Corrono i dieci anni di uno studio famoso di due dei padri dell'economia religiosa quali Rodney Stark e Roger Finke: La vocazione religiosa cattolica: declino e risveglio. I due sociologi vi prendono in esame la caduta libera delle vocazioni al sacerdozio e alla vita religiosa maschile e femminile cattolica negli Stati Uniti d'America, in Canada, in Francia, in Germania, in Gran Bretagna e in Olanda, nei trent'anni successivi al concilio Vaticano ii. Dal punto di vista quantitativo, la caduta è stata spettacolare soprattutto fra i candidati al sacerdozio: dal -81 per cento in Olanda al -54 per cento in Gran Bretagna; quindi fra le vocazioni religiose maschili: dal -82 per cento in Gran Bretagna al - 68 per cento in Francia; nonché, in misura minore, fra le femminili: dal -51per cento in Olanda al -43 per cento in Gran Bretagna.
Tra l'altro, la caduta negli Stati Uniti delle vocazioni maschili inizia alla fine degli anni 1960 e ha i suoi tassi più significativi in un'epoca antecedente ai casi di pedofilia attribuiti a sacerdoti, che dunque - per quanto possano avere contribuito alla crisi vocazionale - non ne sono la causa principale.
Per Stark e Finke la caduta delle vocazioni è repentina e discontinua, e avviene principalmente nel quadriennio 1966-1969, con successiva stabilizzazione verso il basso fino almeno alla fine del xx secolo. Finke e Stark ne concludono che si deve cercare come causa principale del declino delle vocazioni una serie di circostanze verificatesi nella seconda metà degli anni Sessanta. Per i due sociologi, può trattarsi solo dell'insieme di fattori legati alla crisi successiva al Vaticano ii, come è noto particolarmente grave negli Stati Uniti.
Se si paragona la situazione dei sei Paesi studiati da Stark e Finke con quella del Portogallo, della Spagna e dell'Italia ci si accorge che dopo il 1965 in questi Paesi il numero di vocazioni, se diminuisce, non lo fa con lo stesso ritmo drammatico. Qui le figure sacerdotali e religiose continuano a godere di autorevolezza e stima. Non si deve naturalmente esagerare la tenuta dei dati quantitativi relativi al clero e alle comunità cattoliche in Paesi come l'Italia. Tra l'altro i dati sulla partecipazione alla messa devono tenere conto del cosiddetto over-reporting, cioè della discrepanza fra quanti affermano di andare a messa tutte le domeniche nelle survey condotte per telefono o via questionari, e quanti di fatto sono contati alle porte delle chiese in un week-end tipo. Sono in grado di anticipare i risultati di una ricerca, non ancora pubblicata, da me diretta nel 2009 nella diocesi siciliana di Piazza Armerina, che comprende oltre al capoluogo alcuni grossi centri come Enna e Gela. Nell'area della ricerca dichiara di andare a messa almeno una volta la settimana il 30, 1 per cento della popolazione mentre la rilevazione alle porte delle chiese ha attestato una frequenza del 18, 3 per cento. Senza far dire al dato statistico più di quello che effettivamente dice, i numeri meritano qualche riflessione.
Tutta la discussione va inquadrata in un contesto sociologico più generale, applicando alle organizzazioni religiose la teoria del free rider: il soggetto "che non paga il biglietto", che partecipa a un'organizzazione sociale cercando di ottenerne i benefici senza pagare i costi. Anche tra chi frequenta i sacerdoti e va a messa molti vogliono solo "assistere", non "partecipare" o contribuire. Le organizzazioni, le congregazioni e le parrocchie più rigorose e "ortodosse" chiedono di più, e quindi diminuiscono il numero di free rider. Si potrebbe ritenere che "chiedendo di più" sia i fedeli sia le vocazioni diminuiscano. In realtà spesso avviene il contrario. I "consumatori religiosi" sono disposti a pagare di più - entro certi limiti - se pensano di ottenere di più.
Naturalmente affinché una congregazione cattolica non sia composta in maggioranza di free rider, abbia un buon rapporto con i suoi sacerdoti e generi anche vocazioni non basta una sociologia dell'efficienza. Occorre che ciascuno si senta partecipe - non solo spettatore - e prima di dare il suo contributo si senta "preso in cura" dal sacerdote. Se si vuole ridurre il numero di free rider occorre assicurarsi che il contatto personale e autorevole fra sacerdote - in particolare, parroco - e fedeli sia sempre garantito.
La sociologia di per sé non risolve problemi pastorali e può dare contributi utili solo se si presenta con la necessaria umiltà metodologica. Ultimamente, vale anche per i sociologi il richiamo di Benedetto XVI nel discorso all'udienza generale del 1° luglio 2009, dedicata all'Anno Sacerdotale: "A fronte di tante incertezze e stanchezze anche nell'esercizio del ministero sacerdotale, è urgente il recupero di un giudizio chiaro ed inequivocabile sul primato assoluto della grazia divina, ricordando quanto scrive san Tommaso d'Aquino: "Il più piccolo dono della grazia supera il bene naturale di tutto l'universo"".
(©L'Osservatore Romano - 12 marzo 2010)