DISCERNERE

Uno sguardo profetico sugli eventi

Venerdì Santo. Il commento e gli approfondimenti


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IL COMMENTO

Oggi siamo invitati a contemplare che cosa sia l'amore. Quante parole per descriverlo, e arte, e la vita di tutti alla sua ricerca. Ne abbiamo percepito l'esistenza, ne abbiamo assaporato la dolcezza. Qualcosa dentro ci dice, ci ha sempre sussurrato e testimoniato che esiste questo amore più grande, che supera i limiti della carne e dei sentimenti, che non sfugge dalle mani quando si spegne la passione e subentrano le difficoltà. Lo portiamo dentro il segno di questo amore, impresso come un sigillo, ed è come una ferita mai rimarginata. E' quella nostalgia che accompagna ogni nostra ora, quel "qualcosa" di cui sentiamo, vivissima, la mancanza ovunque e in ogni istante, nel dolore e nella gioia, nella stanchezza e nel riposo. Al fondo di noi stessi, dove siamo esattamente quel che siamo, al di là di maschere e compromessi, lì dove appare il nostro essere irripetibile che ci fa unici nella storia dell'intera umanità, nell'abisso del nostro cuore si cela l'impronta di Dio. E' incancellabile, per quanto la debolezza ed i peccati si accumulino e ne deturpino i connotati seppellendola sotto le macerie di fallimenti e dolori. Quell'aurora d'amore non ci lascia in pace, è un'eco, un grido, un bisogno, un desiderio. E' la gelosia ardente di Dio, quella "santa concupiscenza" (secondo l'originale greco di Lc.22,15) con la quale il Signore Gesù ha desiderato celebrare la Pasqua con i suoi discepoli. La stessa che ci brucia dentro, che fa evaporare ogni illusione, ogni effimera gioia, che ci fa sentire inappagante anche l'amore più bello e puro che sgorga dai nostri cuori. Perchè non ci basta l'amore del marito, della moglie? Perchè, pur amando con tutto noi stessi i nostri figli - ed è l'amore più limpido di cui abbiamo esperienza - ci troviamo vuoti, tristi, delusi, adirati di fronte ad un'ingiustizia, un tradimento, una malattia? Perchè l'amore di una madre che ha gestato e dato alla luce suo figlio non è capace di colmarle il cuore e l'esistenza al punto di farle attraversare la scia di dolori e fallimenti che accompagna i suoi giorni? Perchè quell'amore e qualunque altro amore non ci sazia? Oggi ci è data la risposta, oggi ci è svelato il mistero in cui è racchiusa la nostra vita. E non si tratta di parole. Non è psicologia o filosofia, neppure religione. E' un uomo crocifisso. Non si tratta di capire ma di contemplare. Lasciare che il volto di Cristo, le sue mani, i suoi piedi, il suo fianco parlino al nostro cuore. Guardarlo, adorarlo, fissarlo. Sino a che i suoi stessi chiodi, la stessa lancia penetrino al fondo di noi stessi, e destino e illuminino quel seme d'amore che rechiamo impresso, l'immagine stessa di Dio che ci costituisce e che abbiamo dimenticato. Che la nostalgia sino ad oggi indecifrabile si schiuda all'incontro con l'amore che da sempre abbiamo desiderato. Che l'ardente amore suo abbracci l'ardente nostro desiderio. Che in Lui, crocifisso in un legno d'assurdo e infinito amore, ogni nostra voragine sia colmata. Posare il nostro sguardo sulle sue ferite e scoprire che in quelle mani son scritti, nel sangue, i nostri nomi, i nostri giorni, le nostre ore, tutte. La sua croce è la nostra croce, l'amore mai domo che ci ha seguito, strattonato, chiamato, impetuoso a volte, geloso e inopportuno, ma nache tenero e delicato nel lasciarci totale libertà, di scappare, di urlare, di peccare. L'amore che rompe gli argini della legge, degli schemi, al punto di consegnarsi muto all'estremo d'ogni libertà, quella di uccidere lo stesso amore, di annichilirlo tra odi e rancori. Oggi ci è donata la risposta ad ogni domanda, ai dubbi e alle ansie, al vuoto che non ci lascia. Oggi il Signore crocifisso ci schiude le porte del Cielo, ci introduce nel suo Regno, l'unico amore incontaminato, incorruttibile, che varca ogni limite di morte, fisica e interiore; oggi il suo amore strappa il velo che ci ha accecato per svelarci il destino ultimo ed eterno per il quale siamo fatti: oggi, nella sua Croce, possiamo leggere i nostri nomi scritti, indelebilmente, in Cielo. E' l'unica gioia, che nessuno e nulla potrà mai strapparci, il pegno dell'amore eterno di Dio manifestato nel suo Figlio consegnato, gratuitamente, a ciascuno di noi.



