DISCERNERE

Uno sguardo profetico sugli eventi

Lumi Si spegne il mito. di Edgar Morin

Dopo l’esplosione del Rinascimento, il secolo dei Lumi è un momento capitale nella storia del pensiero europeo. La grande dialogica che si apre dopo il Rinascimento, vale a dire la relazione antagonista e complementare tra la fede e il dubbio, la ragione e la religione, trova il proprio centro in Pascal, uomo di ragione e di religione, uomo di fede e di dubbio. Questa grande dialogica è contraddistinta, nel secolo dei Lumi, da una preponderanza (probabilmente una egemonia) della ragione. È certo che il Rinascimento, che ha stimolato la resurrezione di una filosofia non più ancella della religione, ha ristabilito e ritrovato il tema dell’autonomia della ragione derivata dai Greci, e ha permesso lo slancio della scienza su basi empirico­razionali con Galileo, Descartes e Bacone.
Questo slancio della scienza permette di conoscere, ma separando gli oggetti di conoscenza gli uni dagli altri e separandoli dal soggetto conoscente, insomma dissolvendone la complessità. Questa ragione, che si manifesta già nelle scienze, diventerà sovrana nel corso del XVIII secolo francese. In quel momento si svilupperà la ragione in quanto ragione costruttiva delle teorie e ragione critica; la ragione critica metterà in discussione i miti, le religioni, in un modo che definirei miope, poiché essa non percepisce il contenuto umano dei miti e della religione. Questa ragione, in qualche modo, costruisce le sue teorie – in particolare teorie scientifiche – e costruisce l’idea di un universo completamente accessibile alla ragione e l’idea di una umanità guidata dalla Ragione. Questa Ragione
Sovrana assume il carattere provvidenzialistico di un mito pseudo-religioso. In questa prospettiva, la scienza è produttrice dell’autentica conoscenza, vale a dire della verità. È un’epoca in cui le scienze fisiche, chimiche, biologiche spiccano il volo. S’impone allora questa idea che l’universo sarebbe completamente intelligibile (è questa intelligibilità che esprime il demone di Laplace. Egli immagina che un demone dotato di facoltà mentali superiori sarebbe capace di conoscere non solo tutti gli eventi del passato, ma anche tutti gli eventi del futuro). La Ragione guida l’umanità verso il progresso e il Progresso diventa così la legge ineluttabile della storia.
Questa idea di legge ineluttabile è formulata da Condorcet. Il futuro diventerà radioso e l’umanesimo stesso si schiuderà sotto due aspetti. Il primo aspetto è – essendo stato soppiantato Dio – considerare l’uomo come il soggetto dell’universo che deve, a tale titolo, finalmente dominare (è proprio la missione del dominio della natura che Descartes, Buffon, Marx assegnano alla scienza). Ma il secondo aspetto dell’umanesimo è l’uguale dignità di tutti gli esseri umani. Chiunque siano, essi meritano tutti il medesimo rispetto; questa teoria porta in sé non solo la libertà ma anche l’emancipazione. E il 1789, con l’espressione dei diritti dell’Uomo, il momento nascente della Rivoluzione Francese carica di promesse, può essere effettivamente definito, così come diceva Hegel, «una splendida aurora». Già con Rousseau, il tema dell’affettività (della sensibilità) diventa un tema che si oppone alla ragione e indica che essa, da sola, ha un carattere astratto e quasi disumano. Rousseau mostra a suo modo il carattere astratto della frattura tra l’umano e il naturale, attribuendo alla natura una importanza quasi materna, originaria. Voltaire, in modo sarcastico, diceva di Rousseau: «Vuole farci camminare a quattro zampe». In Rousseau c’è anche il tema secondo cui la civiltà comporta un degrado umano. Egli formula il mito dell’uomo naturale, che non suppone che esistesse una umanità idillica all’origine in una sorta di giardino dell’Eden, ma che esistono potenzialità umane che sono inibite nelle civiltà, represse nelle nostre società. Di qui un interrogativo sul progresso.
Il progresso non è concepito come una sorta di raggiungimento permanente del meglio. La domanda diventa: che cosa si perde quando si raggiunge un progresso, un progresso tecnico, un progresso materiale, un progresso urbanistico? Problema di fatto estremamente attuale nella nostra crisi di civiltà. La Rivoluzione Francese si è fondata contemporaneamente sul trionfo e sulla crisi dei Lumi. Il trionfo, con il messaggio di emancipazione del 1789. La crisi, con quel terrore, quel culto della ragione (penso a Alejo Carpentier, nel suo splendido romanzo
Il secolo dei lumi , in cui ci dice che i Lumi arrivano ai Caraibi con la ghigliottina).

