In un libro di Dario Fertilio l’agghiacciante vicenda dell'"esperimento Pitesti" compiuto tra il 1949 e il ’52 Un carcere, affidato a sadici aguzzini, fu trasformato in girone infernale. Per creare l’uomo nuovo
di Ernesto Vergani
Ben oltre i Gulag, oltre ancora Pol Pot. Ma anche oltre Auschwitz e Mengele. L’apice dell’orrore del comunismo, l’orrore del totalitarismo, è stato toccato fra il 1949 e il 1952 nel carcere speciale di Pitesti, in Romania, a nord di Bucarest. Senza dubbio fu così, come documenta Musica per lupi. Il racconto del più terribile atto carcerario nella Romania del dopoguerra di Dario Fertilio (Marsilio, pagg. 172, euro 15) appena uscito in libreria. A Pitesti, sotto la guida di Eugen Turcanu (anch’egli detenuto, caratterizzato da acuta intelligenza, prestanza fisica e istruito allo scopo) il neonato regime comunista cercò, al fine di creare l'uomo nuovo, di azzerare l’anima dei prigionieri: intellettuali, borghesi, religiosi, persone comuni. «Soprattutto studenti universitari», come annota Fertilio, «d’opposizione al regime instauratosi, in Romania, sulla punta delle baionette sovietiche». Erano in gran parte legionari dell’Arcangelo Michele, o Guardie di Ferro: insomma, ex allievi del leader di estrema destra (e filo-nazista) Corneliu Codreanu. Lo strumento utilizzato erano le torture continue, giorno e notte, senza pausa. Queste torture, in un crescendo senza fine, potrebbero ricordare quanto descritto nelle 120 giornate di Sodoma del marchese De Sade, poi ripreso nel celebre film di Pier Paolo Pasolini. Ma furono molto peggio. Al punto che per leggere questo libro durissimo, bisogna mentire a se stessi e convincersi del fatto che non è possibile siano accadute simili atrocità.
Invece fu proprio così, come dimostrano i documenti raccolti da Dario Fertilio, giornalista del Corriere della Sera e autore di libri e romanzi. Ecco le torture praticate, così come appaiono nell’elenco degli atti penalmente rilevanti sulla base del quale verrà istruito il processo di cui diremo: «pestaggi eseguiti per mezzo di fruste da mandriani, cinture, lance, e barramine; sospensioni al soffitto con pesi da 40 chili per ore e giorni consecutivi; torture agli occhi dei detenuti per mezzo della esposizione prolungata alla luce elettrica; strappo dei capelli alle radici; rottura delle dita delle mani e dei piedi; tortura con il metodo della goccia cinese; nutrizioni forzate a base di sale con divieto di bere; cozzi procurati delle teste, al modo delle incornate tra cervi; bruciature delle piante dei piedi; percosse alle tibie per mezzo di barre metalliche; costrizione a leccare il contenuto dei buglioli; partecipazione obbligatoria a torture collettive, induzione a commettere reciprocamente atti di sodomia; sospensioni al soffitto per le ascelle con zaini sulla schiena carichi di pietre; schiacciamento sotto il peso di corpi, varianti fra il numero di quindici e diciassette; sbattimento di crani contro cemento o pareti delle celle; costrizione a dormire in posizioni fisse; perforazione delle piante dei piedi per mezzo di aghi; posizioni obbligate contro il muro, puntando l’uno o l’altro piede, per la durata di tutta la notte; ordine di produrre masse fecali dove successivamente si depongono gli alimenti; induzione a orinare nelle bocche dei compagni; disposizioni di mangiare direttamente dalle gavette cibo bollente, a quattro zampe e senza ricorrere alle mani; immersioni prolungate delle teste nei buglioli; percosse alle casse toraciche sino alla frattura delle costole…».
Alla fine questo spaventoso campionario di disumane brutalità non giunge al fondo della questione. Lo scopo era annientare le anime dei reclusi di Pitesti: la famiglia, i genitori, il proprio passato non solo dovevano essere rinnegati appunto a seguito della tortura che durava giorno e notte, ma si doveva arrivare a un livello per cui si accusavano i propri genitori, i propri figli, la propria moglie delle peggiori nefandezze. Così il giovane studente arriva a confessare di avere avuto rapporti sessuali con la madre, il padre e persino con gli animali, e di averne tratto grande piacere. Oppure, il religioso deve partecipare alla processione in cui a Gesù e Maria vengono rivolti insulti irripetibili e ricevere l’eucaristia intingendo il pane nell’urina. Così si arriva al paradosso che il torturato stesso cerchi Eugen Turcanu al fine di denunciare il proprio passato, rivelare di aver compiuto o pensato le cose più inimmaginabili. Il tutto in un’atmosfera che sconfina addirittura in un misticismo folle e blasfemo.