Rapisca,
ti prego, o Signore,
l'ardente e dolce
forza del tuo amore
la mente mia
da tutte le cose
che sono sotto il cielo,
perché io muoia
per amore
dell'amor tuo,
come Tu
ti sei degnato morire
per amore
dell'amor mio


San Francesco







A Elberti. E' la Pasqua del Signore. Venerdì Santo

Digiuno, virtù dimenticata?

Ratzinger - Benedetto XVI. Venerdì Santo: Gesù Crocifisso è la verità che ci rende liberi di amare
Joseph Ratzinger. Meditazioni e preghiere per il Venerdì Santo

A.M. Sicari. VIA CRUCIS IN COMPAGNIA DEI SANTI

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Meditazioni di monsignor Ravasi per la “Via Crucis” al Colosseo
H. U. Von Balthasar. Mysterium Paschale. La Consegna
Don Divo Barsotti. Meditazioni per il Venerdì Santo
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La morte di Gesù come espiazione nella concezione paolina. Pino Pulcinelli
J. Ratzinger. Gesù tra la bellezza e il dolore
Giuda Iscariota. Ratzinger - Benedetto XVI, Tradizione, i Padri, esegesi
Santa Caterina da Siena. « Sapendo che era giunta la sua ora... Gesù li amò sino alla fine »


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IL GIARDINO DEGLI OLIVI

GLI AVVENIMENTI



Nelle narrazioni della Passione dei quattro Evangelisti, l'avvenimento ha inizio in un posto situato fuori delle mura di Gerusalemme, che Matteo e Marco chiamano Getsemani. I testi ci consentono di individuare ancor meglio i luoghi che furono testimoni di quanto accadde.

1. I TESTI Mat 26,36-56:

Allora Gesù, portatosi con essi a un podere detto Getsemani, dice ai discepoli: "Sedetevi qui, mentre io vado lì a pregare". Quindi, presi con sé Pietro e i due figli di Zebedeo, incominciò a rattristarsi e a essere angosciato. Allora dice a essi: "L'anima mia è triste fino alla morte. Aspettate qui e vegliate insieme a me". Poi, fattosi un po' più avanti, cadde sulla sua faccia pregando e dicendo: "Padre mio, se è possibile, passi da me questo calice. Peraltro, non come io voglio, ma come vuoi tu". Viene poi dai discepoli e li trova addormentati. Dice a Pietro: "Così, non avete potuto vegliare per un'ora insieme a me! Vegliate e pregate per non entrare in tentazione. Lo spirito, sì, è pronto; ma la carne è debole". Di nuovo, per la seconda volta, allontanatosi, pregò dicendo: "Padre mio, se non è possibile che questo calice passi da me senza che io lo beva, sia fatta la tua volontà". Tornato di nuovo, li trovò addormentati, giacché i loro occhi erano appesantiti. Perciò, lasciatili, si allontanò di nuovo per pregare la terza volta, ripetendo ancora le stesse parole. Allora viene dai discepoli e dice loro: "Dormite, ormai, e riposatevi! Ecco, l'ora si e avvicinata é il Figlio dell'uomo viene consegnato nelle mani dei peccatori. Alzatevi, andiamo! Ecco, chi mi tradisce si è avvicinato!".

Mentre egli parlava ancora, ecco giunse Giuda, uno dei dodici, e insieme a lui molta folla con spade e bastoni, inviata dai capi dei sacerdoti e dagli anziani del popolo. Il traditore aveva dato loro un segnale dicendo: "Quello che io bacerò, è lui; prendetelo!". Avvicinatosi subito a Gesù, disse: "Salve, Rabbi!" e lo baciò. Ma Gesù gli disse:, "Amico, a che sei venuto?". Allora quelli, avvicinatisi, misero le mani addosso a Gesù e lo arrestarono.

Ed ecco, uno di quelli che erano con Gesù, stesa la mano, trasse fuori la sua spada e, colpendo il servo del sommo sacerdote, gli tagliò l'orecchio. Allora Gesù gli dice: "Rimetti la tua spada al suo posto, poiché tutti quelli che prendono la spada; di spada periranno. O forse credi che non possa invocare il Padre mio, che mi metterebbe a disposizione all'istante più di dodici legioni di angeli? Ma come si compirebbero le Scritture" secondo le quali bisogna che così avvenga?".

