DISCERNERE

Uno sguardo profetico sugli eventi

Le due facce di un papabile. Conservatore, riformatore: Schönborn, il vescovo che maltratta la curia

Conservatore, riformatore: Schönborn, il vescovo che maltratta la curia

E’ il cardinale arcivescovo di Vienna Christoph Schönborn che si è distinto per le iniziative prese per arginare la grande crisi nata dalla campagna sulla pedofilia del clero. L’ha fatto chiedendo scusa per le colpe dei sacerdoti davanti a tutti. Facendo parlare nella cattedrale di Vienna le vittime. E nominando una donna, l’ex governatore della Stiria, Waltraud Klasnic, alla testa di una commissione indipendente sugli abusi sessuali dei preti nel paese. Chi lo conosce bene dice che è tutto merito di quanto gli ha insegnato il suo maestro, Franz König, arcivescovo di Vienna dal 1956 al 1985, dunque prima di Hans Hermann Groër, il discusso predecessore di Schönborn. Fu König a ordinare nel 1970 Schönborn.

Fu König, primate d’Austria e uno dei pilastri del Vaticano II
, a trasmettere a Schönborn una sua inconfondibile caratteristica: il saper andare sempre oltre lo scontato, l’ovvio, a volte il consentito. Idealizzava l’impegno sociale e, insieme, il coraggio di esprimersi apertamente su temi controversi. Come König così anche Schönborn. Il quale non a caso ha scelto come motto episcopale quel versetto di Giovanni che dice: “Vos autem dixi amicos”, ma io vi ho chiamati amici. Parole che, se lette in profondità, dicono tanto di lui: “Un uomo di mondo che sa conciliare il rispetto del dogma con la comprensione di chi devia”, scrisse di lui sul Corriere della Sera il 9 aprile del 2005 Paolo Valentino, indicandolo tra i papabili nella corsa alla successione di Woityla.

Schönborn ama stare nel mondo, tra la gente, cercando sempre la giusta calibratura, il giusto equilibrio, tra ciò che il dogma, la dottrina della chiesa, dice ed esige, e l’uomo in quanto essere finito, limitato, peccatore: “Non è facile per la chiesa trovare la giusta via tra la protezione del matrimonio e della famiglia da un lato, e la compassione per le debolezze umane dall’altro”, disse Schönborn durante l’omelia per i funerali dell’ex presidente austriaco Thomas Klestil mentre ad ascoltarlo c’erano la vedova e la moglie divorziata di quest’ultimo. Parole che suggeriscono come sia qui, in questo difficile esercizio tra pesi diversi, che Schönborn mostra chi è. E, insieme, offre il fianco alle critiche, a chi non lo capisce, a chi (a volte a ragione altre volte meno) ritiene che le sue aperture siano un tradimento della dottrina, del dogma, della tradizione, e un ammiccamento eccessivo alla mentalità dominante, ai media, alle esigenze del mondo laico. Critiche a tratti aspre, “perché da uno che è stato allievo di Joseph Ratzinger (a Ratisbona, nel 1972-1973) e di questo se ne fa un vanto, c’è chi si aspetterebbe un altro comportamento” dice un ritornello in voga nella curia romana.
Schönborn ha estimatori ma anche critici in Vaticano.

Del resto, è stato lui a descrivere la curia romana
come spaccata in due. Da una parte coloro che dai tempi di Karol Wojtyla fino a oggi hanno lavorato per insabbiare i casi di abusi su minori commessi da preti. Dall’altra quelli che si sono dati da fare per la totale trasparenza. Schönborn ha sostenuto la sua tesi due giorni fa sulla Stampa e quindici giorni fa sulla tv austriaca Orf: “Ratzinger, da prefetto della Congregazione per la dottrina della fede, nel 1995, avrebbe voluto una commissione d’inchiesta incaricata di fare chiarezza sulle accuse di pedofilia rivolte all’arcivescovo Groër ma fu fermato dall’ala della curia romana favorevole all’insabbiamento”.

Difficile fare nomi e cognomi delle persone a cui Schönborn
si riferisce. Difficile dire quale sia “quella parte” che all’interno della curia “ha vinto”, come ha detto il cardinale ancora su Orf-tv. Si può scandagliare l’organigramma della curia romana quando nel settembre del 1995 Schönborn venne chiamato a sostituire Groër senza che le accuse di pedofilia a carico di quest’ultimo, mai accertate in modo indiscutibile, venissero pubblicizzate. Ma azzardare chi siano gli insabbiatori rimane difficile. Dice un monsignore di curia: “Pontefice era Giovanni Paolo II che per primo chiese di far test psicologici sui candidati al sacerdozio. Suo segretario era Stanislaw Dziwisz che se è vero che aveva un rapporto di amicizia coi vertici dei Legionari di Cristo, il cui fondatore abusò di minori, rimaneva pur sempre un segretario e quindi, al di là delle dietrologie, il suo potere era limitato. Segretario di stato era Angelo Sodano: in questi giorni è stato scritto che sapeva tutto di Marcial Maciel Degollado (ancora i Legionari) e ha fatto poco. Ma cosa significa? Anche Paolo VI sapeva tutto di Degollado. Ha insabbiato pure lui? Altri cardinali di punta della curia erano Bernardin Gantin, Achille Silvestrini, Jozef Tomko, José Tomás Sánchez… tutti uniti contro il prefetto della Dottrina della fede Joseph Ratzinger? Non credo. Secondo me occorre valutare le parole di Schönborn in altro modo. Alle pressioni di una chiesa austriaca, dai vescovi ai fedeli, appiattita su una posizione giustizialista nei confronti dei preti pedofili, una posizione che piace tanto anche ai media e che usa della pedofilia nel clero per avanzare innovazioni che nulla c’entrano con la chiesa e le sue tradizioni (quanto pesa il parere di un movimento come ‘Noi siamo chiesa’ in Austria?), Schönborn ha deciso di reagire incolpando Roma. E’ una sua scelta. Una sorta di exit strategy. E questo è tutto”.

