DI J OSEPH Y ACOUB
D al 10 al 24 ottobre prossimo si terrà in Vaticano un sinodo, a carattere regionale, dedicato ai cristiani del Medio Oriente, convocato da papa Benedetto XVI. In vista di quest’appuntamento la Chiesa ha presentato a Roma, martedì 19 gennaio, i Lineamenta del sinodo.
Le risposte fornite a questo primo documento di lavoro, in circolazione (anche in lingua araba) tra i vescovi delle Chiese locali, serviranno all’elaborazione dello Instrumentum laboris che
papa Benedetto XVI renderà pubblico durante la sua visita a Cipro, dal 4 al 6 giugno. Questo testo, composto di tre parti – la Chiesa cattolica in Medio Oriente, la comunione ecclesiale e la testimonianza cristiana –, è preceduto da un’introduzione sullo scopo del sinodo e da una riflessione guidata dalla Sacra Scrittura ed è chiuso dagli interrogativi sul futuro di questi cristiani e sulla speranza. Il testo riguarda tutti i cristiani nelle società araba, turca e iraniana.
È un testo denso e giunge al momento opportuno, al fine di rafforzare la comunione e la testimonianza. Descrive e analizza con profondità, acume e coraggio, in tutti gli aspetti, la situazione sociale, religiosa e politica dei cristiani della regione. Pone l’accento sulle difficoltà incontrate dai cristiani e sul loro esodo, in particolare di fronte all’ascesa dell’islam politico e dell’integralismo.
Gli estensori del testo cominciano con il gettare uno sguardo storico sulle Chiese del Medio Oriente nella prospettiva dell’unità nella diversità: da questo punto di vista, è innovativo. Riguardo alle divisioni e alle separazioni del passato, il testo è chiaro. A parte le questioni cristologiche, tali divisioni (IV-V secolo), si legge, «ebbero luogo per motivi spesso politicoculturali » e «non c’era alcun motivo dogmatico per tale divisione». Si sottolinea inoltre l’apostolicità e il carattere missionario di queste Chiese che, un tempo, portarono il Vangelo in tutto il mondo: «In quanto apostoliche, le nostre Chiese hanno avuto una missione particolare nel portare il Vangelo in tutto il mondo. Nel corso della storia, questo slancio ha spronato parecchie nostre Chiese: in Nubia ed Etiopia, nella Penisola arabica, in Persia, in India e persino in Cina». Il documento insiste sul ruolo di questi cristiani nelle rispettive società. L’aspetto religioso è un tratto distintivo di tali società, non solo per i cristiani, poiché «incide profondamente sulle mentalità e sui comportamenti ». La religione, si aggiunge inaspettatamente, «è un elemento di identificazione che può separare dall’altro ». Q uanto alle sfide principali che i cristiani si trovano a dover affrontare, se ne rilevano cinque: i conflitti politici nella regione (la questione palestinese e il conflitto arabo-israeliano, l’Iraq, il Libano, l’Egitto e la Turchia), la libertà di religione e di coscienza, l’evoluzione dell’islam contemporaneo, l’emigrazione e le sue cause, l’immigrazione cristiana internazionale in Medio Oriente.
Quanto alle condizioni di ingiustizia in cui vivono i lavoratori immigrati in Medio Oriente da diversi Paesi, ad esempio gli asiatici soprattutto da Filippine, Sri Lanka, Bangladesh, Nepal, Pakistan e India, si fa osservare che «le leggi e le convenzioni internazionali non vengono rispettate». Come rispondono i cristiani a queste sfide nella vita quotidiana, quando non si tratta di risposte differenziate e molteplici? Nel testo c’è poi una descrizione molto acuta del cristiano orientale.
