Autore: Maffei, Emanuele Curatore: Mangiarotti, Don Gabriele
Fonte: CulturaCattolica.it
giovedì 1 aprile 2010
E’ impressionante constatare come venga capitalizzato il terribile scandalo della pedofilia scoppiato dentro la Chiesa Cattolica irlandese. Non solo capitalizzato, ma verticalizzato, cioè trasferito ai vertici. D’altro canto nella Lettera ai Cattolici d’Irlanda, pubblicata a stralci in alcune testate e presente per intero sul sito ufficiale della Santa Sede, Benedetto XVI ha trattato il problema con rara sensibilità e attenzione. Riconoscendo le manchevolezze della gerarchia, ha rivolto a tutti e ad ognuno le sue parole, talvolta con “grande preoccupazione” e severo giudizio, talvolta con una comprensione per le vittime che va oltre quella di un Sommo Pontefice alla propria comunità particolare ed universale e rassomiglia piuttosto ad un accorato dialogo di un padre con i propri figli.
Ma c’è chi vuole più della pretesa giustizia, della manifesta sofferenza per un male che – come ha scritto BenedettoXVI – “nulla può cancellare”. A questo punto l’obiettivo pare essere un altro, quello cioè di gettare nel discredito un’intera istituzione. Lo scandalo che in primo luogo offende Dio, assume i colori di una bandiera da brandire dinnanzi allo sguardo del mondo. Come se il sottofondo di tutto fosse necessariamente ipocrisia, come se il deprecabile comportamento di alcuni, forse troppi, fosse la comprovata immoralità della Chiesa, che invece sa educare, accogliere ed amare. Più seriamente – ha detto il Papa – il compito “è quello di affrontare il problema degli abusi verificatosi all’interno della comunità cattolica irlandese e di farlo con coraggio e determinazione”. Non basta, non è abbastanza. Così la BBC, il principale canale di informazione del Regno Unito evidenzia, in un articolo del 20 marzo 2010, che il documento segreto del Vaticano “Crimen sollicitationis” torna al centro del dibattito sugli abusi di minori all’interno della Chiesa. Coretti gli errori contenuti nel famosissimo documentario del 2006 “Sex Crimes and the Vatican” adesso la responsabilità dell’allora prefetto della Congregazione per la dottrina della fede, Joseph Ratzinger, sarebbe stata quella di aver rafforzato le disposizioni di quel documento. Invito a tal proposito a leggere l’articolo di Massimo Introvigne, apparso su Avvenire del 30/07/ 2007, dove viene chiarito, ad una lettura onesta di un testo nient’affatto secretato, che “non è scomunicato chi denuncia gli abusi ma, al contrario, chi non li denuncia”. Detto ciò – ed è bene non passarlo per sottinteso – che i colpevoli vengano puniti secondo giustizia ordinaria.
Eppure passa attraverso l’odio indistinto una febbrina che ogni due per tre riattizza un focolaio mai spento. Un focolaio che avvampa attorno ad alcune questioni molto bene definite e su cui ad esempio si decide il dialogo tra Protestantesimo e Cattolicesimo. Per rimanerne immuni con la stessa limpidezza della condanna ai pedofili forse dovremmo giudicare l’“abuso” non meno evidente che si infligge alla nostre capacità di giudizio allorché i termometri della società registrano (e non importa da che parte arrivi la glaciazione) una disaffezione, un raffreddamento verso la Chiesa Cattolica. L’abuso diventa facilmente conseguenza del celibato. E sia, purché la cleptomania venga scontata quale effetto delle restrizioni che vietano il furto e lo stare civile passi come causa scatenante dei più furibondi attacchi d’ira. C’è l’impressione al contrario, difficile dire se da nord, da ovest, da sud o da est, che nell’aria tirino potenti ventate di condizionamento. Correnti dinnanzi alle quali soprattutto i giovani resistono con maggiore fatica. Punti sensibilissimi come la sessualità, la libera scelta, l’indipendenza ed il coraggio delle proprie scelte sono i più esposti, tutti i colpi vanno sotto la cintura. Sono venti che finiscono per far crollare anche la nostra cultura. Credo che la stampa – e qui mi rifaccio all’editoriale di Don Gabriele Mangiarotti – sia il termometro di cui parlavo poc’anzi. La smentita all’esternazione del Card. Maria Martini, (che tra l’altro sul celibato non si era sbilanciato nemmeno alle incalzanti domande di Georg Sporschill nelle pagine delle “Conversazioni notturne a Gerusalemme – Sul rischio della fede) riguarda la fonte ma non il contenuto che continua a riproporsi. In cerca d’autore, mantiene l’equivoco sul celibato e, peggio, il combinato confronto tra una Chiesa conservatrice e un mondo in movimento. Parte dell’opinione pubblica, al di là delle confessioni, viene aizzata contro il Vaticano e contro un modus vivendi che ha reso solida la vita dei nostri padri. Francamente considero l’ipotesi che la Santa Sede sistematicamente cerchi di insabbiare episodi di abusi come questi accaduti in Irlanda una calunnia delirante. Comprensibile lo sdegno di chi ha vissuto così gravi torti, ciononostante dobbiamo ragionevolmente biasimare i processi sommari. Diversamente, come Shakespeare aveva fatto capire al tragico personaggio di Shylock in uno degli atti finali del “Mercante di Venezia”, a volerne troppa, la giustizia disobbedisce all’ eccesso e si finisce per darsi la zappa sui piedi.