DISCERNERE

Uno sguardo profetico sugli eventi

“Sacrestie come bordelli”. Così, il 28 maggio 1937, Goebbels accusava i cattolici

Milano. Il vescovo di Ratisbona, monsignor
Gerhard Ludwig Müller, la scorsa settimana ha ricordato,
nella sua lettera sul tema delle accuse di
pedofilia ad alcuni sacerdoti della diocesi, “il sinistro
discorso tenuto nel 1937 a Berlino dal maestro
della sobillazione popolare”. Si tratta del discorso –
recentemente citato anche dal quotidiano Süddeutsche
Zeitung – che fu pronunciato il 28 maggio
del 1937 dal ministro per la propaganda hitleriana,
Joseph Goebbels, e che si inquadra nella campagna
di linciaggio alla quale i preti cattolici furono sottoposti
nei primi anni del regime di Hitler. Una storia
che in Germania è stata raccontata in un libro molto
dettagliato e illuminante, uscito nel 1971. Il libro
si intitola “I processi dal 1936 al 1937 per reati contro
la morale pubblica a membri di confraternite e
preti”, e lo ha scritto lo storico Hans Günter
Hockerts, docente a Monaco.
L’autore racconta come il nazismo usò gli scandali
avvenuti nella congregazione di Waldbreitbach
per fare la guerra ai preti cattolici, i quali avevano
assunto un atteggiamento apertamente critico verso
il regime. Goebbels aveva ordinato che tutti i giornali
del Reich (circa quattordici milioni di copie al
giorno) riferissero minuziosamente di ogni singolo
processo. Titolazione, sommario, attacco e taglio
dell’articolo venivano discussi quotidianamente
nella conferenza stampa e poi trasmessi alle redazioni.
Braccio destro del ministro in questa operazione
era il capo del suo ufficio, Alfred-Ingemar
Berndt, incaricato di formulare tutti i giorni nuove
frasi di scherno e di diffamazione. Slogan del tipo:
“Le sacrestie si sono trasformate in bordelli”, “I
conventi sono diventati covi di omosessuali” diventavano
titoli a effetto.
Il grande raduno ordinato da Goebbels, e tenutosi
il 28 maggio del 1937 alla Deutschlandhalle di
Berlino, doveva servire a rafforzare la campagna di
denigrazione contro il clero cattolico.Vi parteciparono
ventimila persone, e non mancavano le SA, le
squadre d’assalto hitleriane. Goebbels esordì dicendo
che “il governo del Reich avrebbe volentieri
evitato di spendere parole su questi fatti, ma l’impertinenza
dei cattolici non ci permette di tacere”.
Eppure, nonostante i durissimi attacchi, l’esito non
fu quello sperato da Goebbels. I fedeli non voltarono
la schiena alla chiesa cattolica. Anzi, mai come
in quei due anni le chiese si sono riempite di fedeli,
mentre i sacerdoti si difendevano dal pulpito e
mettevano in guardia dalla lettura dei giornali. Poi,
come scrive Hockerts nel suo libro, fu Hitler stesso
a smorzare, a seconda della convenienza, l’ira strumentale
di Goebbels. Successe, per esempio, nel
marzo del 1936, quando ordinò alla Wehrmacht di
entrare in Renania: di lì a poco si sarebbe tenuto
nel Land un referendum per il quale aveva bisogno
anche del voto dei cattolici. I dibattimenti ripresero
in aprile, ma già qualche mese dopo, in agosto, furono
di nuovo interrotti: c’erano le Olimpiadi.
Hitler provò a portare dalla sua parte anche il
cardinale di Monaco, Michael von Faulhaber, promettendogli
in cambio la fine di ogni processo. I vescovi
tedeschi cercarono di guadagnare tempo, ma
quando nel marzo del 1937 Pio XI pubblicò l’enciclica
“Mit brennender Sorge” (“Con viva ansia”)
nella quale denunciava il regime nazista, Hitler ordinò
la ripresa immediata della campagna contro i
sacerdoti cattolici.
La vicenda, come si ricordava all’inizio, è stata
rievocata da monsignor Müller nella sua missiva ai
fedeli, che si apre con una netta condanna verso
qualsiasi abuso sessuale e che sostiene l’assoluta
necessità, non solo di combatterlo ma di punire
chiunque se ne sia macchiato. Il vescovo di Ratisbona
si oppone però in modo altrettanto deciso alla
stigmatizzazione della chiesa cattolica nel suo insieme,
e al veder trasformato qualsiasi prete in un
potenziale reo di abusi sessuali verso minori. Ricorda
quindi come il nazismo cercò “di esporre il
clero cattolico alla pubblica vendetta. Il mezzo per
arrivarci era la ‘Sippenhaft’ (letteralmente: responsabilità
del clan). Non era più il vero colpevole o il
colpevole accusato a torto, il signor XY, a essere responsabile
delle proprie azioni, ma l’intero clero al
quale il colpevole apparteneva, o meglio ancora la
chiesa come ‘sistema’”.

Andrea Affaticati

© Copyright Il Foglio 16 marzo 2010