E’ stato pubblicato sulla rivista Nature il risultato relativo ad una nuova sperimentazione che consente la creazione di embrioni umani usando il Dna di tre persone diverse: due madri e un padre. Il team di ricercatori, guidati da Douglass Turnbull dell’Università di Newcastle, si sono posti come obiettivo quello di arrivare alla formazione di un bebè “disease-free”, cioè a prova di malattie ereditarie. Insomma, un piccolo geneticamente modificato per eliminare le circa 150 malattie conosciute che sono generate da un difetto del mitocondrio materno, ovvero dalla centrale energetica della cellula. Secondo l’annuncio degli scienziati, un bambino passato attraverso questa manipolazione potrebbe nascere in Gran Bretagna entro tre anni.
Come hanno agito concretamente i ricercatori? Essi hanno utilizzato gli ovociti di due donne. In primo luogo è stato prelevato il nucleo dall'ovocita di una donna non portatrice di malattie mitocondriali: in questo modo si è ottenuto un ovocita che contiene esclusivamente Dna mitocondriale non a rischio. Quindi, dall'ovocita della donna portatrice di malattie mitocondriali è stato prelevato il nucleo, così come è stato prelevato il Dna dell'uomo. I Dna della donna e dell'uomo sono stati così trasferiti nell'ovocita con il Dna mitocondriale sano e in questo ambiente senza rischi ha avuto inizio il processo di fecondazione vero e proprio, con la fusione dei patrimoni genetici dei due genitori. Gli embrioni ottenuti da questa manipolazione, sono poi stati fatti sviluppare dai 6 agli 8 giorni, per testarne la capacità di crescita e per poter eseguire l’esame del Dna, atto a capire a quali persone appartenesse il patrimonio genetico. Secondo quanto ha rilevato il genetista Giuseppe Novelli, dell'università di Roma Tor Vergata “dire che l'embrione ha tre genitori è sbagliato perché il Dna mitocondriale, che è quello donato dalla persona esterna, non ha nessuna influenza sullo sviluppo successivo”; infatti, anche se i Dna sono tre, i genitori restano comunque due, perché il Dna mitocondriale, con appena 37 geni, costituisce davvero una frazione piccolissima, rispetto ai circa 23.000 geni contenuti nel Dna del nucleo.
Insomma, sono trascorsi vent'anni dalla prima nascita con diagnosi genetica preimpianto e questo è il risultato.
Naturalmente tale ricerca ha generato reazioni contrastanti. Da un lato c’è chi sostiene che questa nuova tecnica sia una grandissima opportunità, perché permette a molte donne di mettere al mondo bambini non affetti da patologie ereditarie. “Quello che abbiamo fatto è come cambiare la batteria di un portatile. L'approvvigionamento energetico ora funziona correttamente, ma nessuna delle informazioni sul unità del disco è stata cambiata”, sostiene Turnbull, che ha guidato la ricerca. Dall’altra parte, c’è chi vede questi continui progressi tecnico-scientifici con perplessità, giudicandoli come non leciti e come possibile fonte di derive eugenetiche; e per appartenere a questa categoria non serve essere cattolici, anzi. Già nel marzo del 2007, Giuliano Ferrara aveva pubblicato sulla rivista Panorama un articolo intitolato “Siamo laici: rifiutiamo l’eugenetica”, in cui concludeva con questa riflessione: “E tutti ci domandiamo se valga la pena di costruire un mondo in cui il diritto eguale alla vita, tutelato per tutti, sia sacrificato sull’altare idolatrico della ricerca senza limiti, fino alla creazione di ibridi umanoidi, fino a quella logica diagnostica che non è più usata per curare, e per sradicare la malattia entro i limiti del possibile, ma per sopprimere il malato oltre i limiti di un disegno moralmente impossibile”.
In Italia, Ignazio Marino, presidente della commissione Sanità del Senato, ha commentato così la notizia arrivata dall’Inghilterra: “Nessun problema etico nella creazione di un embrione con tre genitori, perché in realtà i genitori sono due e restano due”.
Di diverso avviso è la deputata del Pdl, Isabella Bertolini: “Tre genitori per un solo bambino? Un'oscenità di cui non pensavo l'uomo fosse capace. Il rischio che la scienza sia ormai preda di un' inaccettabile deriva eugenetica si fa sempre più concreto. La paura del dolore e della sofferenza non giustifica mostruose degenerazioni che intaccano e distruggono il concetto stesso di genitorialità, di famiglia e che rischiano di causare uno smarrimento incurabile nel bambino che nascerà”.
Secondo Claudio Giorlandino, presidente della Societa' italiana di diagnosi prenatale e medicina materno fetale e presidente del Forum delle associazioni di diagnosi, genetica e riproduzione: “Fino a quando queste metodologie si applicheranno in paesi ad alta civiltà democratica, come l'Inghilterra, non ci saranno rischi di mostruosità o derive innaturali e verranno utilizzate ai fini del bene e della cura della malattia con massimo rispetto per l'uomo”.
Ma siamo poi così sicuri che essere tutti perfetti sia meglio? Perché questa società ha così paura della sofferenza, della malattia, di correre dei rischi? Come bisogna reagire di fronte ad un uomo che sempre più spesso vuole sostituirsi a Dio?
