DISCERNERE

Uno sguardo profetico sugli eventi

A Roma una giornata dedicata alla tratta degli esseri umani Un dramma senza confini

di Giulia Galeotti

All'indomani dell'8 marzo, si è svolta a Roma una giornata dedicata al dramma della tratta mondiale degli esseri umani. Organizzato dall'Ambasciata del Canada in Italia e dalla Delegazione del Québec a Roma, il convegno "Il traffico umano, dramma senza confini" è stato voluto per sensibilizzare l'opinione pubblica su un argomento duro e crudele che riguarda l'intera comunità internazionale, e che vede tra le sue vittime in particolare le donne.
La tratta di esseri umani è un fenomeno dalle molte facce, una moderna forma di schiavitù che priva milioni di persone della libertà, della dignità e di tutti gli elementari diritti che noi diamo ormai per scontati. È un dramma che coinvolge tutti i paesi del mondo, siano essi la terra di origine, di transito o di destinazione delle donne, degli uomini e dei bambini che vengono sfruttati sessualmente, resi servi domestici o sottoposti ai lavori forzati. Si stima che 2 milioni e mezzo di persone siano vittime di questa piaga, l'80 per cento donne e giovani ragazze, il 5 per cento delle quali minorenni. Proprio per le dimensioni e le intricate corresponsabilità del fenomeno, urge una risposta transnazionale, come è stato più volte ricordato nella giornata romana.
Non vi è solo la povertà tra le cause della tratta. Un ruolo non marginale lo svolge anche la mancanza di prospettive esistenziali, che possono andare al di là dell'aspetto economico. È il caso del Nepal, da cui partono molte vittime del traffico, che però non provengono dalla zona più povera del paese, ma da quelle in cui vi sono pratiche tradizionali molto discriminatorie verso le donne, come poligamia, stupri etnici, divorzi unilaterali, conflitti armati o normative misogine (le femmine, ad esempio, non hanno diritto all'eredità, alla proprietà o all'istruzione). Diverse ricerche hanno infatti dimostrato come la discriminazione tra i sessi induca molte ragazze a cercare altrove una possibilità di riscatto. E questo spiega perché le vittime, una volta liberate, non vogliano tornare nella terra di origine, atteggiamento che si tende a leggere solo come paura della stigmatizzazione o del disonore, ma che invece è anche il rifiuto di una discriminazione quotidiana.
Il meccanismo messo in atto da quanti gestiscono e controllano questi moderni schiavi è sottile e perverso. Privandole dell'identità, del nome e dei documenti, gettandole in realtà che parlano lingue sconosciute, popolate da gente che le sfrutta e le umilia quotidianamente, le vittime vengono piegate fisicamente e psicologicamente con estrema facilità. Se una donna italiana viene stuprata, in ospedale si attiva la necessaria e sacrosanta rete di cura, mentre se la donna è una prostituta nigeriana (vittima dei suoi protettori e dei clienti, molti dei quali, mentre ne abusano, la incolpano di essere venuta a contaminare le loro strade), la risposta può non essere altrettanto positiva.
Si tratta di un autentico mercato, retto da precise regole economiche e che va denunciato pubblicamente. A esso si può tentare di opporsi, magari anche solo segnalando gli strani movimenti che avvengono nel pianerottolo dei palazzi. Lo ha ricordato, aprendo i lavori di Roma, Isoke Aikpitanyi, la prima vittima di tratta in Italia che rischia la vita per la scelta di raccontare pubblicamente la sua storia. Nata nel 1979 a Benin City, in Nigeria, a 20 anni, spinta dalla povertà e dalla assenza di prospettive, decide di recarsi in Europa. Isoke parte con la promessa di un lavoro in un negozio di frutta e verdura a Londra e si ritrova, il 26 dicembre del 2000, forzata a prostituirsi a Torino. Dopo diversi anni, grazie anche all'incontro con Claudio, suo prossimo marito, la ragazza riesce a liberarsi dal giogo del racket. Fondatrice e portavoce dell'Associazione delle ragazze di Benin City, Isoke ha aperto ad Aosta un ricovero per le donne vittime di traffici illeciti (mentre Claudio ha formato un gruppo di persone, ex clienti di prostitute, per cercare di sensibilizzare gli attuali clienti sulla loro corresponsabilità in questo turpe mercimonio).
Un aspetto molto interessante che è emerso dal seminario romano è quello dell'impatto socio-economico che il traffico di esseri umani produce nei Paesi di origine dei moderni schiavi. La tratta, infatti, ha ripercussioni non irrilevanti in termini, ad esempio, di fuga giovanile, discrasia tra maschi e femmine, aumento delle tensioni etniche (le vittime provengono da gruppi già discriminati).
Né l'impegno dei Paesi di destinazione può cessare semplicemente con la loro liberazione. Queste persone hanno infatti bisogno di alloggio, di luoghi sicuri e anonimi, di assistenza giuridica, finanziaria, psicologica e medica (si pensi per esempio alle conseguenze degli aborti forzati cui sono sottoposte tantissime ragazze). Hanno bisogno di essere aiutate a reinserirsi socialmente, ad apprendere la lingua, a regolarizzarsi nello status di vittime. Ovviamente, giacché sono persone diverse per cultura, religione e comunità etnica, occorre tenere presente che le loro necessità sono diversificate.
Lo slogan della campagna del Governo canadese contro la tratta di esseri umani è: "Persone in vendita in Canada? La risposta ti scioccherà". Uno slogan che vale in pari grado e con pari forza per ogni paese del mondo.


(©L'Osservatore Romano - 12 marzo 2010