L’essere uomini, il salvare, per usare un termine che non è soltanto religioso, il salvare la nostra umanità costituisce sempre, qualunque cosa facciamo, esplicitamente o implicitamente, il criterio ultimo: anche quando sbagliamo, sbagliamo per salvare la nostra umanità, per godere di più la nostra umanità, nell’illusione di affermare di più la nostra umanità. Essa è il criterio in base al quale noi sentiamo e giudichiamo tutto. La nostra umanità! Potremmo usare un altro termine: essere più felici! Salvare l’umanità vuol dire realizzarla, e questa perfezione (perché “realizzare” in latino si dice con un termine - perficere - che in italiano si traduce con “perfezione”) dal punto di vista psicologico si chiama “felicità”, o “soddisfazione”, che è sinonimo di perfezione e perciò di felicità. Il desiderio della felicità, dell’affermarsi compiuto, intero, della nostra umanità è il criterio per il quale uno sceglie un film invece che un altro, sceglie di impegnarsi in un determinato lavoro e di sacrificarvi energia e tempo, sceglie la ragazza con cui fare famiglia, accetta o non accetta figli. Il criterio è unico, ed è questa umanità che abbiamo addosso, che è come una cosa incompiuta, che urge di compiersi.
L’epoca in cui viviamo è come se portasse alle estreme conseguenze l’equivoco che può nascere sul concetto e sul sentimento di umanità: l’equivoco è se l’umanità, la nostra umanità, possiamo costruirla, adempierla completamente noi, oppure è qualcosa d’altro che la può salvare, è qualcosa più grande di essa che la può realizzare. Questa alternativa, che è di tutti i tempi, si può tradurre secondo la parola che è stata tematizzata nella Scuola di comunità dell’anno scorso, la parola “appartenenza”: se l’uomo appartiene a se stesso o appartiene a qualcosa d’altro. Ora, l’uomo che pretende di appartenere a se stesso cerca di costruire una visione dell’uomo e del mondo in cui, come opera delle sue mani, la sua umanità si realizzi. È inevitabile che parta da un certo punto di vista, è inevitabile la parzialità in questo tentativo; per questo si chiama anche ideologia.
Siamo in un momento in cui questo equivoco è portato alle estreme conseguenze. Questo primo fattore dell’alternativa, portato alle estreme conseguenze, ha dato lo scacco matto a tutte le ideologie. Noi viviamo un presente in cui tutte le ideologie sono crollate: proprio là dove si è tentata, come nel ’68, l’esasperata affermazione di esse, là si è aperto il baratro dove tutto è affondato...
© Copyright Tracce n.3, marzo 2006