Al direttore - Sono in Italia da alcuni
giorni e sono davvero amareggiato, addolorato
per questi continui attacchi al Santo
Padre, ai sacerdoti, alla Chiesa cattolica,
usando la diabolica arma della pedofilia.
E’ vero, questo argomento sembra interessare
più a certi giornali e alle loro
fantasie e allucinazioni che al pubblico:
perché ho incontrato migliaia di persone
e per lo più giovani, ma nessuno mi ha posto
una domanda su questa questione. Il
che significa che, sebbene esista questo
flagello nel mondo e abbia intaccato anche
la chiesa, con la dura, chiara e forte
condanna del Santo Padre, siamo lontani
anni luce da quel fenomeno di massa, come
se tutti i preti fossero pedofili, come
vogliono farci credere. Sono quarant’anni
che sono sacerdote, sono stato in diverse
parti del mondo, ho vissuto in brefotrofi,
scuole, internati per bambini, ma non ho
mai trovato un collega colpevole di questo
delitto. Non solo, ma ho vissuto con sacerdoti,
religiosi che hanno dato la vita perché
questi bimbi avessero la vita.
Attualmente vivo in Paraguay, la mia
missione abbraccia tutto l’umano nella
sua povertà, quell’umano gettato nell’immondizia
dal sensazionalismo dei media.
Da 20 anni condivido la mia vita con prostitute,
omosessuali, travestiti, ammalati di
Aids, raccolti per le strade, negli immondezzai,
nelle favelas e me li porto a casa
dove la Provvidenza divina ha creato un
ospedale di primo mondo come struttura
architettonica, ma paradisiaco come clima
umano. E in questa “anticamera del Paradiso”,
come lo chiamano loro, li accompagno
al Paradiso. Hanno vissuto come “cani”
e muoiono come principi. Vicino alla
clinica, sempre la Provvidenza ha creato
due “case di Betlemme” per ricordare il
luogo dove è nato Gesù, che raccolgono 32
bambini, molti di essi violentati dai patrigni
o dal compagno occasionale della “madre”.
Tutti i giorni ho a che fare con situazioni
terribili e indescrivibili. Spesso non
ho neanche la capacità di leggere i referti
delle assistenti sociali, tanto sono orrende
le violenze sessuali subite dai miei bambini.
Eppure, dopo alcuni mesi che sono con
noi, respirano un’altra aria, quell’aria che
solo il fatto cristiano e l’amore di noi sacerdoti
contro cui i mostri del giornalismo
si scagliano, facendo di ogni erba un fascio.
Aveva ragione Pablo Neruda quando
definiva certi giornalisti “coloro che vivono
mangiando gli escrementi del potere”.
La certezza che “io sono Tu che mi fai”
che sono frutto del Mistero e non l’esito
dei miei antecedenti, per quanto pessimi
possano essere stati, si trasmette come per
osmosi nel cuore dei miei bambini che ritrovano
il sorriso. Come si trasmette anche
sui “mostri” (se così vi piace chiamarli voi
giornalisti… a cui tanto assomigliate per la
vostra ipocrisia), parlo di quelli che sembrano
divertirsi a sputare contro la chiesa
che in fondo a loro volta, spesso, sono vittime
e carnefici, vittime da piccoli e carnefici
da grandi, avendo vissuto come bestie.
Il mio cuore di prete mentre do la mia vita
per questi innocenti non può non dare
la vita, come Gesù, anche per coloro di cui
Gesù ha detto con parole fortissime “prima
di scandalizzare uno di questi piccoli
è meglio mettersi una macina da mulino al
collo e buttarsi nel profondo del mare”.
Sono solo alcuni esempi, di milioni, della
carità della chiesa. Mi fa soffrire questo
sputare nel piatto nel quale, Dio lo voglia,
anche certi morbosi giornalisti, un domani
si troveranno a mangiare, perché se uno
sbaglia non significa che la chiesa sia così.
Questa chiesa che è il respiro del mondo.
Non vi chiedete cosa sarebbe di questo
mondo senza questo porto di sicura speranza
per ogni uomo, compresi voi che in
questi giorni come corvi inferociti vi divertite
sadicamente a sputare sopra il Suo Casto
Volto? Venite nel terzo mondo per capire
cosa vuol dire migliaia di preti e suore
che muoiono dando la vita per i bambini.
Venite a vedere i miei bambini violentati
che alcuni giorni fa prima di partire
per l’Italia piangevano chiedendomi:
“Papà quando torni?”.
Non voglio strappare le lacrime a voi
che siete come le pietre ma solo ricordarvi
che anche per voi un giorno quando la
vita vi chiederà il “redde rationem vilicationis
tuae” questa chiesa, questa madre
contro cui avete imparato bene il gioco
dello sputo, vi accoglierà, vi abbraccerà, vi
perdonerà. Questa madre, che da 2000 anni
è sputacchiata, derisa, accusata e che
da 2000 anni continua a dire a tutti coloro
che lo chiedono: “Io ti assolvo dai tuoi peccati,
nel nome del Padre, del Figlio, dello
Spirito Santo”.
Questa madre, che sebbene giudichi e
condanni duramente il peccato e richiami
duramente il peccatore reo di certi orrendi
delitti, come la pedofilia, non chiude e
non chiuderà mai le porte della sua misericordia
a nessuno. Mi confortano le parole
di Gesù “le porte dell’inferno non prevarranno
mai”. Come mi conforta l’immensa
santità che trabocca dal suo corpo di
“casta meretrix”.
Allora non perdiamo tempo dietro i deliri
di alcuni giornalisti che usano certi
esecrabili casi di pedofilia per attaccare
l’Avvenimento cristiano, per mettere in discussione
la perla del celibato, ma guardiamo
le migliaia di persone, giovani in
particolare, incontrati personalmente in
una settimana di permanenza in Italia che
credono, cercano e domandano alla chiesa
il perché, il senso ultimo della vita e
che vedono in lei l’unica possibile risposta.
Personalmente mi preoccupa di più
l’assenza di santità in molti di noi sacerdoti
che altre cose per quanto gravi e dolorose
siano. Mi preoccupa di più una chiesa
che si vergogna di Cristo, invece che predicarlo
dai tetti. Mi preoccupa di più non
incontrare i sacerdoti nel confessionale
per cui il peccatore spesso vive quel tormento
del suo peccato perché non trova
un confessore che lo assolva.
Alle accuse infamanti di questi giorni
urge rispondere con la santità della nostra
vita e con una consegna totale a Cristo e
agli uomini bisognosi, come non mai, di
certezza e di speranza. Alla pedofilia si deve
rispondere come il Papa ci insegna.
Però solo annunciando Cristo si esce da
questo orribile letamaio perché solo Cristo
salva totalmente l’uomo. Ma se Cristo
non è più il cuore della vita, allora qualunque
perversione è possibile. L’unica difesa
che abbiamo sono i nostri occhi innamorati
di Cristo. Il dolore è grandissimo,
ma la sicurezza granitica: “Io ho vinto il
mondo” è infinitamente superiore.
Padre Aldo Trento,
missionario in Paraguay
© Copyright Il Foglio 20 marzo 2010