In quel momento Gesù disse alle folle: "Come contro un brigante, con spade e bastoni, siete venuti a prendermi Ogni giorno stavo seduto nel tempio per insegnare e non mi avete arrestato. Ma tutto ciò è avvenuto affinché si adempissero le Scritture dei profeti". Allora i discepoli tutti, abbandonatolo, se ne fuggirono.

Il testo di Marco differisce da quello di Matteo solo in dettagli minimi, che non sono di alcun interesse per il presente lavoro, (14,32,52). Sottolineiamo soltanto il celebre episodio con il quale l'Evangelista conclude la scena dell'arresto, e sul quale ritorneremo in seguito: "E un ragazzo lo seguiva, avvolto il corpo nudo in un fine indumento. L'afferrano. Ma quello, abbandonato l'indumento, fuggì".


Luca 22,39-54:

Poi uscì e se n'andarono, come al solito, al Monte degli Olivi, e anche i discepoli lo seguirono. Arrivato sul posto, disse loro: "Pregate per non cadere in tentazione". S'allontanò da loro quanto un tiro di sasso, e inginocchiatosi pregava, dicendo: "Padre, se vuoi, allontana da me questo calice. Però non si faccia la mia, ma la tua volontà". Allora gli apparve un angelo dal cielo che lo rincorava. Poi, in preda all'angoscia, pregava con più intensità e il suo sudore divenne simile a grumi di sangue che scendevano a terra. Si alzò dall'orazione, venne vicino ai suoi discepoli e li trovò assopiti a causa della tristezza. 'E disse loro: "Perché dormite? Alzatevi e pregate, perché non abbiate a cadere in tentazione".

Egli stava ancora parlando, quando apparve una turba e quegli che era chiamato Giuda, uno dei dodici, li precedeva. E si avvicinò a Gesù per baciarlo. E Gesù gli disse: "Giuda, con un bacio tradisci il Figlio dell'uomo?". Ora coloro che l'attorniavano, vedendo quel che stava per succedere, dissero: "Signore, adoperiamo la spada?". E uno d'essi colpì il servo del sommo sacerdote e gli portò via l'orecchio destro. Ma Gesù, intervenendo, disse: "Lasciate stare!". E toccato l'orecchio di quell'uomo, lo sanò. Poi Gesù disse ai capi dei sacerdoti, ai comandanti delle guardie del tempio e agli anziani che erano venuti contro di lui: "Come contro un ladrone siete venuti. con spade e bastoni! Quando ero ogni giorno con voi nel tempio, non avete osato mettermi le mani addosso, ma questa è l'ora vostra e il potere delle tenebre". Essi allora lo presero e lo portarono via...


Giov 18,1-12:

... Gesù se n'andò con i suoi discepoli al di là dal torrente Cedron, dove c'era un orto, e vi entrò, lui e i suoi discepoli. Anche Giuda, che lo tradiva, conosceva il luogo, perché spesso Gesù si riuniva là con i suoi discepoli.

Giuda dunque, presa la coorte e delle guardie dai sommi sacerdoti e dai farisei, va là con lanterne, fiaccole e armi. Gesù, sapendo tutto quello che gli doveva accadere si fà avanti e dice loro: "Chi cercate?". Gli risposero: "Gesù di Nazaret". Dice loro Gesù: "Io sono". Anche Giuda che lo tradiva stava con essi! Appena disse loro: "Io sono", indietreggiarono e caddero a terra.

Chiese loro di nuovo: "Chi cercate?". E quelli: "Gesù di Nazaret". Rispose Gesù: "Ve l'ho detto: Sono io. Se dunque cercate me, lasciate che questi se ne vadano". Si adempiva così la parola che aveva detto: "Non ho perduto nessuno di quelli che mi hai dato".

Allora Simon Pietro, che aveva una spada, la sguainò e colpì il servo del sommo sacerdote tagliandogli l'orecchio destro. Il servo si chiamava Malco. Ma Gesù disse a Pietro: "Rimetti la spada nel fodero! Il calice che mi ha dato il Padre non lo berrò?". La coorte, il tribuno e le guardie dei Giudei presero dunque Gesù e lo legarono.

