di Bruno Mastroianni, Tempi, 29.4.10
Esistono dei momenti in cui la personalità di papa Ratzinger riesce a rompere gli schemi preconcetti che la inseguono fin dalla sua elezione a pontefice e a venir fuori in tutta la sua ricchezza. Uno di questi momenti fu l’estate scorsa, quando Benedetto XVI si ruppe il polso. I cronisti, per un attimo distratti dalle solite tematiche da prima pagina, si misero a raccontare delle sue attenzioni per non disturbare i collaboratori durante la notte, della sua tenerezza nei confronti del personale ospedaliero e il suo modo di reagire all’infortunio: «Forse il Signore voleva insegnarmi più pazienza e più umiltà». Lo stesso è accaduto nella tempesta mediatica degli abusi sui minori: è venuto fuori il vero Joseph Ratzinger. Quello che – anche se ne avrebbe avuto tutto il diritto – non si è dedicato a difendersi, a far la conta dei numeri, a presentare giuste ragioni o a respingere le accuse. Tutto concentrato nell’occuparsi delle vittime, nel rassicurare i fedeli, nell’elevare il problema all’ordine più alto della fedeltà al Vangelo e della santità della Chiesa, il Papa non ha avuto il tempo per pensare a se stesso o a manovre per salvare la “corporate image”. E mentre molti, spaventati dal temporale, hanno creduto che non sarebbe più finito (da qui la solita solfa di abolizioni del celibato, donne prete e fantasie varie di riforma), Benedetto XVI, con il suo modo di fare umano e cristiano, ha invitato tutti a non fermarsi alle nubi, per quanto torve e cariche di pioggia: al di sopra di esse il cielo è sempre rimasto terso e cristallino.