Anticipiamo ampi stralci di uno degli articoli contenuti nel numero in uscita della rivista dei gesuiti italiani "La Civiltà Cattolica".
di Giandomenico Mucci Il futuro del cristianesimo è stato oggetto della riflessione di due illustri storici francesi, cattolici, accademici di Francia, che sono stati titolari di cattedre prestigiose e autori di opere note a livello internazionale: Jean Delumeau e René Rémond.
Delumeau è preoccupato per il corso sul quale si è avviata la déchristianisation, ma spera in quella evangelizzazione che saprà coniugare le tre grandi componenti della mentalità moderna: il retaggio religioso, le conquiste scientifico-tecniche e l'aspirazione alla partecipazione realizzabile sul piano politico dalla democrazia pluralista. Quindi, il cristianesimo non sta affatto per morire, a patto però che sappia constatare che oggi, nella storia dell'umanità, esistono due grandi culture di progresso: il cristianesimo stesso e l'illuminismo. Non è per caso che i valori dei diritti dell'uomo, della tolleranza, della democrazia pluralista, portati avanti dalla cultura illuminista, siano germinati o emersi in modo significativo in terra cristiana.
Non va sottovalutata l'importanza della condizione che regola la concezione sostanzialmente ottimista di Delumeau sul futuro del cristianesimo. Questa concezione muove dal giudizio negativo sulla "cristianità di una volta (che) è stata troppo spesso una caricatura del cristianesimo": "quanto essa è stata al potere, tanto ha smentito costantemente il Vangelo". Pertanto occorre sfatare "il mito tenace della cristianità". Allora la speranza mostrerà che il presente è meno buio di quanto spesso si immagina e il futuro è aperto a un cristianesimo configurabile come "un libero raggruppamento di cristianità particolari disseminate in società religiosamente neutrali (o ostili)".
A noi pare che una tale speranza sia copertamente debitrice al mito tenace dell'illuminismo. Come non leggere sotto questo testo dell'autore il progetto non cattolico di un cristianesimo ridotto nei limiti del privato, individuale o comunitario, e svestito del carattere che gli è proprio dell'universalità? Se così avvenisse, il cristianesimo starebbe certamente per morire.
Con Rémond siamo in ben altra, più profonda, sensibilità ecclesiologica. La sua analisi parte dal riconoscimento della ridotta influenza del fattore religioso e dell'autorità della Chiesa, ma dichiara subito la distinzione tra la secolarizzazione della società civile e la déchristianisation. La secolarizzazione non pregiudicava i sentimenti personali e le credenze dei singoli. La déchristianisation invece incide sulle credenze intime e i comportamenti personali e ha fatto sì che, nelle società moderne, ingenti masse di uomini si siano disaffezionate da qualsiasi fede religiosa.
All'ostilità anticlericale di un tempo sono succeduti l'indifferenza e il disinteresse. Rémond fa carico al clero di non aver studiato e valutato nel suo giusto valore il pensiero dell'età moderna. Ciò non toglie tuttavia che, secondo l'illustre storico, il fatto religioso ha continuato a essere l'espressione comune di molte società, comprese quelle nelle quali si è cercato per decenni di estinguerne l'influenza.
Tutto questo "dimostra non soltanto che il fatto religioso non ha detto la sua ultima parola, ma che conserva un'importanza sociale e continua a svolgere un ruolo nel divenire delle società politiche. Ci si potrebbe anche chiedere da certi segni se non sia in procinto di occupare nel campo della coscienza collettiva un posto più ampio: ne è prova il successo dell'informazione religiosa".
Non è tutto. Il Rémond nota che, sì, in Occidente regredisce la pratica religiosa, ma su scala globale le Chiese non hanno perduto nulla della loro influenza. "Il fattore religioso resta una componente maggiore della vita dell'umanità e le Chiese si sono impegnate molto più direttamente da una trentina d'anni, particolarmente la Chiesa cattolica dopo il Vaticano ii, per il riavvicinamento dei popoli e lo sviluppo. Le Giornate mondiali della gioventù sono il più grande assembramento di giovani di ogni razza e nazione".
Il discorso del Rémond si fa più puntuale, più critico, quando inserisce nel quadro generale del fatto religioso di oggi il caso del cristianesimo. La sua attenzione si concentra con preoccupazione, sul fenomeno prodottosi nelle società cristiane occidentali intorno agli anni Sessanta del secolo scorso: la cesura nella trasmissione da una generazione all'altra di tutto un complesso di nozioni, idee e valori. Fino ad allora, il patrimonio culturale religioso entrava a pieno titolo nella cultura generale. Non era contestato, in quanto tale, neppure dagli anticlericali. Letteratura, filosofia, storia concorrevano indirettamente affinché nello spirito del bambino e dell'adolescente avesse uno spazio proprio l'elemento spirituale. La Chiesa poteva appoggiarsi alla scuola per assicurare la trasmissione dei suoi valori. Oggi la Chiesa è sola. Ma il cristianesimo e il cattolicesimo, pur nelle presenti difficoltà, non stanno vivendo la loro fase terminale. Si evolveranno, si metamorfizzeranno, come è accaduto già tante volte lungo i secoli. Quali che saranno le epoche e i contesti, gli uomini continueranno a cercare e aprire nuovi cammini di libertà e di speranza. "Perché non dovrebbero farlo sotto l'impulso e l'ispirazione del cristianesimo?".
Cinquant'anni fa, non erano attuali né l'interrogativo che Delumeau ha posto a capo del suo libro né le analisi e le previsioni di Rémond. La cultura dell'epoca, che pure era anticlericale più di quella che ci è contemporanea, lo sviluppo delle scienze e gli inizi dell'era tecnologica non erano tali da porre ai credenti il problema del futuro del cristianesimo nei termini drammatici nei quali non pochi lo avvertono oggi. Ma l'anima presaga di François Mauriac ricordava ai cristiani che la Chiesa, in ogni epoca della storia, deve, per una misteriosa necessità, ripetere in se stessa la passione del Signore che l'ha costituita, salvata e posta come segno suo tra gli uomini. In questa pagina, parla ed esorta un autentico credente, la sua fede non priva di tentazioni e tuttavia salda nella meditazione di una speranza che non può morire perché guarda alla Chiesa come prolungamento e dispiegamento nel mondo del dolore vittorioso di Cristo. La riproponiamo al nostro lettore.
"Ma che cosa ci riserva il futuro? Quando si tratta della Chiesa, le parole di vittoria e di disfatta non hanno più il loro senso abituale. Mai la sentiamo così inerme come nei suoi trionfi né così potente come nelle sue umiliazioni. Fino alla consumazione dei secoli vi saranno intorno alla croce lo stesso tumulto, lo stesso fermento d'insulti e di scherni, soprattutto la stessa indifferenza di Pilato, lo stesso colpo di lancia nel Cuore di Cristo inferto da una mano qualunque; ma vi saranno anche la stessa supplica del ladrone pentito, le stesse lacrime della Maddalena; e dinanzi al Cristo agonizzante l'atto di fede del centurione pentito e l'amore silenzioso del discepolo prediletto. A ciascuno di noi conoscere la parte che vuole fare in questo dramma eterno. A nessuno è concesso di non prendervi parte. Rifiutare di scegliere vuol dire aver già scelto".
(©L'Osservatore Romano - 3 aprile 2010)