E’appena trascorso l’8 marzo. Dov’è
che oggi i diritti delle donne
subiscono il massimo della compressione
e la loro dignità è negata nel modo più
diretto e più barbaro? Non nel Vaticano
che nega alle donne il diritto
all’ordinazione sacerdotale (ma è poi un
diritto l’essere ordinati sacerdoti?) bensì
in Cina, in India e in molti altri paesi
soprattutto asiatici dove mancano
all’appello 100 milioni di bambine o più.
Queste bambine sono state private della
vita prima ancora di nascere a causa di
legislazioni che favoriscono l’aborto
come strumento di prevenzione delle
nascite o addirittura lo rendono
obbligatorio. A dire questa sconvolgente
verità, questa volta, non è il Papa e
neppure il solito bigotto Buttiglione.
Questa volta questa verità la ha scoperta
la bibbia del pensiero liberal e
politicamente corretto: l’Economist. La
copertina del numero in edicola parla di
“Genocidio per ragioni di sesso. Che ne è
di 100 milioni di bambine?”.
Semplicemente non ci sono più. Sono
state uccise. L’uccisione delle bambine è
chiaramente equiparata al genocidio,
con buona pace di tutti coloro che si
inalberano quando gli si dice che
l’aborto è un omicidio. Certo, suona un
po’ strano il fatto che la solidarietà vada
alle bambine uccise in ragione del loro
sesso e non in ragione del loro status di
esseri umani. Di questi tempi non è il
caso di essere troppo schizzinosi. E’
importante che cresca l’unità su di un
giudizio di condanna quanto meno
dell’aborto selettivo, dell’aborto usato
come strumento contraccettivo.
L’uccisione delle bambine sta portando
in molti paesi (primo fra tutti la Cina) a
un grave squilibrio nel rapporto fra i
sessi. In alcuni luoghi abbiamo 120 o 130
maschi per 100 femmine. Di conseguenza
si crea una massa rilevante di maschi
esclusi dal matrimonio, irrequieti,
proclivi al crimine. Si diffonde,
contemporaneamente, una cultura
nemica delle donne, che le disprezza e le
considera non come persone ma come
oggetti di consumo. Non parliamo poi
dello squilibrio demografico provocato
dalle politiche abortive. La demografia è
una scienza implacabile: avremo fra non
molti anni un eccesso drammatico di
anziani che non potranno essere
mantenuti con il lavoro di un numero
esiguo di giovani. Questo problema, per
la verità, non è solo cinese ma riguarda
anche molti paesi occidentali. Non
stupisce che Martin Amis proponga, in
questi giorni, l’eutanasia obbligatoria a
70 anni. Certo servirebbe a portare
ordine nel bilancio della sanità e in
quello delle pensioni, ma a che prezzo…
La proposta di Amis è interessante anche
per un altro motivo. La campagna a
favore dell’eutanasia comincia indicando
dei casi pietosi nei quali – è ovvio: su
base esclusivamente volontaria – deve
essere considerato lecito lo spegnere una
vita. Anche Hitler, nella sua campagna di
propaganda a favore dell’eutanasia
cominciò proponendo all’attenzione
della gente alcuni “casi pietosi”. Finì con
l’eutanasia obbligatoria per tutte le vite
che gli parvero troppo costose da
mantenere. Una volta rotto il taboo che
vieta di spegnere la vita umana, diventa
irresistibile la tentazione di usare
l’eutanasia per creare equilibri
demografici artificiali uccidendo anche
contro la sua volontà l’anziano
economicamente improduttivo. E’ questo
il destino inevitabile dell’umanità? No, è
una sfida davanti alla quale deve reagire
e deve rispondere la nostra coscienza.
Noi abbiamo reagito con la mozione
parlamentare dell’Udc che ha vincolato
il governo italiano a proporre
all’Assemblea Generale dell’Onu una
mozione che chiede una moratoria
sull’aborto usato come strumento di
controllo delle nascite e di selezione
sessuale. E’ un primo passo. Siamo
contenti di vedere che della giustezza
della nostra posizione si sia accorto
anche l’Economist. Speriamo che in
futuro sarà accanto a noi almeno in
questa battaglia.
© Copyright Il Foglio 11 marzo 2010