DISCERNERE

Uno sguardo profetico sugli eventi

Io, prof, e quei 5 in condotta: la scuola ritrovi i «fondamentali». FRANCESCO AGNOLI

L a notizia è di quelle destinate a lasciar traccia: dopo che il ministero dell’Istruzione ha dato il via libera, un gran numero di professori ha deciso di utilizzare l’arma estrema del cinque in condotta al termine del primo quadrimestre, e con tutta probabilità l’ha fatto per lanciare un segnale. Agli alunni, ai genitori, alla società tutta intera. Un grido che può essere tradotto così: noi insegniamo italiano, matematica, inglese, ma quello che dobbiamo dire non riguarda anzitutto le nostre materie quanto la possibilità stessa di fare scuola. Senza doverci tramutare in gendarmi della disciplina. Senza che la lezione si trasformi nel continuo e noiosissimo richiamo all’ordine. Perché da professore so molto bene che non è possibile spiegare Dante, discuterne in classe, rendere viva la storia, la letteratura, ogni singola disciplina, se non c’è tutto quello che viene prima: la capacità dei ragazzi di stare alle regole, di comportarsi in un certo modo, di incuriosirsi, talora di entusiasmarsi.
L’ondata nazionale dei cinque in pagella – cari genitori, cari alunni, cari tutti – dice chiaramente a tutti noi coinvolti nella scuola italiana che è indispensabile tornare ai 'fondamentali'. È un po’ come quando si impara a giocare a calcio: prima della partita, prima di potersi godere gli schemi di gioco, gli affondi sulla fascia, le semirovesciate che mandano il pubblico in visibilio, occorre imparare a tenere la palla tra i piedi, passo dopo passo, esercitandosi con pazienza. Così è anche per la scuola. Devono cessare le troppe cose che purtroppo non funzionano. Certamente, perché questo avvenga, sono necessarie anzitutto regole chiare. E, per cominciare, chi le vìola deve conoscere le conseguenze del suo agire: di qui il ritorno agli esami di settembre e la maggior forza conferita al voto in condotta.
Si tratta di un passo essenziale, ma non sufficiente: la scuola lasciata da sola può fare ben poco, così come le regole che, quando restano isolate, sono destinate a rimanere lettera morta, buone tutt’al più per garantire la tranquillità dei
dormitori. Le regole infatti vanno conosciute nel loro significato profondo, devono essere il più possibile parte della storia di ogni giovane, digerite e vissute anzitutto in famiglia. Troppo a lungo una certa cultura ha voluto far credere che si potesse delegare tutto alla scuola, nella convinzione addirittura che essa fosse più adatta della famiglia a svolgere il ruolo di agenzia educativa. In nome di questa visione si è addirittura finito per affermare che anche l’educazione affettiva dei ragazzi deve passare, anzitutto, da professori, tecnici, 'esperti' gestiti dalle Asl o da altre realtà estranee alla famiglia. In un mondo che si chiede addirittura se i bambini abbiano ancora 'bisogno' di due genitori, di un padre o di una madre, che spesso dimentica la necessità per i giovani di crescere amati, con la certezza e la solidità dei primi e fondamentali affetti, il boom dei cinque in condotta vuole semplicemente ricordare la realtà: prima che persone istruite, bisogna costruire persone vere. Occorre qualcuno che sostenga il bambino quando gattona, che accompagni i suoi primi passi, che continui ad affiancarlo quando poi si pone le prime domande e si apre al mondo, come un novello Adamo. Occorrono più stabilità affettiva, meno televisione, meno Internet, meno surrogati, meno parcheggi...
La serenità e la condivisione imparate in famiglia aprono il giovane alla tranquillità dei rapporti, al rispetto degli insegnanti e dei coetanei, alla curiosità verso ciò che lo circonda e da cui egli si aspetta qualcosa di buono e di bello. È su questo terreno che spetta a noi insegnanti contribuire a far nascere un seme non più abbandonato senz’acqua e senza cura per lunghi anni, come accade ancora troppo spesso; spetta a noi prendere per mano i ragazzi, e portarli a scoprire la bellezza delle discipline umanistiche e scientifiche. Il guaio oggi è che spesso è difficile afferrare molte mani, trovare un punto di appoggio per fare leva. Nella società sempre più liquida, tutto sembra perdere consistenza: le passioni, gli interessi, l’entusiasmo, la capacità di sacrificio. In una parola: le persone. È da loro che – genitori, insegnanti, ragazzi stessi – dobbiamo tutti ricominciare.


© Copyright Avvenire 2 marzo 2010