DISCERNERE

Uno sguardo profetico sugli eventi

Parsifal e pedofili. Cronaca pasquale semiseria da Vienna wagneriana e schönborniana

Alla Staatsoper viennese è di prammatica
ogni anno, il Giovedì Santo, una rappresentazione
– generalmente gigantesca e
minimalista insieme – del Parsifal wagneriano.
Con quell’“Incantesimo del Venerdì
Santo” che risulta spesso una magia misteriosa
e mostruosa per i suoi garbugli fra l’Inestricabile
e l’Inconfessabile.
Tanto più stavolta, ora, nel 2010. Nella Cupola
del Graal cantano wagnerianamente
soavi fanciulli inspiegabili: donde vengono?
chi li ha dati a quei cavalieri cristiani? come
vengono allevati, ancora con le voci
bianche prima dell’acne e della muta?
Poche ore prima, in Duomo, la Funzione
di Penitenza officiata dal Cardinal Schönborn
per il Mercoledì delle Ceneri ha solennemente
chiesto scusa alle passate e presenti
Vittime della Pedofilia Ecclesiastica.
Circa seicento accertate finora. Ma indubbiamente
assai di più: i quotidiani austriaci
più austeri dedicano paginate all’istituzione
di una commissione apposita, spesata
dalla Chiesa ma indipendente, sotto la guida
di ex-governatrici di Regioni e teologhe
specialiste laiche con doppi nomi e doppi
cognomi importanti. (Anche magari vedute
discutibili contro il celibato ecclesiastico:
una buona moglie come antidoto alla violenza
sessuale sui maschietti. E forse un
buon marito per le suore desideranti?).
Effetti di fiaccolata nel buio, sia nella cattedrale
sia all’opera. I “lumini”, una volta,
caratterizzavano le tombe dei cari, al cimitero.
Poi, hanno segnalato i ristoranti di sushi
con camerieri in nero uso becchini. Ora,
possono significare sia lutto sia grazie. (Come
nella Parigi d’una volta: una manifestazione
ogni domenica mattina. E i più: “Per
cosa è la manif di stamattina?”).
In St-Stephansdom, la cabina di regia è
gotica e gli schermi multipli si appoggiano
alle cappelle laterali. L’orchestra stabile è
ottima, come nelle altre chiese attrezzate.
(Pare che dai Minoriti sia meglio l’acustica).
Ma la vocetta rauca e rotta dell’Arcivescovo
raccoglie vivi applausi, tra gli effetti di luce.
E in fondo, tra le masse e le famiglie, chi si
è mai occupato di pedofilia? Si sa che c’è
sempre stata, purtroppo, però finora mai
nel nostro giardino.
L’Arcivescovo riappare nel Duomo per le
funzioni del Sabato Santo, con profusione di
bianchi lini intorno al battesimo e cresima
di sei anziane catecumene multinazionali,
in un esimio Pontificale con trombe e organo
e coro, ed effetti di luci. Invece, all’Opera,
dove tutte le peripezie e disgrazie presso
il Graal derivano dalla ferita insanabile
nel fianco dell’infelice leader Amfortas -
“die Wunde! die Wunde!” - malgrado i tanti
bagni cerimoniali e termali fra i paraventi,
e nonostante i percorsi chilometrici dei coristi
in fila per supplire alla staticità della
musica, nessuno per anni e anni cambia
mai la biancheria insanguinata e zozza a
quel povero disgraziato. E neanche gli tolgono
gli stivali quando è a letto, in bagno, o
nelle cerimonie così solenni del Venerdì
Santo.
Sarà (come oggi tutto) una metafora? Forse
l’opposto cavalleresco dei Carmelitani
Scalzi? O un effetto di regìa, tipo Radames
in blue jeans?
Nell’opera wagneriana, si sa, il prolisso
narratore Gurnemanz si dilunga su vicende
istituzionali e marginali, ma non fa mai
chiarezza su circostanze fondamentali: come
mai in un ordine così celibatario il reggente
è figlio di un vecchio monarca, come
in una Sassonia qualunque? E dov’è la colpa,
se si è comportato come il suo papà?
Tranquilli, comunque? Parsifal (dopo
una vecchia zimarra per i boschi) veste comunque
abiti da grande magazzino come
Faust nell’omonimo dramma di Goethe al
Burgtheater, fra dei “come stai?” da sketch
di presentatori dei cubi bianchi, e camerieri
in nero da sushi minimalista. E lumini
analoghi in Duomo, con aspersori abbonati
a portata del Cardinal Schönborn.
All’Opera, fra macchinismi spropositati e
incessanti, si solleva tutto il palcoscenico indicando
che “les voix d’enfants chantant
dans la coupole” (secondo l’eccellente citazione
di Verlaine) giungono in realtà da
buie cantine. Ove si commettono abusi, secondo
le teologhe cattedratiche delle commissioni
arcivescovali. E certo, almeno per
Bizet, “parlami della mia mamma” propone
qualche alternativa al tenore sedotto dalla
demoniaca Carmen…
…Ma nel Parsifal, già sembra dubbio in
origine che i tristi ricordi della povera
mamma possano eccitare i sensi di un bambinone
benché “puro folle” (ovvero, alla lettera
del testo, “mero coglione”). Ora qui nel
Giovedì Santo all’Opera, ecco uno zombie
teleguidato da telemaghi in un’anticamera
a divani da outlet fra veline tv in abiti rossi
da sfilata dimessa. E neanche sono “trans”.
Kundry, la peccatrice, oltre tutto è coetanea
della povera mamma di Parsifal, e delle anziane
catecumene in Duomo. Dunque si capisce
poco. Soprattutto, dove prendono tutti
quei ragazzini?

Alberto Arbasino ci manderà di tanto in tanto
un suo articolo, e questo ci rallegra molto.

© Copyright Il Foglio 14 aprile 2010