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La procreazione da destino (o natura) a libera scelta |
LA SCIENZA HA ALTERATO L`IDENTITA` DELLA DONNA |
La “rivoluzione della pillola”: l’espressione non è né felice, né precisa, ma indubbiamente coglie nel segno; induce a pensare che è successo qualcosa, un qualcosa di assolutamente rilevante e di assolutamente irreversibile (come sempre avviene, quando le rivoluzioni sono autentiche). La pillola anticoncezionale ha permesso alle donne che lo volessero di separare definitivamente sessualità e riproduzione o, se così si vuol dire, di vivere la loro sessualità esattamente come gli uomini. Una vera rivoluzione insomma, una vera rivoluzione antropologica. Il merito (o la colpa) è da attribuire alla scienza, che dopo aver alterato irrimediabilmente il contesto demografico (con la vittoria sulle grandi malattie infettive ed epidemiche), il contesto delle comunicazioni (con l’invenzione dei mezzi di comunicazione di massa), il contesto geopolitico (con l’invenzione delle armi nucleari), con l’invenzione della pillola altera il contesto personalissimo del rapporto delle donne col proprio corpo, come corpo sessuato e fertile, e di conseguenza il contesto della familiarità e della coniugalità, il contesto al quale la donna partecipa assumendo il ruolo materno (cui allude esplicitamente il termine matri-monio) e contestualmente affidando al marito, chiamato ad assumere attraverso il matrimonio il ruolo di padre, la cura socio-economica della famiglia stessa (e del suo patri-monio). Dopo l’avvento della pillola le dinamiche sociali cambiano, cambiano ineluttabilmente: non nella loro materialità (ci si continua a sposare e a fare figli, sia pure tra tante difficoltà, come nel buon tempo antico!), ma nel principio che le governa. Enfaticamente, potremmo dire che per le donne ciò che loro era affidato dal destino (o dalla natura) cioè la funzione procreativa diviene una scelta. Destino e natura si dissolvono: al loro posto resta la volontà, una volontà assolutamente insindacabile. L’effetto di questa rivoluzione, ci era stato promesso da tanti e tanti nuovi “profeti”, si sarebbe concretizzato in mirabolanti conquiste per l’umanità e per le donne in particolare: emancipazione, nuovi assetti delle relazioni politico-sociali, nuove esperienze di felicità, addirittura più “democrazia”. Che la società umana sia profondamente mutata (che si sia entrati nel “post-moderno”) è evidente, anche perché è sotto gli occhi di tutti. Che ciò che si è realizzato possa essere inquadrato nella cornice del bene dell’umanità è però tutto da dimostrare, a scorno di coloro che sono convinti che la storia marci sempre verso il meglio. Mettiamo da parte i problemi strettamente morali che pone l’uso della pillola e in genere quello di tutti i metodi anticoncezionali “non naturali”: sono problemi pesanti, perché il bene umano si riverbera anche in atti privati o privatissimi, di nessun impatto “pubblico”, come possono appunto essere i rapporti sessuali coniugali o comunque tra adulti consenzienti. Se possiamo metterli da parte è perché se ne è parlato talmente tanto (anche se, ripeto, a ragione), da offuscare in tanti la percezione del rilievo antropologico, oltre che etico, della contraccezione chimica. Facendo passare, come si è appena detto, da destino a libera scelta la funzione procreativa femminile, la scienza, inventando la “pillola” ha alterato l’identità della donna. Ne è prova la serie di passi, che con profonda coerenza, la scienza ha compiuto e che sono successivi a questo: l’artificializzazione della procreazione (pratica ormai consolidata) e l’artificializzazione della gestazione: una pratica ancora sperimentale, ma in fase di avanzatissima realizzazione e che toglierà alla donna ogni identità propriamente materna, a parte quella della produzione ovocitaria (peraltro anch’essa in via di surrogazione, se avranno successo i tentativi di produrre in laboratorio i gameti a partire non dalle ovaie, ma da cellule adulte). Il passo successivo e conclusivo, dopo questi cui ho accennato, è già stato individuato da tempo: la scomparsa del dimorfismo sessuale, la completa artificializzazione del biologico, la creazione di ibridi uomo/macchina, i cyborg, Nuove forme di esperienza: esaltanti, per chi continui a pensare che la storia marci sempre verso il meglio. Gli scenari cui sto alludendo hanno tutti una conclusione obbligata: l’identità femminile sta correndo un pericolo mortale, di cui pochi si stanno avvedendo; e, di conseguenza, sta correndo un pericolo mortale anche la stessa identità maschile, in quanto ogni maschio è un nato di donna. In quanto antropologica, la questione, si badi bene, non è principalmente né morale (e meno che mai moralistica), né religioso-confessionale. E’ in gioco il nostro io. Profonde delusioni attendono chi si illude che la nostra identità sia assolutamente e insindacabilmente plasmabile e dimentica il profondo e laicissimo ammonimento di Freud, quando ci ricordava che noi “non siamo padroni in casa nostra”. Il centro del nostro io non è dentro di noi, ma fuori di noi (è in Dio, sostiene la tradizione cristiana, è nella nostra natura, sostengono antichissime tradizioni sapienziali): ignorarlo o negarlo non rafforza la nostra identità, ma la indebolisce e la rende esangue (e la prova sta sotto i nostri occhi, nel carattere esangue che ha assunto nel mondo postmoderno la nostra sessualità: una sessualità sempre più narrata e rappresentata, artificialmente sforzata, vergognosamente e rozzamente esibita, comprata e venduta, e sempre meno personalmente vissuta). Siamo divenuti capaci di manipolare tecnomorficamente noi stessi: non siamo capaci, oggi più di quanto non lo fossimo ieri, di dare a queste manipolazioni un univoco significato umano. Francesco D`Agostino |
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