Stefano Zecchi ha denunciato su queste colonne l’ennesima tappa della dittatura degli esperti: l’introduzione della misura dello «stress-lavoro correlato», che produrrà un’altra proliferazione di «specialisti» di dubbia competenza ma dotati del potere supremo di controllare lo stato psicologico altrui mediante test, questionari, protocolli e altri marchingegni pseudoscientifici. È un processo di «medicalizzazione» della società che trasforma tutti in malati monitorati, misurati e controllati da una corporazione di esperti al di fuori di ogni controllo.
Non illudiamoci, il processo è planetario e resistervi sarà difficile: l’epicentro sono gli Usa, dove dilaga la manìa di considerare ogni stato come una patologia da curare e di sostituire concetti qualitativi con quantità, misure, test e punteggi anche se i risultati di questi metodi sono spesso mediocri. Un esempio clamoroso di questo andazzo è la classificazione dei comportamenti dei bambini vivaci e iperattivi - «con l’argento vivo addosso», si diceva un tempo - come una malattia che molti studiosi seri considerano una scandalosa invenzione: il suo acronimo è Ahdh, Attention Deficit Hyperactivity Disorder. Che vi siano bambini del genere è arcinoto e, in alcuni casi, si cade nella patologia. Ma codificare in generale simili comportamenti come una malattia è folle e pericoloso perché rischia di classificare come malate persone perfettamente normali e scarica le famiglie di ogni responsabilità trasformando un problema quasi sempre educativo in una faccenda di dottori e psicologi. Negli Usa l’Ahdh è stato diagnosticato in 17 milioni di bambini. L’anno scorso il sedativo Ritalin, prodotto allo scopo, è stato ricettato 20 milioni di volte con un giro di affari stratosferico. Una celebre ballerina, Elisabetta Armiato, ha ricordato di essere stata una bambina iperattiva che saltava sul tavolo da pranzo. Proprio per questo ha deciso di battersi per il divieto dello screening di massa dell’Ahdh nelle scuole italiane e per il consenso informato prima della somministrazione di Ritalin.
Ma mentre ci si batte per turare una falla se ne aprono altre più gravi. È in discussione in Parlamento una legge, pare approvata da uno dei due rami (e già a livelli regionali), che è frutto di un trasversalismo politico progressista saldato dal comune intento di fare il futuro. Essa codifica l’esistenza di una nuova malattia detta Dsa, Disturbi specifici di apprendimento. Di che si tratta? Il Dsa raggruppa «disturbi» diversissimi tra di loro, che assieme non fanno una sindrome, ma sono riunificati solo perché legati ai processi di apprendimento, anche se ciò accade per altre malattie di diversissima natura: e questo già la dice lunga sulla serietà «scientifica» di chi ha messo in piedi un simile artefatto.
Il Dsa include la dislessia, e fin qui vi è poco da dire, trattandosi di un disturbo noto, anche se si dice che fossero dislessici Newton e Einstein, ovvero i più grandi scienziati della storia. Include poi la «disgrafia», «disturbo di scrittura che si manifesta in difficoltà della realizzazione grafica». Già qui c’è da saltare sulla sedia. In una scuola, in cui non è più considerato necessario insegnare come tenere una penna in mano, coloro che hanno difficoltà nello scrivere o nel disegnare sono una massa imponente. E non è un ritornello quotidiano che le capacità ortografiche dei bambini delle primarie sono disastrosamente modeste? Ebbene, anche la «disortografia», pomposamente detta «difficoltà nei processi linguistici di transcodifica», è un disturbo incluso nel Dsa. Conclude il quartetto la «discalculia», «disturbo che si manifesta con una difficoltà negli automatismi del calcolo e dell’elaborazione dei numeri». Anche qui giova ricordare le carenze matematiche degli studenti sistematicamente attestate dai test internazionali e verificabili quotidianamente da qualsiasi insegnante: la massa dei «malati» di discalculia è un esercito. Per la mia specifica competenza matematica ho approfondito la questione. Leggendo alcuni materiali «specialistici», ho constatato che i criteri di demarcazione della «malattia» sono quanto mai vaghi e mal definiti. Nelle definizioni si fa spesso ricorso a idee dei meccanismi del calcolo mentale completamente fasulle. Senza contare che si trascura il contesto storico-sociale: nel Settecento il matematico Eulero era in grado di fare calcoli mentali di mostruosa difficoltà che, essendo cieco, dettava a un aiutante. Oggi anche il più valente matematico non sarebbe in grado di avvicinarsi da lontano a simili capacità. Esiste un’evoluzione storica delle capacità di calcolo e di memorizzazione che è stata ampiamente studiata e che questi «specialisti» ignorano. Oggi, per molte ragioni anche legate agli sviluppi tecnologici, siamo al livello storico più basso delle capacità di calcolo mentale, aggravato dalla crisi della scuola e da teorie didattico-pedagogiche inappropriate. Tralascio di dire quale sia il livello dei rapporti che ho consultato, scritti in una lingua che potrebbe configurare la patologia di «disgrammaticìa» e «dis-sintassìa». Infine, ho cessato di avere rispetto per queste elucubrazioni quando ho sentito dire da uno di questi «specialisti» che gli studenti in sedia a rotelle sono strutturalmente poco abili nel calcolo mentale perché questo sarebbe legato alle capacità motorie: basti pensare che uno dei più celebri fisici e matematici viventi, Stephen Hawking, è affetto da atrofia muscolare progressiva.
