"Il sacerdozio ministeriale negli scritti di Santa Caterina da Siena" è il tema della meditazione che l'arcivescovo ordinario militare per l'Italia ha tenuto oggi, mercoledì 28, ai cappellani militari nella chiesa romana di Santa Caterina a Magnanapoli. Pubblichiamo ampi stralci dell'intervento.
di Vincenzo Pelvi Voce chiara e potente, quella di Caterina da Siena, che per volontà di Dio risuona nella Chiesa e non finisce di stupire. In questo anno dedicato dal Santo Padre alla santificazione dei sacerdoti, che camminando per la via del Verbo, tolgono la morte e rendono la vita al mondo (cfr. Orazioni, XII, 167) sembra veramente provvidenziale riflettere sul sacerdozio ministeriale negli scritti di santa Caterina, pensando soprattutto al capitolo cxix del Dialogo. I sacerdoti necessitavano di una profonda e impegnativa riforma. È un'analisi veritiera, sostenuta da un grande amore per la gerarchia, per riscoprire la dignità del sacerdozio, anche dinanzi alle tentazioni del maligno e a situazioni di peccato.
Ella - nella sua vita come nella dottrina - non ha pensato che al Cristo, alla Chiesa e al Papa, ai sacerdoti, facendo di questo impegno il motivo centrale della sua esistenza.
Offrì, infatti, se stessa per la conversione dei ministri della Chiesa, sperimentando un calvario luminoso, un Getsemani di obbedienza alla verità, un calice di passione di cui inebriarsi. Nel romanzo storico su santa Caterina da Siena, l'autore Louis de Wohl, afferma che la santa, tormentata dal dolore, ogni giorno si trascinava a San Pietro per pregare, magra e sottile come un ostia bianca da trasformare nel corpo del Signore. Soleva inginocchiarsi davanti al mosaico di Giotto raffigurante la barca di Pietro, scossa dalla tempesta, con gli apostoli accovacciati per la paura e Cristo che camminava sulle onde verso di loro.
Caterina pregava per ore, chiedendo al Signore che ancora una volta venisse in aiuto della sua Chiesa. Era il tormento del suo corpo e della sua anima. Quante volte si era offerta per i peccati di tutta la Chiesa, immaginando che quel Cristo sulle acque prendesse la navicella con sopra l'umanità e se la mettesse sulle spalle e che lei si sbriciolasse sotto il peso sino a cadere inerme a terra. Qualcuno aveva da sempre acceso in lei il fuoco dell'amore verso la Chiesa in un periodo in cui gli uomini di Chiesa erano coinvolti e travolti da ribellioni, ipocrisie, scambi politici e calcolo snervante a cui Caterina ricorda la parola del Vangelo: "Cosa vale conquistare il mondo se l'uomo perde se stesso?". Illuminata da Dio, comprese in quali difficoltà si dibatteva il clero e che da quei mali ci si poteva guardare soprattutto con la preghiera, la penitenza, una vita virtuosa e un singolare e continuo disprezzo di sé. Caterina scelse di consumarsi nel dolore per le indegne condizioni della Chiesa e anche se a stento leggeva o scriveva ebbe una lucidità insostituibile nel parlare tanto che religiosi e prelati, maestri di spirito e teologi venivano illuminati dalla sapienza spirituale del suo animo.
Per lei, la Chiesa non è altro che Cristo (cfr. Lettera 171) al quale si consegna come vittima per il clero e per il Pontefice (cfr. Lettera 371). Al dolce Cristo in terra (cfr. Lettera 196), nelle cui mani è custodito il sangue - e per suo tramite in quelle dei sacerdoti - si deve sempre amore e obbedienza; e chi non obbedisce a questo Cristo terrestre, che è una sola cosa col Cristo celeste (cfr. Lettera 207) non partecipa al frutto del sangue del Figlio di Dio. Né Caterina tace su quanto necessita per riformare i costumi della Chiesa, prima di tutto tra i sacri pastori, che con insistenza ammonisce: "Oimè, non più tacere. Gridate con cento migliaia di lingue. Veggo che, per tacere, il mondo è guasto; la Sposa di Cristo è impallidita, gli è tolto il colore, perché gli è succhiato il sangue da dosso, cioè il sangue di Cristo" (Lettera 16). Certo impressiona il tono libero, vigoroso, tagliente con cui vengono ammoniti preti, vescovi e cardinali. I mali che Caterina denuncia con franchezza sono: l'amor proprio dominante, l'insensibilità della coscienza, la lussuria, l'avarizia, la superbia, la cura di interessi materiali, l'usura, e persino l'abuso dei sacramenti per raggiungere scopi malvagi. Perciò, "occorre sradicare dal giardino della Chiesa le piante fradice sostituendole con piante novelle, fresche e olezzanti". Era l'ideale supremo a cui aveva ispirato tutta la vita, spendendosi senza riserva per la Chiesa. Sarà lei stessa a testimoniarlo ai suoi figli spirituali sul letto di morte: "Tenete per fermo, carissimi, che io ho dato la vita per la santa Chiesa" (beato Raimondo da Capua, Vita di Santa Caterina da Siena).