IL LUOGO


Tanto i manoscritti quanto le cronache dei primi pellegrini ci danno lezioni diverse del posto che, secondo Matteo e Marco, ha visto l'agonia e l'arresto di Gesù, e gli esegeti - a loro volta - ci propongono parecchie etimologie. La lezione più comune, oggi generalmente accettata, "Getsemani", rappresenta la forma lievemente ellenizzata delle parole ebraiche gath (frantoio) e scemanim (oli). Questo "frantoio degli oli" si trovava oltre il torrente Cedron (Giov 18,1), in direzione del Monte degli Olivi (Mat 26,30; Mar 14,26; Luc 22,39). Come quasi tutti i torrenti o wadi palestinesi, il Cedron, non è che un greto secco nella valle e si riempie d'acqua soltanto dopo le torrenziali piogge invernali. Questo wadi, al cui corso presentemente vengono dati diversi nomi, nasce a nord-ovest di Gerusalemme, costeggia la città verso est, dove la separa dal Monte degli Olivi, si dirige verso sud-est per sfociare nel Mar Morto a sud di Qumran (Figg. 1 e 2).

Il Cedron delude di solito i pellegrini del Getsemani. Essi hanno in mente torrenti dal corso impetuoso incassati tra declivi montagnosi, e vedono invece una specie di canale ingombro di pietre, nel fondo di una valle che non corrisponde molto a quello che la credenza popolare, dal IV secolo in poi, si raffigura circa la Valle di Josafat, valle dove Dio "siederà a giudicare tutti i popoli all'intorno" (Gioele 4,2-12). Una vasta necropoli giudea, cristiana e maomettana resta tuttora a testimoniare di tale credenza. Nel tratto in cui costeggia le mura di Gerusalemme, la valle del Cedron non è ampia, come nel tratto un po' più a monte e come ritornerà ad essere a sud della città, né è quella gola selvaggia eppure maestosa, che suscita l'ammirazione dei visitatori del monastero di Mar Saba. E' giusto notare che, dall'epoca evangelica, le alluvioni del Cedron e gli strati di detriti e di terra franata hanno alzato, nelle vicinanze di Gerusalemme, di quasi 15 metri il fondo della valle, addolcendo nel contempo la ripidezza dei fianchi.

Tuttavia, per chi voglia ritrovare i "passi di Gesù", la valle del Cedron è una delle località più suggestive. Quante volte, in verità, il Cristo ha attraversato uno dei ponti sul torrente, per andare da Gerusalemme a Betania o, come dice S. Giovanni, per recarsi nel giardino "al di là del torrente Cedron!".

La notte in cui fu arrestato, Gesù, accompagnato da undici Apostoli, dopo essere disceso dal colle occidentale di Gerusalemme, oggi chiamato Monte Sion - dove, a partire dal IV secolo, è stato localizzato il Cenacolo - uscì dalla città forse per la porta della Fontana, vicina alla piscina di Siloe, e risalì la valle verso nord, passando presso i monumenti funebri che vengono fatti risalire all'epoca asmonea (II secolo a. C.). Il gruppo giunse in un posto che Matteo e Marco chiamano "chorion", podere, fondo rustico, casa di campagna, e Giovanni chiama "kepos", giardino, frutteto, uno di quegli oliveti recintati, tipici del paesaggio palestinese, dove probabilmente c'era anche un frantoio.

Gli esegeti non si sono mai stancati di indagare circa i rapporti che correvano tra Gesù e il proprietario di questo podere. Dato che spesso il Signore si recava colà in compagnia degli Apostoli (Giov. 18,2), il proprietario non doveva essere uno sconosciuto. L'episodio che, malgrado sembri insignificante, Marco si fà premura di narrare, è considerato da alcuni come un fatto personale, una specie di firma. Senza dubbio, il ragazzo che aveva addosso soltanto quel "fine indumento di lino" non poteva abitare troppo lontano. Ma Marco non dice che l'episodio è accaduto proprio al Getsemani, così che, qualora si tratti del futuro Evangelista, non disponiamo di alcun elemento sicuro che ci permetta di affermare che la sua famiglia possedeva quel podere.

Gli avvenimenti del Getsemani succedono in posti che, per ben comprendere le tradizioni primitive, devono essere necessariamente distinti.

Giunto al Getsemani, Gesù lasciò otto Apostoli in un punto e si allontanò "quanto un tiro di sasso" con Pietro, Giacomo e Giovanni. A questi suoi tre intimi, che erano stati i testimoni della Trasfigurazione Gesù chiese di vegliare con lui in quell'ora di "tristezza" e di "angoscia". Poi, appartatosi ancora un poco, "cadde sulla sua faccia".

