DISCERNERE

Uno sguardo profetico sugli eventi

CINEMA E PEDOFILI. ‘Vietato l’ingresso agli adulti non accompagnati da ragazzini’ (Solondz)


Ho visto un cartello, all’entrata di un parco.
Diceva ‘Vietato l’ingresso agli adulti
non accompagnati da ragazzini’”. In un’intervista
all’Independent, Todd Solondz misura
così i dieci anni trascorsi tra “Happiness” e
“Perdona e dimentica”. Il film del 1998 raccontava,
tra altre vicende familiari, un padre
psicoanalista che insidiava i compagni di
scuola del figlio undicenne. La materia era
tanto sulfurea che il regista non riuscì a trovare
neanche una bibita da far bere ai personaggi:
nessuna marca conosciuta voleva
essere coinvolta nello scandalo. Nel film del
2009 (in programmazione da venerdì 16 aprile)
ritroviamo il padre appena uscito di galera.
Con i due figli piccoli l’ex moglie Trish
finge che il marito sia morto, il grande ormai
all’università sa esattamente come sono andate
le cose, ma non ha la minima voglia di
rivangare. Quando al dormitorio scatta il gioco
“chi ha la famiglia più incasinata?” e tutti
dettagliano violenze, crudeltà e sciagure,
borbotta soltanto: “Mio padre è morto. Ho dimenticato
come”. In “Happiness” era sua la
battuta più straziante, da bambino curioso,
dopo che i poliziotti avevano fatto irruzione
in casa. “Papà, quel che hai fatto al mio amico
Joe lo faresti anche a me?”. “Morirei, piuttosto”,
risponde il genitore, che di mestiere
fa lo psicoanalista (e all’inizio del film pensa
ai fatti propri mentre il paziente molestatore
telefonico si dilunga in chiacchiere).
Nel decennio trascorso tra i due film, l’allarme
pedofilia – accompagnato, bisogna
dirlo, da una quantità di falsi allarmi – ha
circondato di un alone sospettoso i rapporti
tra adulti e minori. Retroattivamente, ha
messo sotto accusa due signori per niente indegni
come Vladimir Nabokov e Lewis Carroll,
campioni nell’arte di peccare con la
mente senza bisogno di passare all’atto. Anche
Todd Solondz è finito nel mucchio:
“Happiness”, un film meraviglioso e lontanissimo
da qualsiasi intento di denuncia, ha
rischiato di stroncargli la carriera, dopo il
notevole credito conquistato con il suo primo
lungometraggio, “Fuga dalla scuola media”.
Il regista e il pedofilo finivano per sovrapporsi,
le domande dei giornalisti puntavano
a una dichiarazione buona per un instant-
movie sui vizi degli altri: americani,
borghesi, benpensanti, genitori, educatori.
Secondo Moni Ovadia, che ha adattato in italiano
i dialoghi di “Perdona e dimentica”,
siamo di fronte alla “crisi della famiglia tradizionale”.
Addirittura, questa puntata della
saga avrebbe – a dispetto del titolo – l’intento
di mostrare il padre in tutta la sua indegnità.
Come se il primo capitolo fosse stato
troppo tenero, infatti lo spettatore non
esce dal cinema urlando “a morte i pedofi-
li”. Più facile che ricordi un fraseggio tra
marito e moglie. Lui che le confessa “sono
malato” e lei che ribatte “prendi un’aspirina,
domani starai meglio”.
Tra “Happiness” e “Perdona e dimentica”
(titolo originale “Life During Wartime”) il
cinquantenne regista nato a Newark, New
Jersey, ha scritto e girato “Palindromes”. Un
singolare esperimento cinematografico dove
una tredicenne incinta voleva tenersi il figlio,
e i genitori – saranno questi i valori tradizionali
in via di sparizione? – insistevano
per un aborto, “sennò ti rovinerai la vita”.
Nella parte di Aviva (nome palindromo come
il film, che dopo un lungo vagabondaggio
dal New Jersey al Kansas tornava al punto
di partenza) una decina di interpreti diversi
per età, colore della pelle, perfino sesso. Più
che un film, una chiamata in correità per lo
spettatore: ogni distinzione tra buoni e cattivi
veniva sistematicamente messa in crisi.
Todd Solondz lavora così, per questo resiste
eroicamente alla vulgata del manifesto
politico o sociale o morale. Passando da
“Happiness” a “Perdona e dimentica” cambia
tutti gli attori (tra cui Philip Seymour
Hoffman nella parte del segaiolo solitario,
ruolo che poteva stroncare una nascente
carriera). Conserva le tre sorelle Trish, Joy
e Helen, incapaci di pronunciare una sola
parola che non sia intinta nel veleno, e inzuccherata
di “come ti capisco e quanto ti
voglio bene”. Trish e Helen considerano Joy
il massimo della sfigataggine, non combinerà
mai nulla e non avrà mai fortuna con
gli uomini: il primo si è suicidato, il secondo
viene riconosciuto dalla cameriera al ristorante
come molestatore (“Lo fai ancora?”
“Solo di domenica”), mentre la buona samaritana
si dedica a qualunque disperato trovi
fuori casa, immigrati che la baciano per
rubarle lo stereo o carcerati da rieducare.
“Non hai pensato di lavorare con le vittime,
qualche volta?” le chiede Helen, poetessa e
poi sceneggiatrice di successo a Hollywood,
una carriera costruita su poesie come “Violentata
a dodici anni”. Anche l’antipatica
che si lamenta per il peso della celebrità,
ogni tanto ne dice una giusta. Poi si butta sul
letto e smania: “Sono un bluff. Se fossi stata
stuprata da bambina almeno avrei il dono
dell’autenticità”. In quel momento telefona
il maniaco della porta accanto, le promette
sfondamenti, mette giù la cornetta e viene
all’istante richiamato per dare un seguito alla
faccenda. Le ragazzine vanno al doposcuola
per imparare il karaoke, prendono lo
xanax, piangono per la sofferenza delle carote
che hanno nel piatto. Solo un minuscolo
florilegio, dal vecchio e dal nuovo film.
Sarebbe colpevole perderli: parlano di noi
senza riguardi, cortesie, concessioni o attenuanti,
come nessuno usa più fare.

© Copyright Il Foglio 14 aprile 2010