Tuttavia, si sta preparando il più gigantesco processo di trasformazione della scuola italiana in ospedale: la legge riconosce la diagnosi di Dsa effettuata dal Servizio sanitario nazionale, la quale viene comunicata dalla famiglia alla scuola. In altri termini, le famiglie che mirano a trasformare gli insuccessi scolastici dei loro figli in malattia da curare, possono mettere fuori gioco scuola e insegnante mediante psicologi e psichiatri, notoriamente esperti in grafismo, calligrafia, ortografia e matematica. Viceversa, genitori di vedute più rigorose possono vedere il loro figlio sequestrato dal processo dell’istruzione e consegnato all’ambulatorio: difatti la legge prevede che le scuole possano apprestare interventi per individuare casi di Dsa «sospetti» (dàlli all’untore!) e comunicare alla famiglia che il loro figlio è un anormale. Già c’è chi stima tra il 3 e il 5% la prateria su cui pascolerà il grande affare del Dsa.
Per comprenderne fino in fondo le devastanti implicazioni va sottolineato che la legge garantirà «appositi provvedimenti dispensativi e compensativi di flessibilità didattica», una «didattica individualizzata e personalizzata», e la dispensa da «prestazioni non essenziali ai fini della qualità dei concetti da apprendere». I provvedimenti riguardano persino le famiglie, le quali acquisiscono il diritto a orari di lavoro flessibili. Insomma, se tuo figlio passa dalla categoria di insufficiente in matematica a quella di discalculico, ottiene il successo formativo garantito, e tu stai pure a casa. Nel frattempo, avanza inarrestabile la dittatura degli specialisti che, per affermarsi, ha bisogno di una società fatta di malati, di disturbati e disadattati da misurare, monitorare e curare.
Resta soltanto da confidare nei vincoli della crisi e del rigore del ministero dell’Economia per arginare questo autentico delirio.
Non illudiamoci, il processo è planetario e resistervi sarà difficile: l’epicentro sono gli Usa, dove dilaga la manìa di considerare ogni stato come una patologia da curare e di sostituire concetti qualitativi con quantità, misure, test e punteggi anche se i risultati di questi metodi sono spesso mediocri. Un esempio clamoroso di questo andazzo è la classificazione dei comportamenti dei bambini vivaci e iperattivi - «con l’argento vivo addosso», si diceva un tempo - come una malattia che molti studiosi seri considerano una scandalosa invenzione: il suo acronimo è Ahdh, Attention Deficit Hyperactivity Disorder. Che vi siano bambini del genere è arcinoto e, in alcuni casi, si cade nella patologia. Ma codificare in generale simili comportamenti come una malattia è folle e pericoloso perché rischia di classificare come malate persone perfettamente normali e scarica le famiglie di ogni responsabilità trasformando un problema quasi sempre educativo in una faccenda di dottori e psicologi. Negli Usa l’Ahdh è stato diagnosticato in 17 milioni di bambini. L’anno scorso il sedativo Ritalin, prodotto allo scopo, è stato ricettato 20 milioni di volte con un giro di affari stratosferico. Una celebre ballerina, Elisabetta Armiato, ha ricordato di essere stata una bambina iperattiva che saltava sul tavolo da pranzo. Proprio per questo ha deciso di battersi per il divieto dello screening di massa dell’Ahdh nelle scuole italiane e per il consenso informato prima della somministrazione di Ritalin.
Ma mentre ci si batte per turare una falla se ne aprono altre più gravi. È in discussione in Parlamento una legge, pare approvata da uno dei due rami (e già a livelli regionali), che è frutto di un trasversalismo politico progressista saldato dal comune intento di fare il futuro. Essa codifica l’esistenza di una nuova malattia detta Dsa, Disturbi specifici di apprendimento. Di che si tratta? Il Dsa raggruppa «disturbi» diversissimi tra di loro, che assieme non fanno una sindrome, ma sono riunificati solo perché legati ai processi di apprendimento, anche se ciò accade per altre malattie di diversissima natura: e questo già la dice lunga sulla serietà «scientifica» di chi ha messo in piedi un simile artefatto.
