DISCERNERE

Uno sguardo profetico sugli eventi

Sacerdoti a rischio estinzione. Aldo Maria Valli

Ci saranno ancora sacerdoti nel futuro della Chiesa? Monsignor Massimo Camisasca se lo chiede nel libro Padre (San Paolo, 221 pagine, 16 euro) e mette la domanda addirittura nel sottotitolo.
Da venticinque anni superiore della Fraternità San Carlo, società missionaria che conta oggi circa cento preti e quaranta seminaristi, l’autore conosce il problema grazie al rapporto diretto, e non ci gira attorno. I dati sono impietosi. In continua diminuzione in Europa e nell’America del Nord, in aumento in America Latina, Asia e Africa, i preti sono comunque sempre di meno rispetto alla popolazione, e sono sempre più in difficoltà. Se trenta o quarant’anni fa i problemi erano soprattutto di ordine ideologico, adesso la crisi riguarda di più la sfera affettiva. Molti hanno perso il gusto della vocazione, moltissimi si sentono soli, il rischio dell’abbandono avanza.
Che cosa sta succedendo?
I motivi indicati da monsignor Camisasca sono molteplici. C’è la crisi della famiglia, c’è l’insicurezza diffusa, con la paura della vita e la fuga dal rischio, ci sono i richiami di una cultura fondata sull’apparire e sull’effimero. Ma soprattutto mancano esempi credibili.
Per questo, scrive l’autore, il primo compito di un seminario dovrebbe essere quello di aiutare i ragazzi a riscoprire la positività della vita, il valore delle cose, la concretezza degli incontri, compreso l’incontro con se stessi e con il proprio corpo. Sono venuti meno i formatori capaci di «condurre i giovani seminaristi alla conoscenza di sé e alla confidenza in Dio», «abbiamo preferito creare dei patiti della liturgia, degli specialisti della preghiera, dei professionisti dell’azione sociale, ma non dei veri uomini, uomini maturi, uomini di Dio».
L’analisi è impietosa, ma è, secondo Camisasca, l’unica utile se si vuole andare al cuore del problema. Le risposte non vanno cercate all’esterno, ma dentro la Chiesa, troppo spesso non più capace di educare «persone autenticamente affascinate dal silenzio, dalla lettura, dallo studio», e di creare «intelligenze adulte», cioè in grado di attuare una sintesi insieme rigorosa e libera tra filosofia e teologia.
Il prete oggi «è ucciso» dalle cose da fare, dai convegni, dall’attivismo, dai documenti, dalle tecnologie, dalle competenze che gli vengono richieste. Ma tutto ciò è superficialità, è contorno. Ciò che occorre è invece il ritorno al silenzio e allo studio serio, per alimentare il «fuoco nascosto» che motiva e sostiene. «Silenzio e studio non si oppongono, non si escludono. Anzi, nascono l’uno dall’altro». La vita del prete è certamente una vita sulle strade, in mezzo alle persone, ma se c’è soltanto questo il prete si perde.
Coraggiosa è l’analisi dei problemi affettivi. La questione affettiva, centrale in ogni uomo, lo è anche nella vita del prete, segnata dalla scelta di non avere una propria famiglia carnale. «Uno dei pericoli più gravi per il sacerdote – scrive Camisasca – è il vuoto affettivo».
I preti spesso non hanno una vita affettiva matura perché anche in questo caso non si sono confrontati con testimoni credibili. Senza un padre, non c’è vera vita affettiva. «I vescovi devono dedicare più tempo ai loro sacerdoti e ai seminaristi. I preti devono fare l’esperienza di essere figli per poter diventare padri del loro popolo ». E ancora: «Alla radice della solitudine del prete c’è spesso un’agenda del vescovo troppo occupata da convegni, riunioni, incontri». C’è stata è c’è «una divaricazione tra la figura del padre e quella dell’autorità».
Negli ultimi decenni i vescovi sono stati scelti soprattutto per le loro doti amministrative, mentre devono tornare a essere padri.
Nella Chiesa, osserva Camisasca, c’è poi poca amicizia. Anzi, se ne ha paura.
E invece, «non si arginano le patologie se non si aiuta lo sviluppo di una vita sana».
Proprio l’amicizia è in grado di riempire il vuoto affettivo. Non bisogna nascondere i «legami di preferenza».
Circa il celibato, l’autore dice che consentire ai preti di sposarsi non risolverebbe il problema della carenza di vocazioni e ridurrebbe la capacità di testimonianza.
Oltretutto, osserva con un pizzico di sarcasmo, dato che la vita familiare è così difficile, perché dovremmo aggiungere anche questa difficoltà alle tante con cui il prete deve già fare i conti? «Le ragioni del celibato si trovano in maniera radicale nella scelta che Gesù stesso ha fatto».
Nella cultura ebraica era una scelta dissennata perché non avere figli era considerata una maledizione. Eppure Gesù scelse questa strada perché «riteneva che essa esprimesse, più di ogni altra, il suo cuore indiviso nell’amore del Padre e degli uomini».
Un altro punto centrale nel libro riguarda la liturgia.
«Se il sacerdote non ritrova il senso vero della liturgia nella sua vita, non può ritrovare se stesso». La liturgia non è un’azione, non è uno spettacolo, non è un luogo nel quale esibire la creatività personale. Camisasca non nega la positività del Concilio Vaticano II, ma riconosce che negli anni c’è stato un impoverimento da cui la Chiesa deve sollevarsi.
«Il protagonista della liturgia è Cristo, e solo accettando il suo protagonismo possiamo diventare a nostra volta protagonisti ». La liturgia non può essere vissuta né come un «esilio in Dio che ci allontana dagli uomini» né come «un piegarsi sugli uomini che ci allontana da Dio».
Per questo Benedetto XVI insiste sulla bellezza della celebrazione liturgica: attraverso la bellezza si entra in Dio che è comunione e dono di sé, perché «la vera bellezza è l’amore di Dio che si è definitivamente a noi rivelato nel mistero pasquale».
Sulle tesi dell’autore si può concordare o meno, ma certamente gli vanno riconosciute chiarezza e sincerità.

© Copyright Europa, 2 marzo 2010