Dario Fertilio, con il suo consueto stile coinvolgente, rispettoso dell’uso della lingua, descrive i mille volti dell’orrore comunista utilizzando la tecnica del ritratto. Ciascun protagonista viene «disegnato» velocemente a partire dal suo passato perché risalti con forza maggiore la agghiacciante metamorfosi dell’anima, che pure sembrava impossibile. Ciò che ci fa capire Dario Fertilio, intellettuale che ha sempre messo al centro della propria attenzione la libertà, è che il comunismo - come del resto tutti i totalitarismi (ma il comunismo per suoi aspetti per così dire «contronatura» come il divieto di possedere potrebbe avere sviluppato tale tendenza in modo parossistico) - ha in sé l’obiettivo dell’annientamento del diverso. Costi quel che costi. Nel 1952, quando le prime notizie sull’esperimento di Pitesti cominciarono a filtrare, per evitare lo scandalo vennero incriminati gli autori e il processo si concluse con la pena di morte per i responsabili diretti, senza toccare gli alti mandanti. La fucilazione dei condannati avvenne nel 1954. Il regime non ebbe alcun sussulto, tutto proseguì come nulla fosse accaduto. Il segreto è stato gelosamente sepolto nella tomba di Eugen Turcanu e ancora oggi - nonostante qualcuno in Romania stia cercando di girare un film sull’argomento - il tabù è intatto. Ancora non è chiaro quanti furono gli sventurati che subirono i «trattamenti» di Pitesti. Le stime sono imprecise e oscillano tra i mille e i cinquemila. Ma l’orrore e la sofferenza inenarrabili di quei detenuti non potranno mai essere cancellati.
Invece fu proprio così, come dimostrano i documenti raccolti da Dario Fertilio, giornalista del Corriere della Sera e autore di libri e romanzi. Ecco le torture praticate, così come appaiono nell’elenco degli atti penalmente rilevanti sulla base del quale verrà istruito il processo di cui diremo: «pestaggi eseguiti per mezzo di fruste da mandriani, cinture, lance, e barramine; sospensioni al soffitto con pesi da 40 chili per ore e giorni consecutivi; torture agli occhi dei detenuti per mezzo della esposizione prolungata alla luce elettrica; strappo dei capelli alle radici; rottura delle dita delle mani e dei piedi; tortura con il metodo della goccia cinese; nutrizioni forzate a base di sale con divieto di bere; cozzi procurati delle teste, al modo delle incornate tra cervi; bruciature delle piante dei piedi; percosse alle tibie per mezzo di barre metalliche; costrizione a leccare il contenuto dei buglioli; partecipazione obbligatoria a torture collettive, induzione a commettere reciprocamente atti di sodomia; sospensioni al soffitto per le ascelle con zaini sulla schiena carichi di pietre; schiacciamento sotto il peso di corpi, varianti fra il numero di quindici e diciassette; sbattimento di crani contro cemento o pareti delle celle; costrizione a dormire in posizioni fisse; perforazione delle piante dei piedi per mezzo di aghi; posizioni obbligate contro il muro, puntando l’uno o l’altro piede, per la durata di tutta la notte; ordine di produrre masse fecali dove successivamente si depongono gli alimenti; induzione a orinare nelle bocche dei compagni; disposizioni di mangiare direttamente dalle gavette cibo bollente, a quattro zampe e senza ricorrere alle mani; immersioni prolungate delle teste nei buglioli; percosse alle casse toraciche sino alla frattura delle costole…».
Alla fine questo spaventoso campionario di disumane brutalità non giunge al fondo della questione. Lo scopo era annientare le anime dei reclusi di Pitesti: la famiglia, i genitori, il proprio passato non solo dovevano essere rinnegati appunto a seguito della tortura che durava giorno e notte, ma si doveva arrivare a un livello per cui si accusavano i propri genitori, i propri figli, la propria moglie delle peggiori nefandezze. Così il giovane studente arriva a confessare di avere avuto rapporti sessuali con la madre, il padre e persino con gli animali, e di averne tratto grande piacere. Oppure, il religioso deve partecipare alla processione in cui a Gesù e Maria vengono rivolti insulti irripetibili e ricevere l’eucaristia intingendo il pane nell’urina. Così si arriva al paradosso che il torturato stesso cerchi Eugen Turcanu al fine di denunciare il proprio passato, rivelare di aver compiuto o pensato le cose più inimmaginabili. Il tutto in un’atmosfera che sconfina addirittura in un misticismo folle e blasfemo.
Dario Fertilio, con il suo consueto stile coinvolgente, rispettoso dell’uso della lingua, descrive i mille volti dell’orrore comunista utilizzando la tecnica del ritratto. Ciascun protagonista viene «disegnato» velocemente a partire dal suo passato perché risalti con forza maggiore la agghiacciante metamorfosi dell’anima, che pure sembrava impossibile. Ciò che ci fa capire Dario Fertilio, intellettuale che ha sempre messo al centro della propria attenzione la libertà, è che il comunismo - come del resto tutti i totalitarismi (ma il comunismo per suoi aspetti per così dire «contronatura» come il divieto di possedere potrebbe avere sviluppato tale tendenza in modo parossistico) - ha in sé l’obiettivo dell’annientamento del diverso. Costi quel che costi. Nel 1952, quando le prime notizie sull’esperimento di Pitesti cominciarono a filtrare, per evitare lo scandalo vennero incriminati gli autori e il processo si concluse con la pena di morte per i responsabili diretti, senza toccare gli alti mandanti. La fucilazione dei condannati avvenne nel 1954. Il regime non ebbe alcun sussulto, tutto proseguì come nulla fosse accaduto. Il segreto è stato gelosamente sepolto nella tomba di Eugen Turcanu e ancora oggi - nonostante qualcuno in Romania stia cercando di girare un film sull’argomento - il tabù è intatto. Ancora non è chiaro quanti furono gli sventurati che subirono i «trattamenti» di Pitesti. Le stime sono imprecise e oscillano tra i mille e i cinquemila. Ma l’orrore e la sofferenza inenarrabili di quei detenuti non potranno mai essere cancellati.
«Il Giornale» del 16 marzo 2010