Sebbene i testi non lo dicano esplicitamente, è probabile che Gesù abbia ricondotto i tre discepoli verso gli altri e che abbia atteso l'arrivo di Giuda in mezzo al gruppo.


Secondo il testo greco di Giovanni, Gesù "uscì" per andare incontro alla coorte e alle guardie. Questo verbo sembra indicare che l'arresto è avvenuto fuori del giardino dove Gesù era "entrato" con gli Apostoli (cfr. 18,1). Questa interpretazione d'altronde, è accettata da molti esegeti. Tuttavia dopo alcuni versetti (18, 26), Giovanni parla dell'arresto come avvenuto proprio nel giardino, quando fa dire ad un parente di Malco, al momento del rinnegamento di Pietro: "Non ti ho visto io nell'orto con lui?"

Le tradizioni primitive e la topografia ci aiuteranno a trovare la spiegazione del verbo usato da Giovanni.

Otto vecchi olivi, da dietro una bassa cancellata a motivi bizantini (eretta nel 1959), attirano l'attenzione dei pellegrini al loro ingresso nel giardino, e creano l'atmosfera spirituale per una visita al Getsemani. La loro età ha sollevato discussioni che vengono riecheggiate in tutte le guide. Questi alberi, la cui prima menzione risale al XV secolo, apparivano ai pellegrini dei secoli seguenti, molto vecchi e molto grandi, i più grandi di tutti gli alberi di Palestina.

Nessuno mette in dubbio l'età veneranda di questi olivi dal tronco cavo e nodoso; ma né la storia né la botanica offrono argomenti decisivi circa la loro data di nascita.

Tutte le deduzioni che alcuni hanno voluto trarre dalla Guerra Giudaica di Giuseppe Flavio, sono vane e noi non sappiamo se gli olivi, che forse crescevano nel giardino all'epoca del Cristo, sono stati, o meno, abbattuti dai Romani nel 70, durante l'assedio di Gerusalemme. Altrettanto vana è la prova che alcuni pellegrini e alcuni scrittori (tra cui perfino Chateaubriand) hanno dedotto da una supposta esenzione fiscale - o riduzione, perché i testi sono contraddittori - di cui avrebbero goduto gli olivi del Getsemani per il fatto di essere anteriori all'invasione araba... o al dominio turco. Questa esenzione è spiegata semplicemente dalla natura religiosa dell'opera alla quale i musulmani avevano assegnato il giardino del Getsemani, dopo aver riconquistato Gerusalemme nel 1187.

I botanici non hanno miglior fortuna degli storici. Se, da una parte, il tronco di un olivo, soprattutto di un vecchio olivo, non si presta allo studio dello sviluppo vegetale, d'altra parte nulla suffraga l'affermazione dei pellegrini che ritengono che gli olivi del Getsemani siano dei polloni delle piante dell'epoca del Cristo. Anche se spesso avviene, come già osservava Plinio il Vecchio, che l'olivo non muore, ma rinasce dal suo stesso ceppo, il fenomeno non è accaduto a quell'albero del Getsemani che i pellegrini del XVII secolo dicono esser stato bruciato, abbattuto, o esser morto di vecchiaia, e che non pare, checché se ne sia detto, aver generato dei polloni.

Senza dubbio le anime sensibili possono provare una certa delusione. Ma, anche se non sono proprio le piante dell'epoca evangelica, e forse nemmeno i polloni, gli olivi del Getsemani meritano la venerazione di tutti i pellegrini grazie al ricordo dell'Agonia da loro suscitato in questo luogo che ne è stato il testimone.

La storia del Giardino degli Olivi può essere riassunta in poche righe. Dopo aver fatto probabilmente parte del complesso ecclesiastico delle chiese costruite a partire dal IV secolo nel luogo dell'Agonia, il giardino subì, partiti i crociati, la sorte di tutte le antiche proprietà cristiane: fu assegnato come waqf (lascito pio) ad un'opera religiosa maomettana. Nel caso specifico, al collegio teologico che aveva sede nella chiesa di S. Anna.

Il terreno, chiamato dai pellegrini del XIII secolo e dei secoli seguenti, "campo fiorito", "giardino dei fiori", dopo il XIV secolo ci appare diviso, da sentieri e muriccioli, in diversi appezzamenti. Sembra in realtà che il waqf del Getsemani sia finito per diventare una proprietà privata che una serie di legati ereditari doveva spezzettare fra parecchi proprietari.