Nella parte dedicata alla comunione ecclesiale si rende omaggio alla comunità delle origini e alle tradizioni (Atti degli Apostoli 4, 32-34) e alla necessità di adattarsi alla mentalità, alla cultura, alla lingua e all’ambiente locale. La parte sulla testimonianza insiste sul dialogo ecumenico con le altre Chiese e comunità (ortodossi orientali, protestanti...), sui rapporti particolari con l’ebraismo, sulle relazioni con i musulmani, sul contributo dei cristiani alla società. Quest’ultimo punto richiama due sfide poste ai Paesi orientali, ovvero la confusione che c’è stata sulla percezione dell’Occidente considerato come cristiano e le realtà ambigue generate dalla modernità. Ciò che fin d’ora è interessante osservare è l’analisi che viene fatta dei rapporti con i musulmani, dei legami Stato-Chiesa nelle società orientali, dell’islam politico e del fondamentalismo, della libertà di religione e di coscienza.
In risposta alla modernità, «che penetra sempre più la società» (tv, internet), che ha introdotto nuovi valori ma anche una perdita di valori, «i gruppi fondamentalisti islamici si diffondono sempre di più».
Detto questo, i cristiani non sono gruppi a parte, ma componenti essenziali, inerenti alle rispettive società. Condividono con i musulmani il fatto di essere cittadini di uno stesso Paese e di una stessa patria, con la stessa lingua e la stessa cultura, e anche con «le luci e le ombre» dei loro Paesi. Tuttavia le relazioni tra cristiani e musulmani non sono sempre facili, talvolta, anzi spesso, sono difficili «soprattutto perché i musulmani mescolano spesso religione e politica, e ciò pone i cristiani nella delicata situazione di non-cittadini». Di fronte alla realtà sul terreno, gli estensori del documento constatano «l’ascesa del fondamentalismo in molti Paesi», ma anche «la disponibilità di gran parte dei musulmani a lottare contro il crescente estremismo religioso». Quali iniziative potrebbero contribuire a sanare le relazioni? Oltre alle scuole e alle istituzioni cristiane, la conoscenza reciproca si rivela «la base di ogni dialogo». Per far questo, il documento propone una presentazione semplice del Vangelo e di Cristo nelle lingue locali, da fare in maniera urgente, fondata essenzialmente «sul Nuovo Testamento», che sia «accessibile alla mentalità degli uomini delle nostre società».
Ma quali sono i rapporti tra Stato e Chiesa in Medio Oriente? L’Oriente conosce la libertà di religione al di là della semplice libertà di culto? Che ne è allora della libertà di coscienza individuale e della facoltà di cambiare religione? Nell’islam non c’è laicità, fatta eccezione per la Turchia: l’islam è generalmente religione di Stato, constata il documento. Si aggiunge che la principale fonte della legislazione è l’islam, che si richiama alla sharia. Certo, i cristiani beneficiano di status personale (famiglia ed eredità in alcuni Paesi), specifico per le loro comunità, inclusi il riconoscimento dei tribunali ecclesiastici e l’applicazione delle loro decisioni. L e Costituzioni affermano l’uguaglianza dei cittadini davanti allo Stato e l’educazione religiosa è obbligatoria nelle scuole private e pubbliche, «ma non sempre è garantita ai cristiani». Ma quel che più conta è che certi Paesi sono Stati islamici, dove la sharia è applicata non solo nella vita privata ma anche in quella sociale, persino, si aggiunge, ai non musulmani. Da qui l’osservazione critica che «ciò è sempre discriminatorio e, dunque, contrario ai diritti dell’uomo». Del resto, il testo pone l’accento sull’ascesa del fondamentalismo a partire dagli anni Settanta, 'un fenomeno crescente che incide sulla regione e sulla situazione dei cristiani nel mondo arabo'. Le varie correnti religioso- politiche di tale fondamentalismo «vorrebbero imporre uno stile di vita islamico alle società arabe, turche o iraniane e a tutti coloro che ci vivono, musulmani e non musulmani » e il documento definisce tali correnti estremiste una «minaccia per tutti, cristiani e musulmani, e noi dobbiamo affrontarle insieme». Il sinodo che verrà sarà determinante per il futuro dei cristiani d’Oriente. È forse il loro Vaticano II.
(traduzione di Anna Maria Brogi)
© Copyright Avvenire 25 marzo 2010