Bruno Cescon
Da un lato, si invocano crocifissi e presepi e, dall'altro, emerge un certo fastidio verso il cristianesimo, anzi per essere più precisi verso il cattolicesimo. Non è una novità. La storia conosce ieri come oggi vere e proprie persecuzioni. Ai cristiani non manca, come non è mai mancato, "il coraggio che non si lascia intimidire dal chiacchiericcio delle opinioni dominanti", come si è espresso Benedetto XVI nella Domenica delle Palme. Ma il fatto si può inserire in un contesto più ampio che preoccupa anche intellettuali laici, come Ernesto Galli della Loggia.
E non è, come si potrebbe immediatamente ritenere, una questione religiosa che riguarda i cristiani. È piuttosto un fenomeno culturale che si esprime quale intolleranza verso il ruolo pubblico del cattolicesimo.
Disturba che proponga e difenda pubblicamente, nonostante i suoi limiti e peccati riconosciuti nella richiesta di perdono, un'etica sia in campo sociale sia bioetico. Nel cattolicesimo spesso la cultura moderna e postmoderna tende a ravvisare un ostacolo a quello che ritiene il progresso della scienza, fatta diventare ormai una dea a cui tutto è lecito, compresa l'eutanasia o il suicidio assistito. La cultura cristiana viene considerata nemica di una cultura unica, laica e autosufficiente, autoproclamatasi progressista.
Alla Chiesa si rimprovera di tutto: il silenzio nella persecuzione degli ebrei, l'antifemminismo, la contrarietà all'aborto, il rifiuto delle famiglie di fatto e omosessuali, l'avversione all'uso dei preservativi che avrebbe favorito la diffusione dell'Aids, l'intolleranza, l'esclusione della libera espressione sessuale, le crociate, il fascismo, persino le crisi finanziarie. Contemporaneamente vengono esaltate le sue debolezze, i suoi peccati, andando a rimestare nel passato mirando direttamente, come nell'Ottocento, al Papato. In campo sociale fino all'altro ieri le veniva rinfacciato di stare dalla parte dei borghesi contro la classe operaia, oggi di essere "buonista" perché aiuta i nuovi poveri prodotti da una forbice che allarga le differenze sociali accrescendole a favore dei ricchi.
Nel caso gravissimo della pedofilia, "crimine odioso e peccato aberrante di cui proviamo vergogna" verso il quale va esercitata "tolleranza zero e totale trasparenza" come ha detto il cardinale Bagnasco facendo eco a Benedetto XVI, si intravedono anche "strategie di discredito generalizzate" verso il cattolicesimo in molta parte dell'Europa. Sono stati davvero oscurati il Vangelo e il rispetto della persona. Ma "ai preti, alla Chiesa, alla vicenda cristiana - scrive Della Loggia - non viene perdonato da nessuno più nulla".
Il punto non è tanto se va risorgendo un nuovo anticlericalismo. Non sarebbe nulla di nuovo e magari qualcuno nella stessa Chiesa può ritenere che è un giusto prezzo da pagare per tante o poche prepotenze. Piuttosto va sottolineato un fenomeno più importante che interessa la nostra società italiana, la nostra cultura, la stessa sensibilità dell'Europa.
L'impressione è che si voglia accelerare l'uscita occidentale dal cristianesimo come un atto di emancipazione da secoli bui di oscurantismo. Paiono dimenticate le grandi crisi della ragione e della politica che hanno colpito la nostra Europa: vedi nazifascismo e comunismo con due grandi e cruentissime guerre, che hanno trascinato il mondo stesso nel dolore. E ciò avveniva anche in nome della liberazione dalla propria tradizione cristiana.
Dall'Europa, che vanta giustamente tra i suoi valori la libertà di coscienza e la libertà di religione, non si levano che tenui voci pubbliche per la persecuzione e, talvolta, il massacro di cristiani in varie parti del mondo. Non pare che il problema stia nell'agenda di politica estera dei governi europei e della stessa Ue. Eppure molti acquisti dell'Europa, dai diritti umani alle conquiste sociali, sono frutto anche dell'opera intensa dei cristiani.
Disposti gli europei all'intercultura, all'accoglienza delle altre religioni, sembrano soffrire e volersi sbarazzare della rilevanza pubblica della propria tradizione cristiana.
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