Le testimonianze, che diventano con il tempo sempre più numerose seppure non sempre più esatte, dimostrano che i fedeli continuavano a venerare il Giardino degli Olivi. Tuttavia, mentre i cristiani orientali hanno conservato le tradizioni antiche, almeno per quanto concerne il luogo dell'Agonia, la maggioranza dei pellegrini occidentali ha invertito, a poco a poco, i posti, giungendo a localizzare il luogo dell'Agonia di Gesù nella grotta vicina (che venne così chiamata "Grotta dell'Agonia") e il luogo dell'arresto, nel giardino.

Nel XVII secolo, per interposta persona, i francescani entrarono in possesso del Giardino degli Olivi. Sebbene il contratto ufficiale d'acquisto sia stato redatto nel 1681, pare che il giardino appartenesse ai francescani già nel 1666, sempre che si possa prestar fede a quanto riferiscono diversi pellegrini. Gli archivi della Custodia di Terra Santa conservano numerosi documenti - contratti d'acquisto, composizioni di liti - relativi ai possedimenti del Getsemani, ma oggi è spesso difficile stabilire con precisione le località. Così, circa il contratto del 1681, noi possiamo rintracciare esattamente soltanto i confini est e ovest del terreno acquistato: il sentiero del Monte degli Olivi e la grande strada statale di Gerico. A nord, il terreno arrivava ad un oliveto dei francescani; a sud, al vigneto di due arabi. In quanto alla grotta compresa nel terreno acquistato, è impossibile appurare se era realmente l'attuale "Grotta del Getsemani".

Tuttavia, per quasi tutti i pellegrini il Giardino degli Olivi si restringeva in effetti al campo dove crescevano i vecchi olivi che l' "opinione comune" e la "tradizione del paese" facevano risalire all'epoca del Cristo. L'area non era più coltivata; un muro a secco, alto circa 1 metro, la circondava.

Il giardino fu lasciato in quelle condizioni fino al 1847. Per proteggere gli olivi, i francescani furono obbligati a costruire una recinzione più alta, che venne sostituita nel 1959 dal muro che oggi vediamo. Protetto in tal modo, il terreno fu coperto, malgrado i pareri contrari, da una serie di aiole, probabilmente a ricordo del "giardino dei fiori" dei secoli XIII e XIV. Ma, dalle relazioni pervenuteci, sembra che i pellegrini di allora sperassero di trovare in questo luogo un pó più di semplicità.

Un bassorilievo di marmo, che un tempo era collocato nel giardino ed ora si trova a lato della porta della sacrestia, rappresenta l'agonia di Gesù. Questa scultura, opera del veneziano Torretti, maestro del Canova, è stata mutilata da ignoti vandali.

LA GROTTA DEL TRADIMENTO


I pellegrini del IV-VI secolo, seguendo le narrazioni evangeliche, commemoravano l'agonia e l'arresto di Gesù in due luoghi diversi. Sebbene delle aggiunte siano venute a complicare la tradizione, facendo persino accadere l'episodio dell'agonia in un terzo posto, i fedeli hanno sempre mantenuto la distinzione tra i due luoghi. Certamente le testimoniante dei pellegrini, che costituiscono la fonte prima delle nostre informazioni, non sempre brillano per chiarezza, né per esattezza. Spesso limitate a poche osservazioni e a pochi ricordi, queste relazioni trascuravano quanto sembra a noi oggi essenziale, per dilungarsi su particolari e su fatti "miracolosi", o per lasciarsi andare a considerazioni pie. Dato che sono state talvolta scritte a distanza di tempo, anche da terze persone, non è facile sfrondarle. La loro lettura, tuttavia, prescindendo dai particolari e da qualche testo dubbio, ci permette di constatare che la distinzione tra il "giardino e la "grotta" era costante.
La Grotta del Tradimento
1. Fonti Letterarie

Secondo la tradizione del IV secolo, come abbiamo visto, il posto dove era avvenuto il tradimento si trovava a destra del sentiero che porta dalla città al Monte degli Olivi. Mentre l'Anonimo di Bordeaux ricollega il fatto ad una roccia, pellegrini posteriori parlano di una grotta. Una ricostruzione della notte del Getsemani ci autorizza a ritenere che Gesù, prima di farsi incontro a Giuda, sia andato a raggiungere, con Pietro, Giacomo e Giovanni, gli otto Apostoli proprio nella grotta dove li aveva lasciati.