Tutto o quasi tutto. Perché se non è possibile dire a chi Schönborn si riferisca quando parla di una parte della curia che si oppose e si oppone a Ratzinger, resta il dato che fu lui che un anno fa, a Castel Gandolfo assieme ad altri tre cardinali, andò a discutere col Papa del futuro e, insieme, del governo della chiesa e delle capacità governative del segretario di stato vaticano Tarcisio Bertone. Tra gli estimatori di Schönborn c’è senz’altro lo storico progressista del Concilio Vaticano II Alberto Melloni: “Quello di Schönborn è oggettivamente un momento di grazia”, dice. Cioè? “Decidere di chiedere scusa, di chiedere a tutta la chiesa di fare penitenza, non è cosa di poco conto. Non so a chi Schönborn si riferisca quando parla degli insabbiatori nella curia di Roma, ma noto che in queste settimane si sta muovendo benissimo. Del resto già dai primordi, dai suoi inizi, prometteva bene. Lo ricordo giovane studente dell’ordine dei frati predicatori (domenicani). Era una promessa in scia a Jean-Marie Tillard, l’ecumenista domenicano tra i più importanti del post Concilio. Conservatore come può esserlo il discendente di un’antichissima famiglia nobile cattolica dell’Europa centrale, è un teologo che guarda sempre avanti. La statura è alta, come quella di Ratzinger, dieci gradini sopra un Hans Küng qualsiasi. Ma la sua eredità resta quella di König”.

Da König a Schönborn, dunque. Senza però dimenticare chi c’è stato in mezzo, ovvero Groër. Guido Horst dirige in Germania Vatican Magazine. Racconta: “Quando si avvicinava il tempo della sostituzione di Groër, Schönborn era vescovo ausiliare a Vienna. L’altro ausiliare era monsignor Kurt Krenn. Il candidato preferito da Wojtyla era Krenn. I due, infatti, erano amici fin dai tempi in cui Wojtyla stava a Cracovia. Ma Schönborn iniziò a distinguersi, anche sui media, per attacchi importanti a Groër e ai suoi problemi con la pedofilia. Aprì in diocesi un’inchiesta sul suo vescovo e, anche grazie a questa operazione, riuscì a prevalere su Krenn. Divenne lui la star in Austria. Nel paese divenne in poco tempo il punto di riferimento di una parte considerevole di fedeli. E la nomina arrivò di conseguenza. Da quel momento è divenuto il capo indiscusso dell’episcopato del paese e, nel bene o nel male, ha deciso le sorti di tutta la chiesa fino a oggi”.
I media amano Schönborn. E lui ama loro e, spesso, ne fa buon uso. Nel 2004 uscì un suo articolo sul New York Times nel quale, a sorpresa, scagliò una dura critica all’evoluzionismo darwiniano aprendo anche alla teoria del “disegno intelligente”. “L’evoluzione nel senso di una ascendenza comune può essere vera, ma l’evoluzione nel senso neodarwiniano, come processo non pianificato, non guidato, di variazione a caso e selezione naturale, non lo è”, scrisse ricevendo apprezzamenti e critiche equamente distribuiti anche nella chiesa. Lo scorso primo gennaio si è recato in visita a Medjugorje, una televisione al proprio seguito. Da qui ha lanciato un messaggio a tutta la chiesa: “Bisogna chiudere gli occhi per dubitare che a Medjugorje scorrano fiumi di grazia”. L’uscita ha provocato diversi malumori in Vaticano dove proprio in quelle settimane si stava approntando una commissione d’inchiesta sulle apparizioni guidata dal cardinale Camillo Ruini. “Schönborn sapeva che era ardito andare a Medjugorje con una troupe televisiva” dice ancora Guido Horst. “Ma ci è andato lo stesso perché lui è fatto così. Va oltre il consuetudinario sentendosi di poterlo fare. Del resto, non solo può dire di essere stato allievo di Ratzinger, ma anche di aver scritto con lui la nuova edizione del catechismo. Mica poco”.