Il "desiderio" è certamente centrale nel Dialogo, nelle Lettere e nelle Orazioni. E se il desiderio orienta la vita delle creature nella verità della propria condizione, quanto più i sacerdoti, che vivono in Dio, sono i "cristi" del Padre (Orazioni xii, 179), colgono la realtà nella luce in cui Egli la vede, "hanno desiderio infinito, cioè sono uniti per affetto d'amore in me" (Dialogo, iii, 25) e devono essere come angeli, generosi, non avari e mai vendere la grazia dello Spirito per ambizione e brama di guadagno (cfr. Dialogo, cxiv, 405). Se il clero è abitato dal fuoco del desiderio di Dio, la presenza nella storia diventa feconda della fecondità stessa di Dio. Nel "Traeste me da te" (Orazioni, i, 69) respira l'identità del sacerdozio ministeriale. Una assimilazione nell'essere che è conformità, perché Dio assimila le creature che non resistono alla sua attrazione, si manifesta nella storia come misericordia, le predilige e le rende feconde della vita nella quale sono vivificate.
Il sacerdote, "un altro te per amore" (Orazioni, xxi, 75), desidera ciò che Dio desidera, condividendo la sua volontà. È il ministrare, servire il disegno di Dio, che vuole che tutti giungano alla conoscenza della verità, manifesta nella Croce di Cristo. Perciò essi devono essere rispettati non per le loro qualità personali ma per la reverenza al Sangue di cui sono ministri, perché il Sangue redentore ha lo stesso valore sia che venga amministrato da un sacerdote santo che da un cattivo ministro. I sacerdoti hanno una dignità che supera quella dei puri spiriti: "Allo stesso modo in cui essi esigono la limpidezza del calice in cui vanno a celebrare il sacrificio, così io esigo in loro purezza dei cuori, dell'anima e della mente. Voglio che il loro corpo, in quanto strumento dell'anima, conservi una perfetta purità" (Dialogo, cxiii, 385).
Non c'è nessuna bellezza sul volto della Chiesa che non sia un riverbero del fulgore del Risorto, "dove i gloriosi ministri, avendo ministrato il sole, ànno presa la condizione del Sole. Tutto è preso e derivato dal lume, cioè il corpo e il sangue de l'unigenito mio Figliolo, sole unito e non diviso. Così nella Chiesa ogni grandezza, ogni santità, ogni sanità è redenta; in conseguenza dell'amore del Signore Gesù che, senza pausa, rinnova l'umanità nel ricordamento del benefizio del Sangue" (Dialogo, cxix, 774).
Santificare gli uomini è opera propria di Dio, ma attraverso i suoi ministri santi. In che cosa consiste la santità sacerdotale se non in ciò per cui la mente applica se stessa e i suoi atti a Dio. Se amiamo veramente Dio, desideriamo conoscerlo di più e più lo conosciamo, più lo amiamo. In questo abbraccio fra volontà e intelletto, fra amore e conoscenza, fra carità e fede consiste la Verità. Caterina incoraggia i ministri del Sangue a essere immersi in questa Verità, perché da "cristi" siano una cosa sola, legati a Cristo, tirati dentro di lui.
Comprendiamo, così, l'attualità dell'ansia santificatrice di Caterina, desiderosa di condividere l'accostamento al Mistero per arricchire di bene il cuore dell'uomo per cui "dire tu" è "intendere Te". E, così, nel Sangue di Cristo crocifisso, Caterina balbetta l'abbraccio di Cristo che stringe a sé la Chiesa e i sacri ministri e li aiuta ad accostare quel pati divina, che fa crescere il senso dell'Eterno.
(©L'Osservatore Romano - 29 aprile 2010)