Comunque si siano in realtà svolti i fatti, i pellegrini, uscendo dalla chiesa dell'Assunzione, dove si trovava la tomba della Vergine, visitavano la grotta del Tradimento prima di venerare l'Agonia di Gesù nel giardino, e di iniziare la salita al Monte degli Olivi.

Questa distinzione tra i due luoghi venne conservata fino al XIV secolo. Dopo di allora, si ebbe una inversione, accettata almeno dai pellegrini occidentali, che durò fino alla scoperta delle antiche chiese dell'Agonia e che diede erroneamente alla grotta il nome di "Grotta dell'Agonia".

Il primo documento che localizza la scena dell'Agonia in questa grotta, è la relazione del domenicano tedesco Wilhelm von Boldensele (1333). Dopo un periodo di discordia e di incertezza, durante il quale secondo alcuni pellegrini Gesù avrebbe pregato la terza volta, in un posto diverso, i cristiani occidentali, nel XVI secolo, finirono per identificare nella grotta il luogo delle tre preghiere.

A seguito di ciò, il luogo del tradimento di Giuda e quello dell'arresto vennero localizzati vicino alla "Roccia degli Apostoli", mentre il posto dove si erano trattenuti gli otto Apostoli veniva fissato più in basso nella valle.

Visto che i cristiani orientali hanno conservato la tradizione primitiva circa il luogo dell'Agonia, ci si e domandati il perché dell'inversione. E' possibile che alcune parole, dipinte sulla parete, e delle quali parleremo in seguito, abbiano tratto in inganno i pellegrini. E' anche possibile che la distruzione della chiesa del Santo Salvatore abbia indotto i fedeli a scegliere un altro posto, che serviva da santuario e nel quale veneravano l'Agonia.

Quantunque i francescani fossero entrati in possesso della grotta nel 1361, i loro diritti furono poco rispettati e molto contestati fino all'inizio del XIX secolo: il luogo restava una specie di proprietà pubblica dove i musulmani portavano il bestiame al riparo.

Diversi documenti riferiscono che proprio in questa grotta del Getsemani Gesù, durante una cena, avrebbe lavato i piedi agli Apostoli.

Menzionata verso il 530 nella relazione dell'arcidiacono Teodosio e nel trattatello anonimo intitolato Il breviario di Gerusalemme, questa cena è citata anche in documenti posteriori. A poco a poco il ricordo andò perso, salvo uno sporadico riferimento fatto nel XV secolo da un pellegrino russo, il mercante Basilio. Le guide mostravano ai pellegrini persino i quattro (o tre) tavoli ai quali si sarebbero seduti Gesù e gli Apostoli. Per devozione, i fedeli prendevano nella grotta un pasto senza carne.
In questo pasto il P. Emmanuele Testa vede una delle "cene" che i giudeo-cristiani celebravano in determinati posti che erano stati onorati dalla presenza del Salvatore. Alla "cena" del Getsemani, che un sermone attribuito a Eutiche patriarca di Costantinopoli (VI secolo), cita insieme con quelle che si tenevano al Monte Sion e a Betania, partecipavano probabilmente i membri della setta giudeocristiana degli Ebioniti. che si astenevano dalla carne e consumavano pane azimo e acqua.

2. STRUTTURA E DECORAZIONE DELLA GROTTA

La grotta del Getsemani misura, grosso modo, 19 metri per 10. L'irruente alluvione del novembre 1955 rese necessari dei restauri, che vennero effettuati nel 1956-1957 sotto la direzione del P. Virgilio Corbo, il quale ebbe così l'opportunità di studiare la struttura ed il sottosuolo del posto.

Originariamente la grotta si apriva verso nord con un'entrata larga circa 5 metri. Era costituita dall'attuale parte centrale, da una parte più profonda a est e, probabilmente, da un prolungamento verso un'altra piccola grotta situata a est-sudest. Sembra che nella depressione esistesse un frantoio, il cui braccio poteva far leva in una cavità ancora visibile nella parete sud. A nord-ovest della grotta una conca naturale della massa rocciosa era stata ingrandita e adibita a cisterna. Le acque scendevano dal tetto e, convogliate in un canaletto scavato nella parete esterna della grotta rivolta a nord, venivano dirette, prima di entrare nella cisterna, verso una piccola vasca di decantazione.

