liberazione" o degli epigoni di monsignor Lefebvre, Giovanni Paolo  II si è soprattutto impegnato a "ricentrare" una Chiesa strattonata,  alla fine degli anni settanta, fra un'ala progressista che flirtava con  il marxismo e un'ala conservatrice tentata dall'integralismo. Un quarto  di secolo dopo, le nozioni di "cristiani di sinistra" e di "cristiani di  destra" sono quasi scomparse. La Chiesa, in buona parte grazie a lui,  ha superato le vecchie divisioni inasprite dall'attuazione del concilio  Vaticano ii e dall'impatto sociale del 1968. La viscerale diffidenza di  Giovanni Paolo II nei confronti delle ideologie ha rimesso l'uomo al  centro di tutto:  "L'uomo è la via della Chiesa" ha ripetuto centinaia  di volte.
 Due immagini, infine, illustrano e completano questa evocazione troppo  veloce. La prima è quella delle enormi assemblee nelle messe che  Giovanni Paolo II ha celebrato nei quattro  angoli della Terra:   nel  corso dei suoi 250 viaggi (di cui più di 100 fuori dall'Italia), colui  che si è definito "pastore universale" non si è accontentato  d'internazionalizzare la Curia, ma ha anche profondamente "globalizzato"  una Chiesa cattolica che era rimasta, fino a  quel momento, molto  "romana". La seconda immagine è quella delle immense folle di giovani  riunite durante la Giornata mondiale della gioventù  che il Papa ha  convocato, in genere ogni due anni, a partire dal 1985. Quanti milioni  di adolescenti e di giovani genitori si sono ritrovati a Czestochowa,  Parigi, Roma e Toronto per ascoltare il più esigente, il meno demagogo  di tutti i pensatori dell'epoca?
 Questa straordinaria ed emozionante complicità fra l'anziano Papa e i  giovani del mondo, controcorrente rispetto a tutti gli stereotipi  mediatici della nostra epoca, resterà, senza dubbio, il più bel mistero  del pontificato di Giovanni Paolo II. E la garanzia del suo perpetuarsi  nel futuro che, a cinque anni dalla sua morte, non fa che cominciare.
(©L'Osservatore Romano - 29-30 marzo 2010)