Il Dsa include la dislessia, e fin qui vi è poco da dire, trattandosi di un disturbo noto, anche se si dice che fossero dislessici Newton e Einstein, ovvero i più grandi scienziati della storia. Include poi la «disgrafia», «disturbo di scrittura che si manifesta in difficoltà della realizzazione grafica». Già qui c’è da saltare sulla sedia. In una scuola, in cui non è più considerato necessario insegnare come tenere una penna in mano, coloro che hanno difficoltà nello scrivere o nel disegnare sono una massa imponente. E non è un ritornello quotidiano che le capacità ortografiche dei bambini delle primarie sono disastrosamente modeste? Ebbene, anche la «disortografia», pomposamente detta «difficoltà nei processi linguistici di transcodifica», è un disturbo incluso nel Dsa. Conclude il quartetto la «discalculia», «disturbo che si manifesta con una difficoltà negli automatismi del calcolo e dell’elaborazione dei numeri». Anche qui giova ricordare le carenze matematiche degli studenti sistematicamente attestate dai test internazionali e verificabili quotidianamente da qualsiasi insegnante: la massa dei «malati» di discalculia è un esercito. Per la mia specifica competenza matematica ho approfondito la questione. Leggendo alcuni materiali «specialistici», ho constatato che i criteri di demarcazione della «malattia» sono quanto mai vaghi e mal definiti. Nelle definizioni si fa spesso ricorso a idee dei meccanismi del calcolo mentale completamente fasulle. Senza contare che si trascura il contesto storico-sociale: nel Settecento il matematico Eulero era in grado di fare calcoli mentali di mostruosa difficoltà che, essendo cieco, dettava a un aiutante. Oggi anche il più valente matematico non sarebbe in grado di avvicinarsi da lontano a simili capacità. Esiste un’evoluzione storica delle capacità di calcolo e di memorizzazione che è stata ampiamente studiata e che questi «specialisti» ignorano. Oggi, per molte ragioni anche legate agli sviluppi tecnologici, siamo al livello storico più basso delle capacità di calcolo mentale, aggravato dalla crisi della scuola e da teorie didattico-pedagogiche inappropriate. Tralascio di dire quale sia il livello dei rapporti che ho consultato, scritti in una lingua che potrebbe configurare la patologia di «disgrammaticìa» e «dis-sintassìa». Infine, ho cessato di avere rispetto per queste elucubrazioni quando ho sentito dire da uno di questi «specialisti» che gli studenti in sedia a rotelle sono strutturalmente poco abili nel calcolo mentale perché questo sarebbe legato alle capacità motorie: basti pensare che uno dei più celebri fisici e matematici viventi, Stephen Hawking, è affetto da atrofia muscolare progressiva.
Tuttavia, si sta preparando il più gigantesco processo di trasformazione della scuola italiana in ospedale: la legge riconosce la diagnosi di Dsa effettuata dal Servizio sanitario nazionale, la quale viene comunicata dalla famiglia alla scuola. In altri termini, le famiglie che mirano a trasformare gli insuccessi scolastici dei loro figli in malattia da curare, possono mettere fuori gioco scuola e insegnante mediante psicologi e psichiatri, notoriamente esperti in grafismo, calligrafia, ortografia e matematica. Viceversa, genitori di vedute più rigorose possono vedere il loro figlio sequestrato dal processo dell’istruzione e consegnato all’ambulatorio: difatti la legge prevede che le scuole possano apprestare interventi per individuare casi di Dsa «sospetti» (dàlli all’untore!) e comunicare alla famiglia che il loro figlio è un anormale. Già c’è chi stima tra il 3 e il 5% la prateria su cui pascolerà il grande affare del Dsa.
Per comprenderne fino in fondo le devastanti implicazioni va sottolineato che la legge garantirà «appositi provvedimenti dispensativi e compensativi di flessibilità didattica», una «didattica individualizzata e personalizzata», e la dispensa da «prestazioni non essenziali ai fini della qualità dei concetti da apprendere». I provvedimenti riguardano persino le famiglie, le quali acquisiscono il diritto a orari di lavoro flessibili. Insomma, se tuo figlio passa dalla categoria di insufficiente in matematica a quella di discalculico, ottiene il successo formativo garantito, e tu stai pure a casa. Nel frattempo, avanza inarrestabile la dittatura degli specialisti che, per affermarsi, ha bisogno di una società fatta di malati, di disturbati e disadattati da misurare, monitorare e curare.
Resta soltanto da confidare nei vincoli della crisi e del rigore del ministero dell’Economia per arginare questo autentico delirio.
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