Città del Vaticano. C’è attesa per la lettera
pastorale che oggi il Papa manda ai
cattolici d’Irlanda sulla questione degli
abusi su minori da parte di alcuni esponenti
del clero. Tanto che è il Time questa
settimana a domandarsi in copertina: “Cosa
intende fare Benedetto XVI? Agirà per
reprimere gli abusi oppure no?”. Una domanda
che non stupisce il cardinale portoghese
José Saraiva Martins, 78 anni, per
dieci anni prefetto della Congregazione
delle cause dei santi (prima con Wojtyla,
poi con Ratzinger). “Certo che il Papa
agirà” risponde. “Ma lo farà con una consapevolezza
che spesso manca al mondo”.
Quale? “Che la chiesa è fatta di santi e
peccatori insieme. Anche l’umanità più
santa è impastata col peccato, non è esente
dal peccato”. E quindi? “E quindi lo
sguardo della chiesa e del Papa è realista:
condanna (e oggi credo arriverà una condanna
durissima), cerca di prevenire, ma
insieme sa perdonare”.
Promosso un anno fa all’ordine dei vescovi
del Sacro Collegio come segno di
particolare stima del Pontefice, Saraiva
Martins dice che “la pedofilia non è solo
del clero. E, anzi, nel clero i casi di pedofilia
sono molto pochi. Certo, ci sono e nessuno
vuole nasconderli e la cosa è evidente
osservando il Papa agire. Non è di questa
chiesa insabbiare nulla. Benedetto
XVI cerca la trasparenza. I giornali hanno
spesso parlato di tolleranza zero e se vogliamo
possiamo pure noi usare questo
termine, perché questa è un’importante
occasione, una delle tante occasioni, che
la chiesa ha per purificarsi internamente.
Come nei primi secoli la chiesa si è purificata
al suo interno combattendo le eresie,
ma pensiamo anche in secoli più recenti
alla controriforma, così oggi i casi di abusi
su minori commessi da alcuni dei nostri
preti possono darci lo spunto per correggerci
in alcune cose e poi ripartire. La
chiesa è fatta così. Sbaglia, si ferma, ragiona
(anche pubblicamente) e riparte”.
Reinhard Marx, arcivescovo di Monaco,
ha detto che “sugli abusi non può esserci
una misericordia a buon mercato. La preghiera
va alle vittime degli abusi ma anche
ai colpevoli”. “Ha ragione” dice Saraiva
Martins. “La preghiera va alle vittime
in primis. Non scordiamoci che nei Vangeli
Gesù usa le parole più tremende per coloro
che scandalizzano i piccoli, che fanno
loro del male. Ma la preghiera va anche ai
colpevoli. Domandiamoci: cos’è l’uomo? E’
cielo ma anche terra, spirito ma anche carne.
E spesso la carne fa commettere cose
terribili. Dovremmo dimenticare la ‘terrosità’
che compone ogni umanità? Che la
chiesa vive nel mondo? Dovremmo far finta
che, tanto per fare un nome, sant’Agostino
prima di essere santo non fu un grandissimo
peccatore?”
“Che grandi santi una volta convertiti hanno commesso sbagli e
peccati? No, la chiesa non può dimenticare questo. La chiesa sa che ogni uomo fino all’ultimo
istante di vita può cambiare. La chiesa ha fiducia nell’uomo, anche nell’uomo
più turpe. E sa aspettare. Qualcuno deve pur dirlo: premesso che la pedofilia è un reato
orribile la misericordia di Dio è sempre pronta ad abbracciare tutti”. Cosa pensa del
celibato sacerdotale? “Avevo undici anni. I miei genitori chiesero a me e ai miei sette
fratelli cosa avremmo voluto fare da grandi. Non ricordo cosa risposero i miei fratelli.
Io dissi: ‘Voglio fare il prete missionario’. Dentro di me sentivo che Dio mi chiamava.
E’ una cosa intima e che non si può spiegare. Posso dire che già in quel momento abbracciai
il celibato pur senza aver piena consapevolezza di cosa significasse. Poi ho capito.
Tanto che oggi, a sentire le parole di Hans Küng che insiste nel dire che il celibato
va abolito mi viene da ridere. Il celibato è consacrazione totale ed esclusiva a Dio.
Una scelta libera che compie la mia umanità. Si può non capirlo ma non si può non intuire
che è una dedizione unica al mondo. Si diventa tutto di Dio. Mica poco”.
Paolo Rodari
© Copyright Il Foglio 20 marzo 2010