Per dirla con Annalena: di questo passo “si eliminano i down, si eliminano le ragazzine, si eliminano gli autistici, fino a che non nascerà più nessuno, nemmeno un nevrotico qualunque” (Il Foglio, 15 febbraio 2008).
Come hanno agito concretamente i ricercatori? Essi hanno utilizzato gli ovociti di due donne. In primo luogo è stato prelevato il nucleo dall'ovocita di una donna non portatrice di malattie mitocondriali: in questo modo si è ottenuto un ovocita che contiene esclusivamente Dna mitocondriale non a rischio. Quindi, dall'ovocita della donna portatrice di malattie mitocondriali è stato prelevato il nucleo, così come è stato prelevato il Dna dell'uomo. I Dna della donna e dell'uomo sono stati così trasferiti nell'ovocita con il Dna mitocondriale sano e in questo ambiente senza rischi ha avuto inizio il processo di fecondazione vero e proprio, con la fusione dei patrimoni genetici dei due genitori. Gli embrioni ottenuti da questa manipolazione, sono poi stati fatti sviluppare dai 6 agli 8 giorni, per testarne la capacità di crescita e per poter eseguire l’esame del Dna, atto a capire a quali persone appartenesse il patrimonio genetico. Secondo quanto ha rilevato il genetista Giuseppe Novelli, dell'università di Roma Tor Vergata “dire che l'embrione ha tre genitori è sbagliato perché il Dna mitocondriale, che è quello donato dalla persona esterna, non ha nessuna influenza sullo sviluppo successivo”; infatti, anche se i Dna sono tre, i genitori restano comunque due, perché il Dna mitocondriale, con appena 37 geni, costituisce davvero una frazione piccolissima, rispetto ai circa 23.000 geni contenuti nel Dna del nucleo.
Insomma, sono trascorsi vent'anni dalla prima nascita con diagnosi genetica preimpianto e questo è il risultato.
Naturalmente tale ricerca ha generato reazioni contrastanti. Da un lato c’è chi sostiene che questa nuova tecnica sia una grandissima opportunità, perché permette a molte donne di mettere al mondo bambini non affetti da patologie ereditarie. “Quello che abbiamo fatto è come cambiare la batteria di un portatile. L'approvvigionamento energetico ora funziona correttamente, ma nessuna delle informazioni sul unità del disco è stata cambiata”, sostiene Turnbull, che ha guidato la ricerca. Dall’altra parte, c’è chi vede questi continui progressi tecnico-scientifici con perplessità, giudicandoli come non leciti e come possibile fonte di derive eugenetiche; e per appartenere a questa categoria non serve essere cattolici, anzi. Già nel marzo del 2007, Giuliano Ferrara aveva pubblicato sulla rivista Panorama un articolo intitolato “Siamo laici: rifiutiamo l’eugenetica”, in cui concludeva con questa riflessione: “E tutti ci domandiamo se valga la pena di costruire un mondo in cui il diritto eguale alla vita, tutelato per tutti, sia sacrificato sull’altare idolatrico della ricerca senza limiti, fino alla creazione di ibridi umanoidi, fino a quella logica diagnostica che non è più usata per curare, e per sradicare la malattia entro i limiti del possibile, ma per sopprimere il malato oltre i limiti di un disegno moralmente impossibile”.
In Italia, Ignazio Marino, presidente della commissione Sanità del Senato, ha commentato così la notizia arrivata dall’Inghilterra: “Nessun problema etico nella creazione di un embrione con tre genitori, perché in realtà i genitori sono due e restano due”.
Di diverso avviso è la deputata del Pdl, Isabella Bertolini: “Tre genitori per un solo bambino? Un'oscenità di cui non pensavo l'uomo fosse capace. Il rischio che la scienza sia ormai preda di un' inaccettabile deriva eugenetica si fa sempre più concreto. La paura del dolore e della sofferenza non giustifica mostruose degenerazioni che intaccano e distruggono il concetto stesso di genitorialità, di famiglia e che rischiano di causare uno smarrimento incurabile nel bambino che nascerà”.
Secondo Claudio Giorlandino, presidente della Societa' italiana di diagnosi prenatale e medicina materno fetale e presidente del Forum delle associazioni di diagnosi, genetica e riproduzione: “Fino a quando queste metodologie si applicheranno in paesi ad alta civiltà democratica, come l'Inghilterra, non ci saranno rischi di mostruosità o derive innaturali e verranno utilizzate ai fini del bene e della cura della malattia con massimo rispetto per l'uomo”.
Ma siamo poi così sicuri che essere tutti perfetti sia meglio? Perché questa società ha così paura della sofferenza, della malattia, di correre dei rischi? Come bisogna reagire di fronte ad un uomo che sempre più spesso vuole sostituirsi a Dio?
Per dirla con Annalena: di questo passo “si eliminano i down, si eliminano le ragazzine, si eliminano gli autistici, fino a che non nascerà più nessuno, nemmeno un nevrotico qualunque” (Il Foglio, 15 febbraio 2008).
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