DISCERNERE

Uno sguardo profetico sugli eventi

Il global warming non si porta più, quale sarà il prossimo allarme?

Roma. Un concorso tra i lettori per trovare
la prossima fobia, ora che la minaccia
del riscaldamento globale sembra avere
annoiato l’opinione pubblica. Lo ha lanciato
ieri Bret Stephens dalle pagine del
Wall Street Journal, osservando che “nel
giro di pochi anni i cambiamenti climatici
ecciteranno la gente più o meno quanto
sovrappopolazione, inverni nucleari, buchi
nell’ozono, api assassine, ogm e mucche
pazze fanno oggi”. Il mondo è stato per
alcune decadi in preda al panico ambientale,
scrive il noto editorialista, ora qualcos’altro
prenderà il suo posto. “Il soggetto
delle paure cambia, ma gli ingredienti
di base tendono a restare gli stessi”: un
trend, un’ipotesi, un’invenzione o una scoperta
che disturbano la sensazione di
equilibrio globale del mondo. Spesso l’agente
disturbatore è qualcosa di indefinibile
dai nostri sensi, una sorta di spirito.
Ma un colpevole c’è sempre, meglio se è
un’azienda e di destra. Provocazione a
parte, l’editoriale del quotidiano americano
prende le mosse dall’annotazione che
“global warming is dead”, il riscaldamento
globale è morto. Non perché la temperatura
del globo non si stia più alzando,
ma perché la percezione che la gente ha
della pericolosità dei cambiamenti climatici
è scesa sotto i livelli di guardia, complici
alcune topiche dei climatologi. Oltre
alle più volte raccontate vicende delle email
del Climategate e alla previsione
smentita sullo scioglimento dell’Himalaya,
Stephens ne riporta un’altra: a febbraio alcuni
scienziati di Cambridge avevano concluso
che l’Artico si sta sciogliendo a una
velocità tale per cui entro breve il Polo
Nord sarà quasi del tutto libero dai ghiacci.
La colpa, naturalmente, sarebbe del
global warming. Un mese dopo esce un’altra
ricerca, questa volta giapponese, nella
quale si sostiene che la perdita di spessore
dei ghiacci artici è dovuta soprattutto ai
venti che soffiano in quella zona “e non al
riscaldamento globale”. Si scopre poi che
a marzo l’estensione del ghiaccio artico è
tornata ad aumentare.
Come il Foglio scrive da tempo, i media
e l’opinione pubblica si stanno rendendo
conto dell’incertezza della scienza sull’argomento,
hanno sperimentato sulla loro
pelle che gli “inverni più caldi della media”
previsti dagli esperti non si sono verificati
e hanno cominciato ad abbandonare
il dogmatismo di quella che nel tempo è
diventata una religione in cui “le tasse sulle
emissioni di anidride carbonica hanno
sostituito la vendita delle indulgenze”:
l’ambientalismo catastrofista. Non si leggono
più sui giornali previsioni sulla fine
del mondo imminente, in Francia il libro
di Claude Allègre “L’impostura climatica”
vende milioni di copie ed è al centro di un
dibattito che occupa spesso le prime pagine
dei giornali nazionali; lo Spiegel in Germania
ha da poco pubblicato un lungo e
dettagliato riassunto delle vicende del Climategate
parlando apertamente di “scienziati
che vogliono fare i politici”; in America
il global warming è sceso al sesto posto
nella classifica dei dieci argomenti ambientali
che preoccupano di più la gente;
sul sito del New York Times, dopo mesi, il
“riscaldamento globale” non è più nell’elenco
degli articoli più letti.
Tutto già visto, spiega Stephens: una volta
individuata la nuova paura, ingenti flussi
di denaro cominciano a dirigersi nelle
casse di istituzioni e burocrazie che si ergono
a tutela dei cittadini e che hanno interesse
a tenere alto l’allarme. A questo
punto gli ambientalisti danno la loro versione
di come raggiungere la salvezza,
avanzando richieste da regime para totalitario.
I politici assemblano gruppi di
esperti che studiano la cosa e propongono
riforme e leggi molto costose. Alla fine il
problema scompare, ma pochi si rendono
conto che non c’era nessun problema.
Il clima è argomento perfetto per il “sistema”
descritto da Stephens: la sua imprevedibilità
e il fatto che ci sarà sempre
un evento atmosferico estremo per potere
gridare alla catastrofe hanno tenuto l’allarme
da global warming lontano da critiche
concrete per anni. Scoperta la fallibilità
dei suoi sacerdoti, il panico da cambiamenti
climatici sembra avere giusto il
tempo di salutare il pubblico (pagante)
prima della calata del sipario. Adesso,
punge così il Wall Street Journal, bisogna
indovinare la prossima paura. In palio ci
sono una birra e un hamburger offerti da
Stephens in un locale di New York sulla
47ma strada.

Piero Vietti

© Copyright Il Foglio 8 aprile 2010