Il Cisf (Centro  internazionale studi famiglia) ha condotto una ricerca empirica sul  costo dei figli in Italia che offre stime attuali, precise e  significative. Sono state intervistate le stesse famiglie (un campione  di 4000 famiglie rappresentativo della popolazione italiana) anziché,  come spesso si fa, basarsi sui dati Istat relativi ai consumi o alla  spesa pubblica. Vengono distinti i costi di mantenimento (quelli che  fanno fronte alle necessità o bisogni di base: alimenti, vestiario,  igiene, istruzione, ecc.) e i costi di accrescimento (o allevamento, che  riguardano in particolare le spese per beni oltre quelli  indispensabili, e richiedono ‘tempo dedicato’, relazionalità, gestione  delle opportunità di vita dei genitori e dell’intera famiglia). Cosa  emerge? 
 La popolazione italiana è  composta da famiglie anagrafiche di cui il 53,4% non ha figli. Solo una  minoranza di famiglie ha almeno un figlio. Dobbiamo prendere atto di una  situazione abbastanza drammatica, nel senso che abbiamo a che fare con  una popolazione assai anziana e in gran parte destinata a non avere  figli. Il peso della riproduzione della popolazione cade su delle  minoranze: cioè sul 21,9% delle famiglie che hanno un figlio, il 19,5%  che ne ha due, il 4,4% che ne ha tre, mentre le famiglie con quattro  figli o più rappresentano lo 0,7%. E ci si chiede: possibile che, con  questi numeri, non si riesca a fare di più per sostenere le famiglie che  hanno dei figli o che ne desiderano uno in più? È chiaro, infatti, che  la spesa pubblica è usata molto di più per sostenere le aziende e gli  affari economici che le famiglie con figli. Si tratta di una politica  miope, che non comprende neppure che, senza figli, non ci sarà forza  lavoro, non ci saranno i contributi per la previdenza sociale degli  anziani, e in generale questa situazione demografica costituisce un  freno al benessere complessivo della popolazione. 
 Un secondo dato da  considerare attentamente è lo scarto fra il numero medio dei figli avuti  dagli intervistati, pari a 1,71, e il numero medio dei figli  desiderati, pari a 2,13. 
 Quali sono le cause di così  pochi figli? La distribuzione dei fattori dichiarati dagli intervistati  come decisivi sull’avere meno figli di quelli desiderati mostra un  risultato assai interessante: l’avere avuto poche risorse finanziarie ha  inciso per il 19,5%; la scarsa disponibilità di tempo nel conciliare  famiglia e lavoro ha inciso per l’8,9%; la casa troppo piccola ha inciso  per lo 0,3%; l’assenza di servizi per l’infanzia (asili, ecc.) per lo  0,3%; la precarietà del lavoro per l’1,5%; il posporre la nascita del  figlio agli anni a venire per l’11,7%; mentre le altre ‘motivazioni  personali’ hanno inciso per il 57,8% dei casi. In sostanza, le cause che  hanno ristretto la natalità sono per quasi il 58% rappresentate da  motivi soggettivi! Possiamo dire, in breve, che si tratta di motivi  psicologici legati al senso di incertezza e di rischio sul futuro, così  come a fattori culturali inerenti alle difficoltà di impegnarsi  nell’educazione dei figli, più che a vincoli strutturali o economici in  senso stretto.
 La spesa media mensile per i  figli a carico è il 35,3% della spesa familiare totale. Ma sugli  alimenti e bevande i figli spendono più della metà dell’intera famiglia  (in media: 244,7 euro al mese per i figli su 449,5 euro per l’intera  famiglia). Le spese medie per la “paghetta” ai figli (23,7 euro al mese)  sono decisamente superiori alle spese medie per l’istruzione (12,5 euro  al mese).
 Come riescono le famiglie ad  arrivare alla fine del mese? Con grande difficoltà il 16,4% (area della  povertà), con una certa difficoltà il 18,0% (area a rischio di povertà),  con qualche difficoltà il 37,2% (strati sociali più bassi, ma sopra la  linea della povertà), con una certa facilità il 22,4% (classi medie),  con facilità il 5,3% (classi medio-alte), con grande facilità lo 0,8%  (classi più elevate). Se analizziamo gli estremi, abbiamo il 34,4%  nell’area delle difficoltà e il 28,4% nell’area della facilità ad  arrivare alla fine del mese.
 La distribuzione dei redditi  familiari sembra da Paese del Terzo Mondo. Il 60,2% della popolazione  vive con un reddito familiare inferiore a 1.500 euro al mese. È vero che  il 53,1% della popolazione vive senza figli (il 26,6% sono persone sole  – in genere anziani –, e il 21,5% sono coppie senza figli). Ciò induce a  pensare che, a parte gli anziani soli e le coppie di anziani i cui  figli sono ormai grandi e autonomi, la popolazione italiana sopravvive  decentemente proprio perché rinuncia ad avere figli. 
 In media, secondo le  previsioni degli italiani intervistati, un figlio in più costa al mese  643 euro, e questa è una cifra che per la gran parte delle coppie,  specie quelle giovani, non è sostenibile.
 Il Rapporto raggruppa le  famiglie italiane in tre grandi gruppi significativi quanto ai loro  diversi stili di vita e modalità di intendere e praticare il costo dei  figli. 
 I risultati sono riportati  nel volume Il costo dei figli: quale welfare per le famiglie? (editore  Franco Angeli) a cura di Pierpaolo Donati.
  In sintesi. I bambini sono  diventati soprattutto un bene di consumo, che viene comparato con altri  beni come l’acquisto dell’auto, fare una vacanza all’estero, e così via.  Anche fra gli immigrati (seconde generazioni) comincia a declinare il  senso del figlio come investimento generazionale. Siamo quindi di fronte  a una mercificazione dei figli. Le politiche pubbliche rafforzano  questa tendenza perché puntano sui trasferimenti monetari (del tutto  insufficienti) e non aiutano a sviluppare un adeguato sistema dei  servizi, i quali rimangono scarsi dal punto di vista quantitativo e  ancor più qualitativo. Occorre invertire la rotta, o l’Italia è  destinata non solo al declino demografico, ma anche e soprattutto a una  frammentazione del tessuto sociale che giocherà sempre più negativamente  sulle opportunità sia di avere figli, sia di poter dare loro dei  percorsi di vita sostenibili. Il Rapporto raccomanda due linee di  azione. La prima è lo sviluppo di un welfare sussidiario e relazionale  per le famiglie. La seconda è l’equità fiscale da perseguire con  l’aumento dell’assegno al nucleo, delle deduzioni e detrazioni puntando,  nel medio periodo, alla instaurazione del quoziente familiare (detto  ‘pesato’ per evitare la redistribuzione dalle famiglie meno benestanti a  quelle più ricche).
 http://www.stpauls.it/cisf/Default.htm
  Pierpaolo Donati