DISCERNERE

Uno sguardo profetico sugli eventi

Leggerai con dolore. Bibliografia scientifica a uso di Isabella Bossi Fedrigotti su rischi e sofferenze della Ru486


Per comprendere cosa significhi
veramente la parola
“disinformazione”, occorre analizzare
l’attuale polemica riguardo alla Ru486.
Mi limito al Corriere della Sera. E’ qui
che periodicamente compaiono articoli
sull’aborto della mia compaesana
Isabella Bossi Fedrigotti. Nell’ultimo di
questi, di venerdì scorso, l’autrice illustra
queste sue “verità”: chi si oppone alla
Ru486 e all’aborto, compirebbe una
“guerra squisitamente politica”. In
secondo luogo questa guerra sarebbe
violenta e si nutrirebbe di “dichiarazioni
via via più intimidatorie”. Infine, e
soprattutto, l’avversione alla Ru486
nascerebbe dal fatto che essa interrompe
“una gravidanza in modo troppo soft, non
abbastanza traumatico e doloroso”. Ora, a
parte che la pillola non interrompe nulla,
bensì uccide un embrione già bello e
formato, non si capisce di chi parli la
Bossi Fedrigotti quando riporta certe
affermazioni. Temo che nella foga si sia
fidata solo dell’intuito: poiché è solo una
pillola, di modeste dimensioni, non sarà
affatto dolorosa… Eppure le cose non
stanno propriamente così. E se l’autrice,
soprattutto, leggesse la letteratura
scientifica, cui non fa mai alcun cenno,
scoprirebbe che il “pesticida umano”, la
Ru486, provoca una mortalità nelle donne
10 volte maggiore dell’aborto chirurgico,
a parità di età gestazionale, (Greene, New
England Journal of Medicine, 2005).
Apprenderebbe inoltre, dalla
recentissima ricerca condotta su tutte le
donne che hanno abortito in Finlandia
nel periodo 2000-2006 (22.368 aborti con la
RU 486 contro 20.251 aborti chirurgici)
che il tasso di complicanze con l’aborto
chimico è del 20 per cento contro il 5,6
per cento dell’aborto chirurgico
(Niinimäki, Obstetrics and Gynecology,
2009). La Bossi Fedrigotti potrebbe
consultare anche i risultati dello studio
inglese che ha dimostrato come il dolore
associato all’aborto chimico sia
mediamente il doppio di quello
chirurgico (Robson, Health Technology
Assessment, 2009) e magari potrebbe
anche domandarsi il perché molte donne
che abortiscono con la pillola scelgano
quel metodo pensando che sia meno
doloroso e dopo la procedura riferiscano
di avere provato dolore con una
frequenza tripla rispetto alle altre donne
(By Nguyen Thi Nhu Ngoc, International
Family Planning Perspectives, 1999). Ma,
senza andare lontano, basterebbe che la
Bossi Fedrigotti navigasse sul sito dei
quaderni radicali per rileggersi quello
che diceva il primo sperimentatore della
RU 486 in Italia, il professor Piergiorgio
Crosignani: “Con la pillola la donna
abortisce in tre giorni e questo e'
penosissimo, tanto che io dico che con la
pillola c’è invasività psicologica”; oppure
che rileggesse il giornale su cui scrive.
Benché nascosta sotto un titolo molto
abortista e depistante (“Quel farmaco è
sicuro. Nel mirino c’è la 194”) l’intervista
a Sergio Pecorelli, presidente dell’Aifa,
comparsa sul Corriere del 9/9/2009,
riporta infatti queste dichiarazioni
dell’illustre medico: “Da ginecologo dico
che quello farmacologico (l’aborto, ndr)
può comportare un percorso più tortuoso,
psicologicamente difficile da
sopportare”, ovviamente per le donne.
Allora, una volta appurato che l’aborto
soft e indolore con la pillola è una
sciocchezza, e l’accusa di un desiderio di
fare soffrire le donne è una scemenza,
rimangono i fatti. L’aborto chimico è uno
strumento che consente ai medici
abortisti di trasferire parte del carico di
lavoro e del possibile stress al personale
infermieristico (Jones, 2002; Lipp, 2009), e
che amplia l’accesso all’aborto (Oms,
2007), portandolo dove esso è legalmente
limitato, e privatizzandolo dove invece è
legale. A pensare male si potrebbe dire
che questo è quello che veramente
interessa. Con la Ru486 i radicali hanno
un fenomenale strumento per abbattere i
pur esilissimi limiti all’aborto previsti
dalla legge 194 e realizzare così quello
che non riuscirono a fare col loro
referendum del 1981. Il cerchio si chiude:
dall’aborto con la pompa in villetta, a
quello in ospedale, per giungere a quello
in ambulatorio e da qui spingersi al kit da
portarsi a casa, completo di compresse,
istruzioni e numero del call center per
chiedere aiuto in caso di emorragia.
Sempre che si arrivi in tempo…

Francesco Agnoli

© Copyright Il Foglio 15 aprile 2010