di Aldo Ciappi
Chi sostiene che, alla fine, si tratta semplicemente di elezioni amministrative non comprende la reale posta in gioco. Inoltre c’è il serio rischio che molti, disgustati dall’estenuante guerra senza esclusione di colpi tra Berlusconi, da una parte, e i “nemici di Berlusconi”, dall’altra, decidano stavolta di girare al largo dai seggi per godersi una salutare giornata di relax foris portam mandando così un chiaro segnale al palazzo.
Questo stato d’animo, per molti versi giustificato, non tiene conto, però, di una verità importante e cioè che l’eventuale diserzione di un consistente numero di elettori, per ritorsione all'eccessiva litigiosità dei contendenti, non porterà ad alcun risultato utile al paese, anzi...
È, infatti, in atto non tanto (o non soltanto) una noiosa diatriba personale tra più galli in un pollaio, bensì un vero e proprio scontro “culturale” in senso lato in cui varie posizioni (diversificate ma con più punti di contatto tra loro) hanno finito per riconoscersi attorno alla figura carismatica del Presidente del Consiglio, forse l’unica in grado di tenerle unite. A fronte di ciò, per contrasto, si è costituito un blocco politico decisamente eterogeneo, quanto ai background ideologici dei suoi componenti, ma convergente sull’obiettivo dell’eliminazione dell’avversario.
È evidente a tutti, e se ne è avuta riprova nell’esperienza reiterata dei governi Prodi, che l’eventuale prevalenza del composito schieramento delle sinistre ricreerebbe, anche nei governi locali, quella situazione di equilibrio estremamente precario mantenuto solo grazie al collante dei favori e delle cariche politiche generosamente distribuite ed a scapito, dunque, delle ragioni del buon governo della cosa pubblica.
Questa banalissima constatazione rischia purtroppo di non essere presente nella coscienza di tanti italiani che, frastornati da questo obiettivamente insopportabile bailamme, enfatizzato a dovere dai media, e non più abituati all’esercizio della memoria storica, potrebbero decidere questa volta di mandare a quel paese la classe politica, facendo di tutta l’erba un fascio con l’illusione di liberarsene.
Vana illusione, quest'ultima! Se non ti vuoi occupare della politica, volente o nolente, essa si occuperà di te e, dunque, tanto vale scegliersi, tra i tanti pretendenti che sgomitano per un posto al sole, quelli un po’ meno livorosi, un po’ meno invasati, un po’ meno doppiogiochisti, un po’ meno demagogici, un po’ meno politicamente corretti e senza la pretesa di incarnare lo spirito del Progresso.
Questa pur grossolana ripartizione tra i due schieramenti prevalenti (lasciando perdere il presunto terzo che vorrebbe collocarsi in mezzo ma che di fatto si riduce alla funzione di ruota di scorta, ben remunerata s’intende, dell’uno o dell’altro, alla bisogna) permetterebbe tuttavia di operare una netta scelta di campo e, dunque, di evitare, almeno nel breve periodo, quella sgradevolissima sensazione di disagio provocato dal continuo stato di agitazione che caratterizza certe presunte “avanguardie” politiche sempre alla ricerca di nuove forme di “espressione” da coniugare, di cui hanno fatto e fanno tuttora esperienza soprattutto gli abitanti delle regioni tradizionalmente rosse. Penso, per esempio, all’introduzione dei vari registri delle coppie di fatto od omosessuali, a quella dei testamenti biologici, alla promozione, anche normativa, della cultura del gender, del transessualismo e di ogni altra manifestazione dell’orientamento sessuale, tanto per citarne alcune.
E allora, per quanto il ventaglio delle alternative offerte al povero elettore sia tutt’altro che esaltante (tanto più in tempi di liste bloccate dai partiti e dalla magistratura), vale ancora la pena di scegliere di evitare quel “peggio” sempre possibile ed a cui non ci si dovrebbe mai rassegnare. Si vada, dunque, tutti a votare come se fosse questione di vita o di morte (ed in un certo senso lo è, basti pensare ai poteri riservati agli enti locali in materie come la sanità; non è un caso che Eluana Englaro sia stata lasciata morire in una struttura pubblica di proprietà del Comune di Udine). Del resto questa è stata, e ci auguriamo continui ad essere, dalle prime elezioni del 1948 fino alle ultime, la “lezione italiana”, secondo la quale il corpo elettorale si orienta – seguendo un innato intuito che risente delle proprie lontane radici cristiane – nella direzione opposta a quella che tali radici vorrebbe definitivamente recidere: una volta al fronte popolare socialcomunista; oggi al “partito radicale di massa” (secondo una felice definizione di Del Noce), di impronta relativista pur nelle sue varie sfumature post-ideologiche, ben incarnato dalle due candidate alle regioni Lazio e Piemonte. Quindi, andare a votare sempre, anche quando si avrebbe una voglia matta di marinare le urne, per difendere le libertà concrete dall’invadenza mortifera di quella cultura politica che alla maggioranza degli italiani non piace affatto: né al governo centrale, né in quello locale.
© Copyright L'Ottimista