Questi sono i vari elementi che sembrano essere esistiti all'epoca evangelica e che sembrano testimoniare la destinazione del posto ad usi agricoli, destinazione che non impediva d'altronde altri servizi, finita la stagione delle olive.

Nel IV secolo la grotta fu trasformata in cappella. Per questo motivo venne costruita una specie di deambulatorio, tuttora esistente, che costeggiava le pareti sud e ovest, ed aveva la volta più bassa di quella della parte centrale.

Quattro pilastri di roccia sostenevano la volta della nuova cappella, che riceveva luce da un'apertura praticata nel tetto. Una piccola vasca, scavata nel pavimento in corrispondenza di questa apertura, riceveva le acque piovane.

L'ingresso fu spostato verso nord-ovest, probabilmente al momento della costruzione della chiesa dell'Assunzione, che veniva a bloccare la via di accesso alla grotta. La nuova entrata era larga circa 2 metri e alta 1,90 metri.

La cappella era pavimentata con mosaico bianco, malamente rovinato da fosse di tombe. Infatti, il sottosuolo, ad eccezione di quello del presbyterium, situato nella depressione orientale, racchiudeva una necropoli di 42 tombe, risalenti al V-VIII secolo, ma utilizzate nuovamente durante le crociate. Nel IV-V secolo la stessa cisterna dell'angolo nord-ovest servì da sepolcro sotterraneo. Questo sepolcro era ricoperto con un mosaico di tessere rosse, bianche e turchine, del quale restano due parole: ke anapaus ... (Signore, dona il riposo ... ).

Del periodo bizantino sono stati rinvenuti, in particolare, un bel frammento della transenna che delimitava il presbyterium e diverse iscrizioni funebri. L'esame della volta ha rivelato la presenza di numerosi graffiti, lo studio dei quali non è stato ancora concluso.

Durante il Regno di Gerusalemme, il pavimento della cappella fu riparato con lastre di pietra, con mosaico a grandi tessere, con pezzi di marmo e con mattoni. La volta fu decorata prevalentemente con motivo di stelle, mentre il presbyterium fu ornato da una grande composizione; i cui resti arrivano fino alla parete settentrionale: due aureole, dei paramenti, un'ala d'angelo. Basandosi sulla relazione di J. von Wurtzburg (1165), su una iscrizione parietale e su dei mosaici di Venezia e di Monreale di Palermo, il P. Corbo ritiene di poter distinguere tre scene: la preghiera del Cristo nel giardino, il Cristo con gli Apostoli e l'Angelo che consola il Salvatore.

I tre versetti dell'iscrizione sono stati variamente trascritti e interpretati. Ma il cielo pittorico che aveva ornato il presbyterium, sembra giustificare la seguente lezione: "Qui [nelle scene rappresentate]: il Re Santo ha sudato sangue. Il Signore e Cristo ha spesso frequentato [questo luogo con i suoi Apostoli]. Padre mio, se le vuoi, allontana da me questo calice".

Nel 1655 delle alluvioni obbligarono i francescani a chiudere l'ingresso bizantino con un muretto di pietra e ad aprirne uno nuovo all'estremità di uno stretto andito praticato tra due muri di sostegno. Il nuovo ingresso prendeva la parte occidentale dell'apertura originaria. Una volta artificiale lo collegava con la grotta, nella quale si scendeva per una scala di circa 10 gradini.

Questo terzo ingresso fu un pó restaurato nel 1938 e nel 1956. I lavori del 1956 hanno messo in risalto una grande parte dell'ingresso primitivo, e l'ingresso bizantino, così come è stato ritrovato al di sopra dell'antica cisterna, a destra dell'entrata attuale. I restauri hanno parimenti preservato frammenti di mosaico bizantino.

Una pietra della facciata reca i brani del Vangelo relativi alla grotta, mentre la parola "Getsemani", incisa sul lintello, ricorda il nome primitivo del luogo.

I restauri del 1956-1957 hanno per caso liberato, a est-sud-est del presbyterium, una piccola grotta naturale, chiusa da un muro, ingombra di uno strato alto un metro di terra alluvionale. L'intonaco delle pareti non reca alcuna traccia di graffiti, né di decorazioni. Questa grotta, nella quale non si sono reperiti neanche resti minimi di pavimento, fu probabilmente chiusa dopo le alluvioni che avevano resi necessari i lavori del 1655.

© franciscan cyberspot - text written by Albert Storme