Nell'ambito del progetto di pubblicazione dell'Opera omnia di Inos Biffi è uscito il volume Sapere il mistero. Il mistero di Cristo (Milano, Jaca Book, 2010, tomo i, pagine 506, euro 56). Ne ha scritto per "L'Osservatore Romano" il cardinale arcivescovo emerito di Bologna.
di Giacomo Biffi Dopo i sei volumi, corposi e densi, che raccolgono le ricerche e le valutazioni sulla teologia medievale nelle sue varie epoche e nelle diverse "scuole", monsignor Inos Biffi - nell'ambito dell'imponente progetto dell'Opera omnia - comincia a offrirci radunati in questo nuovo volume i risultati della sua riflessione speculativa.
Il discorso che qui inizia è diverso, ma in effetti non c'è tra i primi libri e questo nessuna cesura: le vaste e puntigliose indagini storiche hanno nutrito e arricchito (lo si percepisce subito) la meditazione teoretica, preservandola dall'inconsistenza e dalla superficialità che talvolta capita di incontrare nella letteratura teologica dei nostri tempi. Anzi, esse sono paradossalmente tra le ragioni dell'originalità e (mi arrischio a dire) persino della singolare "attualità" di un pensiero robusto come questo.
Queste pagine esaudiscono, mi pare, le inespresse aspirazioni di un'umanità che principia a essere un po' sazia delle cangianti "mode teologiche"; e, anche quando non se ne rende conto, avverte qualche nostalgia delle "certezze intramontabili" e della "verità" sostanziale che, continuando a sussistere nel mondo eterno di Dio, è venuta a "porre la sua tenda tra noi" (cfr. Giovanni, 1, 14).
"Io ho quel che ho donato", diceva Gabriele D'Annunzio che non aveva regalato molto di più della magia rutilante del suo eloquio. Inos Biffi, al contrario, è convinto di avere (anzi di essere) quello che ha ricevuto; soprattutto che ha ricevuto da una delle più luminose e feconde epoche della civiltà cristiana, alla quale ha avuto la ventura, la capacità, la costanza di abbeverarsi.
Di più, egli è convinto di essere quello che è anche in virtù degli insegnanti che ha potuto personalmente ascoltare. Così si spiega perché questo libro si apra con la rassegna (acuta, oggettiva, riconoscente) della mirabile schiera di maestri che - negli anni Quaranta e Cinquanta - hanno costituito nel Seminario di Venegono, senza neppure proporselo esplicitamente, una "scuola" imparagonabile di contemplazione e di vita. La trentina di pagine che in apertura egli dedica al suo "itinerario teologico" e, come egli la chiama, alla "ghirlanda" di maestri che l'hanno ispirato e guidato, non sono soltanto illuminanti per la comprensione della sua personalità: rappresentano altresì la migliore e più perspicace rievocazione di una stagione ecclesiale da non dimenticare, che adesso rischia invece di uscire definitivamente dalla conoscenza delle nuove generazioni.
A dire in sintesi il contenuto ontologico della prospettiva totalizzante che qui è proposta, serve (e basta) una sola parola: cristocentrismo, purché la si intenda come va intesa; che non è un caso frequente.
Il cristocentrismo nel significato autentico e pieno "non si limita ad affermare che il Verbo incarnato sta al centro o al vertice di tutto" (p. 252).
Il cristocentrismo nel significato autentico e pieno prende sul serio quanto è chiaramente insegnato dall'inno della lettera ai Colossesi (1, 13-20). Gesù di Nazaret, "per mezzo del quale abbiamo la redenzione e il perdono dei peccati", non è solo alla fonte dell'ordine di salvezza e di elevazione soprannaturale; è anche "il primogenito di tutta la creazione perché in lui furono create tutte le cose nei cieli e in terra" (vv. 15-16). Egli "è prima di tutte le cose e tutte in lui sussistono" (v. 17).
Secondo san Paolo, dunque, Gesù "è l'evento assolutamente originale, che sta al principio, senza nessun presupposto necessario o motivazione logica; proviene da una pura e inimmaginabile grazia divina; comprende e coinvolge tutto, senza che nulla di quanto esiste gli sia estraneo" (p. 9).
A questo punto si capisce che è abbastanza comico che qualche cultore della sacra doctrina abbia deciso a un certo momento di procedere a una "svolta antropologica", e se ne sia vantato. L'unica esauriente inimitabile svolta antropologica è stata compiuta dal Padre nel suo progetto libero ed eterno: un progetto tutto fondato sul fatto che il suo Unigenito, rimanendo a lui consostanziale, possieda in verità e pienezza la natura umana.
"Se dall'eternità l'uomo è nel disegno di Dio, perché il Figlio era predestinato a farsi uomo, si può parlare in modo speciale di assolutezza dell'umanità, in quanto traguardo di predilezione e di preferenzialità della Trinità" (p. 41). Allora, può concludere Inos Biffi, "sorge da questa inimmaginabile filantropia divina una sorpresa immensa e incontenibile, che si fa adorazione silenziosa" (ibidem).
Come si vede la connessione nostra, e di ogni uomo fosse il più remoto dal Vangelo, anzi di ogni creatura esistente con l'Unigenito del Padre, pensato e voluto prima di tutti i secoli anche come il Figlio di Maria, è di una intensità ontologica da dare le vertigini. "In lui Dio ha fatto tutto e detto tutto, e tutto donato" (p. 9). Se per ipotesi assurda Cristo fosse estromesso dalla realtà, si sfascerebbe ogni cosa e nulla più esisterebbe (cfr. p. 9).
Si intuisce agevolmente che, una volta che questo convincimento conquisti e appassioni l'intelligenza del teologo, l'intera sua esplorazione della verità rivelata arrivi ad altezze inedite e sorprendenti; di tutta la verità rivelata, da quella che concerne l'esistenza cristiana (pp. 337-424) a quella della vita trinitaria (pp. 427-446), a quella della misteriosa santità della Chiesa (pp. 446-459).
Da un po' di tempo mi punge un interrogativo un po' inquietante. Quanti anni ancora dovranno passare prima che almeno una buona parte della res publica theologica, italiana e non italiana, si avveda con gioia di un teologo e di una teologia di questa originalità, di questa ineccepibile ortodossia, di questo valore?
(©L'Osservatore Romano - 11 marzo 2010)