Tramite il blog di Claudio Risé
Nei giorni verso Pasqua, in tempi più attenti all’interiorità, ci si dedicava a meditazioni e riflessioni particolari. La più praticata aveva il suo apice nel venerdì santo, e riguardava il fallimento.
Oggi perdere, fallire, è considerato solo un errore. Siamo una società (e una cultura), acquisitiva, convinta che tutto avvenga attraverso nuove conquiste e mai per perdite, sconfitte.
Eppure la personalità, gli Stati, ed ogni organismo, crescono anche con gli sbagli e i fallimenti.
Il più clamoroso dei quali viene appunto celebrato nel venerdì di Pasqua.
Quel giorno Gesù viene condannato alla morte dei ladri: la croce; è umiliato e ucciso; abbandonato dai discepoli e dallo stesso Padre che era venuto ad annunciare. Non ha né liberato Israele, né è stato riconosciuto dagli ebrei, che anzi l’hanno messo a morte. Ha fallito, e la via crucis, un percorso che è rimasto fino ad oggi al centro delle devozione cristiana, è la celebrazione di quel fallimento. Attraverso il quale anche il figlio di Dio deve passare per poi risorgere, a Pasqua.
Questa vicenda, al centro delle meditazioni del tempo di Quaresima e Pasqua, ha un grande interesse psicologico anche oggi, per spiriti laici e non credenti. È proprio quando ci dimentichiamo, infatti, del passaggio amaro del fallimento, che incorriamo poi nei disastri più difficili da rimediare.
Ogni volta che l’economia ha creduto di poter evitare il ciclo depressivo (il ristagno e la discesa dei guadagni e dei corsi di Borsa), è entrata in crisi solo lentamente rimediabili: e noi siamo in una di quelle. Ogni volta che un impero ha creduto nella propria eternità, è poi franato miseramente, anche in tempi rapidi.
Soprattutto però, come si ripeteva negli esercizi del venerdì di passione, è a livello psicologico che l’insegnamento della sconfitta e della perdita dà i suoi frutti più preziosi.
La formazione della personalità è una sequela di perdite. Il bimbo deve lasciare l’infanzia per diventare adolescente; poi anche l’adolescenza dovrà essere abbandonata per diventare giovani; quindi la giovinezza verrà persa per ottenere la maturità, e così fino alla fine.
Se si pretende di aggirare il dolore della perdita, la nuova condizione psicologica non verrà mai veramente raggiunta, e avremo quell’ibrido di adulto infantilizzato e capriccioso che domina le cronache e la vita quotidiana di oggi. Anche il fallimento degli attaccamenti affettivi, la morte dei genitori, le crisi o i lutti matrimoniali, vengono sempre più spesso diluite o esorcizzate non lasciando più la casa familiare e magari non sposandosi più: ma sono rimedi scadenti, che non mettono davvero al riparo dal dolore e dalla solitudine, ma in compenso impediscono di vivere con pienezza.
Secondo l’immagine cristiana, che ha poi ispirato l’intera epoca moderna, è soltanto accettando di mettersi al centro della croce, in questa dolorosa posizione tra terra e cielo, diventando un sanguinante centro del mondo, che l’uomo può poi risorgere e realizzare sé stesso.
Ogni rinascita, crescita, cambiamento, passa per l’esperienza della croce, del fallimento. Il che dal punto di vista psicologico significa che ogni fallimento, ogni clamorosa perdita, non deve essere accantonata o travestita, ma va invece messa al centro della nostra vita, e contemplata con serietà e attenzione.
Solo così possiamo imparare dai nostri errori, e rinascere. Lezione indispensabile, questa, anche per gli educatori, genitori e insegnanti, oggi impegnati nell’indorare ai ragazzi le pillole dei loro sbagli.
Rimettiamo la croce al suo posto onorato, e ne avremo finalmente meno paura.