Un altro gesto molto apprezzato dai media è stata la revoca della nomina di Gerhard Maria Wagner quale vescovo ausiliare di Linz avvenuta nel febbraio di un anno fa. La nomina era di seconda fascia ma scatenò in tutto il paese una ridda di proteste incontrollabili. Wagner era ritenuto un “ultraconservatore” per delle dichiarazioni non felici fatte precedentemente: da Harry Potter, giudicato “satanico”, alle catastrofi naturali di New Orleans, dallo tsunami scatenato dall’“inquinamento spirituale” fino alle opinioni sull’omosessualità “malattia curabile”. La nomina era stata voluta principalmente dal nunzio vaticano nel paese, Peter Stephan Zurbriggen, e dal suo predecessore, l’arcivescovo libanese Edmond Farhat. La “base” progressista incarnata da movimenti come “Noi siamo chiesa” o “Iniziativa parrocchiale” chiese le dimissioni di Wagner alle quali il Papa, su suggerimento di Schönborn, si piegò. Vi fu chi lesse questo adeguamento di Schönborn come la volontà, già altre volte manifestata, di non ledere le richieste della parte più progressista della chiesa d’Austria. Di non andare al muro contro muro con la stampa, i media, l’intellighenzia laica del paese. E così sono state spesso lette altre sue parole, ad esempio quelle riguardanti l’abolizione dell’obbligo del celibato per i preti o una certa insistenza circa la partecipazione delle donne alla liturgia. Ma va anche detto che sono in molti a giustificarlo: le pressioni in Austria sono tante, terribili a volte, e probabilmente c’è una sorta di forzatura ambientale dietro alcune dichiarazioni di Schönborn.

Umberto Mazzone è professore di Storia della chiesa e dei movimenti religiosi all’Università di Bologna. In passato ha conosciuto da vicino Schönborn grazie a un periodo trascorso alla Kathpress, l’agenzia di stampa della diocesi viennese. “Schönborn mi sembra una figura sui generis”, dice. “E’ sempre alla ricerca di una via genuina di rinnovamento della chiesa. Una via che significa tornare a diffondere il Vangelo, una via missionaria. Ha iniziato con lo studio dei padri ai tempi in cui era a Parigi. Mi ricorda Girolamo Seritondo, un agostiniano che morì a Trento prima che il Concilio finisse. Era un grande riformatore anche se non vide la riforma prendere corpo. Anche Schönborn lancia idee interessanti e coraggiose ma chissà se le vedrà mai realizzate. Recentemente, ad esempio, si è reso protagonista di un’iniziativa dirompente che però in pochi hanno notato. Nel giorno in cui ha fatto una sorta di mea culpa per i casi di pedofilia nel clero, ha usato volutamente lo stesso termine che usò il teologo luterano Dietrich Bonhoeffer quando nel 1944 chiese scusa per il silenzio della chiesa protestante durante il nazismo”.

Chissà, forse è anche a motivo di questo suo essere sempre sul limite, posizionato tra il dogma e ciò che c’è oltre il dogma, che anni fa quando Wojtyla ancora era Papa, Schönborn venne indicato dal cardinale Angelo Scola come “l’uomo del futuro”. Durante il concistoro del 2003 Scola guardò Schönborn e disse: “E’ lui l’uomo del futuro. E lo dico in ogni senso”. E in effetti, prima e durante l’ultimo Conclave, Schönborn, nonostante la giovane età, era un papabile (nel 2003 aveva 58 anni). Schönborn ha una vasta cultura. Studioso appassionato di filosofia e psicologia, oltre al suo tedesco, parla molte lingue, fra cui l’italiano, l’inglese e il francese. Quando predica è elegante e immaginifico. Viaggia tantissimo. Ama il rigore monacale tanto che quando risiede a Roma, nella canonica adiacente la basilica dei Santi Quattro coronati, dorme sul legno.

Le sue origini sono nobili, quelle di una famiglia aristocratica boema che nel corso dei secoli ha dato alla chiesa cattolica diciannove fra preti, monsignori e arcivescovi. König non influì su di lui soltanto per la spinta a non avere paura dei temi controversi, delle tematiche teologiche anche scottanti, ma anche per i continui richiami circa la necessità di lanciare ponti verso tutti. König li lanciò verso l’est comunista negli anni 60. E in Austria, dove la guerra civile del ’34 aveva creato un fronte irriconciliabile tra cattolici e socialisti. Ma soprattutto li lanciò verso ogni frontiera dell’uomo, anche le più controverse per la chiesa. Schönborn ebbe Ratzinger come professore per un anno, nel 1972-1973. Prima era stato a Parigi. Nel 1975 ottenne la cattedra di Dogmatica cattolica all’Università di Friburgo in Svizzera. E di lì la carriera ecclesiastica procedette senza intoppi. L’amicizia con Ratzinger gli valse, per anni, l’etichetta di teologo conservatore, nemico di ogni apertura. Non è mai stato così. E, probabilmente, così non sarà in futuro, sebbene la sua robustezza teologica sia considerata di gran lunga superiore a quella pastorale.

di Paolo Rodari



© Copyright Il Foglio 15 aprile 2010