DISCERNERE

Uno sguardo profetico sugli eventi

L’avvocato del diavolo Jeff Anderson ha dedicato la vita a difendere i minori da preti molesti. “ex ateo” non devoto, sogna di denunciare il Papa

Jeffrey R. Anderson è un avvocato più incline all’accusa che alla difesa. Dal 1983 i suoi occhialetti mughiniani fanno capolino in ogni angolo d’America in cui si mormori che un chierico – preferibilmente cattolico, quindi celibe e represso, secondo la convinzione comune – adesca e molesta laici minorenni. Dal Minnesota rurale ai palazzi di Washington, Anderson si aggira con faldoni vecchia maniera colmi di prove inconfutabili contro preti, monaci, catechisti, chierichetti, sagrestani, organisti, frati e fraticelli sospettati di violenze di vario genere. Assieme ad altri quattro avvocati agguerriti almeno quanto lui ha fondato a St. Paul, nel Minnesota, la Jeff Anderson & Associates, un “potente e aggressivo studio legale”, secondo la definizione del sito web, dedicato esclusivamente alla protezione dei minori. Sulla homepage campeggiano compiaciuti titoli a nove colonne: “Lui incute timore alla chiesa, c’è speranza per le vittime”, “Vescovi accusati di complicità negli abusi”, “Un’inchiesta svela un complotto per coprire gli abusi” e molti altri stralci di questo tenore.

Negli anni il raggio di azione di Anderson si è allargato e lo studio ha aperto filiali in Illinois, California, Missouri e Colorado, diventando un punto di riferimento per tutte le cause di minori svantaggiati, ai quali il sessantaduenne Jeff presta consulenze non certo gratuite ma impreziosite dall’inestimabile condivisione del dramma privato. Il vanto di Anderson è proprio quello di non essere un azzeccagarbugli come tanti, ma un messo ispirato da sentimenti mazziniani per l’Umanità bambina afflitta dal turpe universo adulto. A lui basta l’afflato altruistico, l’empatia verso il debole: che il giudice emetta sentenza favorevole è quasi un effetto collaterale.

In ventisette anni di carriera, Anderson ha vinto più di 250 cause, portando nelle casse dei suoi clienti (e di rimbalzo nelle sue) indennizzi per un totale di 60 milioni di dollari. Ma di procedimenti intentati da questa Codacons della religione se ne contano a migliaia, con un’enorme visibilità pubblica che l’ufficio stampa di Anderson (gestito in maniera casalinga) non si stanca di accrescere in tutti i modi. Il metodo tradizionale è inviare le carte ai giornali. Ha fatto così con il New York Times nel caso del reverendo Murphy. Non è chiaro se l’avvocato avesse già inviato la documentazione e il giornale abbia approfittato del momento di tensione nella chiesa per sparare il colpo; quel che è certo, però, è che qualunque giornalista alla ricerca di un po’ di fango da spargere in materia di abusi può chiamare l’avvocato Anderson: lui risponderà con il suo fare gongolante e farà avere a breve giro di email tutte le carte del caso. Quello di Jeff è un mestiere nobile esercitato sotto il faro del suo imperativo categorico: “Che io non mi faccia intimidire nella difesa del debole dalle minacce del forte, e non ceda nella difesa del povero per le minacce del ricco”. Ma se il presidente del Codacons sogna di fare causa a una multinazionale del tabacco, il sogno del grande accusatore della gerarchia cattolica è di qualità superiore: fare causa al Papa.

Sono anni ormai che le storie di molestie sperdute non fanno davvero battere quel cuore legalista, che punta soltanto a mettere sotto scacco il Vaticano. Ci ha provato molte volte, scontrandosi con il fatto che il Papa è il capo di uno stato straniero, ma con il polverone del New York Times si è galvanizzato perché, dice, “siamo a una svolta”. La sua è una battaglia ideologicamente profonda contro la gerarchia, nulla di appena incidentale: “Sono arrivato alla convinzione – ha detto – che questi problemi siano connaturati alla cultura della gerarchia, e tutti i problemi che sperimentiamo negli Stati Uniti siano direttamente connessi a Roma”. Nel cuore di Anderson c’è un dio senza chiesa, un sincretismo pacificante che elimina ogni riferimento alla struttura. Si definisce un “ex ateo” e il suo studio è pieno di immagini religiose: cristiane, sioux, buddiste e molto altro. Perché lui, dice, ama “l’iconografia religiosa”.