A cinque anni dalla morte di Giovanni Paolo II, l'anniversario cade nei giorni più sacri del calendario cristiano, quasi a sottolineare non solo l'associazione alla passione di Cristo durante lo straziante declino fisico delle ultime settimane di vita terrena, ma soprattutto la fedeltà a seguire il Signore nel corso di tutta l'esistenza. A ricordarlo è stato Benedetto XVI nell'omelia per la messa in suffragio del Papa polacco - "grande polacco" lo ha definito - scegliendo "per tracciarne un profilo essenziale" due paragoni scritturistici.
Il primo è la fermezza del "servo di Dio" nel libro profetico di Isaia, che Benedetto XVI ha visto riflessa nella proclamazione del diritto da parte di Papa Wojtyla, "soprattutto quando doveva misurarsi con resistenze, ostilità e rifiuti". Il secondo paragone è quello evocato dal Pontefice quando celebrò il venticinquesimo della sua elezione e meditò sulla radicale domanda di Gesù a Pietro: "Mi ami tu? Mi ami più di costoro?". Parole alle quali Giovanni Paolo II confidò di avere risposto come l'apostolo - "Signore, tu sai tutto; tu sai che ti amo" - e dicendosi consapevole tanto della propria fragilità umana quanto delle responsabilità affidategli dallo stesso Cristo.
Eletto sulla sede romana in età relativamente giovane, il Papa slavo si impose presto come uno dei protagonisti dell'ultimo ventennio del Novecento, assumendosi in pieno il compito che aveva intravisto il primate polacco Stefan Wyszynski: quello di "introdurre la Chiesa nel Terzo Millennio". Fu lo stesso Pontefice a ricordarlo nel testamento, un testo scritto a varie riprese - ma sempre durante gli esercizi spirituali di quaresima - che documenta la sua visione mistica della storia e l'itinerario personale, coraggioso e drammatico. In tempi da lui stesso definiti come "indicibilmente difficili e inquieti", tra persecuzioni spietate, l'attentato alla sua vita, il timore del conflitto nucleare e, dopo il crollo del comunismo europeo, "nuovi problemi e difficoltà".
Di Papa Wojtyla moltissime donne e moltissimi uomini, nella Chiesa cattolica e fuori dai suoi confini visibili, serbano un ricordo vivo, dovuto soprattutto alla forza e alla tenacia, conservate sino agli ultimi giorni terreni, con cui seppe rendere presente e visibile il messaggio di Cristo in tutto il mondo, facendosi ovunque - come ha sintetizzato felicemente Benedetto XVI - "compagno di viaggio per l'uomo di oggi". In particolare attraverso i viaggi in un grande numero di Paesi, che per la prima volta furono visitati da un successore di Pietro; sulle orme di Paolo VI, il Papa che dopo il pellegrinaggio in Terra Santa si recò in tutti e cinque i continenti.
Nel testamento Giovanni Paolo II, oltre l'importanza assegnata alla causa della "salvezza degli uomini" e della "salvaguardia della famiglia umana", si dichiara in medio Ecclesiae debitore per il "grande dono" del concilio, convinto della necessità di realizzarlo, necessità che definisce "grandissima causa" servita nel corso del pontificato. In questo la custodia della fede appare una delle caratteristiche principali: "Esprimo - si legge nel testo - la più profonda fiducia che, malgrado tutta la mia debolezza, il Signore mi concederà ogni grazia necessaria per affrontare secondo la Sua volontà qualsiasi compito, prova e sofferenza". E ancora: "Ho anche fiducia che non permetterà mai che, mediante qualche mio atteggiamento: parole, opere o omissioni, possa tradire i miei obblighi in questa santa Sede Petrina".
In questo servizio reso senza risparmiarsi all'unità della Chiesa, Papa Wojtyla volle accanto a sé, già dai primi anni, Joseph Ratzinger, che Paolo VI aveva creato cardinale nel suo ultimo concistoro e che oggi è il loro successore. Nella continuità che contraddistingue - nelle variazioni storiche e nella diversità naturale delle persone - la vocazione e la storia della Chiesa di Roma.g. m. v.
(©L'Osservatore Romano - 2 aprile 2010)