Q
uanto al Romanticismo, è in qualche modo l’esplosione di quello che è stato soffocato dai Lumi. Lo spirito di comunità, il rapporto mistico con la natura, la virtù del religioso, sono cose che effettivamente ricompaiono, con una sorta di riabilitazione del Medioevo. È anche, per alcuni versi, un sentimento profondo della natura che implica la bellezza del notturno (Edward Young aveva già scritto
Le Notti , nella metà del XVIII secolo). E poi c’è la promozione della passione in rapporto alla ragione. Ma il tardo Romanticismo, o piuttosto il Romanticismo dei Romantici diventati vecchi come Hugo o Lamartine, o il Romanticismo dei giovani della seconda metà del XIX secolo, come Rimbaud, integra in sé il messaggio dei Lumi e si vota al progresso umano che costituisce l’emancipazione degli oppressi. Il socialismo, e soprattutto il pensiero di Marx, ridarà vita all’idea di progresso. Il progresso stesso che non si effettua attraverso una sorta di evoluzione lineare, ma attraverso un conflitto, la lotta di classe. Questa permetterà alla classe sfruttata e maggioritaria, il proletariato, non soltanto di affrancarsi ma di creare la società senza classi e, parallelamente, lo sviluppo delle forze produttive permetterà lo sviluppo della tecnica e l’abbondanza. La rivoluzione socialista universale è in qualche modo il mezzo, la tappa, con cui si realizzerà tale progresso. Come il mito e la religione hanno contaminato l’idea di Ragione alla fine del XVIII secolo, così si può dire che il religioso si è infiltrato in profondità nella promessa marxista, poiché in qualche modo il mondo nuovo si realizza su un vero e proprio messianesimo; dove il messia è il proletariato industriale, l’apocalisse la Rivoluzione, la promessa il trionfo della società senza classi.
Possiamo vedere anche, in seguito alla
Rivoluzione francese, che la laicità repubblicana (senza entrare nella tematica rivoluzionaria) della fine del XIX secolo e dell’inizio del XX secolo riprende l’eredità dei Lumi. Gli istitutori in particolare sono i portatori di questo messaggio a fronte dei curati dei villaggi. Tale messaggio di laicità è il seguente: il progresso è portato dallo sviluppo della ragione, della scienza, dell’educazione.
Era evidente che la ragione non poteva che progredire, che la scienza e l’educazione non potevano che apportare benefici… Tutte queste prove, o piuttosto queste soluzioni, costituiscono oggi un problema. Sono terribilmente oscurate, poiché vediamo che ognuno di questi elementi che si supponeva fossero del tutto benefici rivelano oggi alcune ambivalenze, un misto di bene e di male. La scienza ha concepito anche l’arma nucleare, Hiroshima e Nagasaki. Ha creato la capacità di produrre la morte di massa dell’umanità.
Nell’ambito biologico, è capace di produrre manipolazioni genetiche che possono servire ai fini migliori come a quelli peggiori. La tecnica stessa può essere usata a fini buoni e a fini cattivi. Le forze scientifiche/tecniche/economiche incontrollate dagli esseri umani portano ugualmente verso forme di degrado irreversibile, a cominciare dal degrado della biosfera che avrà conseguenze estremamente nefaste per la sopravvivenza dell’umanità. Diciamo che il quadrimotore costituito da scienza, tecnica, economia, profitto, e che era ritenuto in grado di produrre il progresso, è oggi il propulsore della navicella spaziale Terra senza pilota che porta con sé una duplice minaccia di morte: morte della
biosfera e morte nucleare. Si tratta dunque di un ribaltamento fenomenale. La scienza è certamente illuminante ma, al tempo stesso, accecante, nella misura in cui non riesce ancora a fare la sua rivoluzione, che consiste nel superare il riduzionismo e la frammentazione del reale che impongono le discipline settoriali. È incapace di restituire visioni d’insieme. Ma si può sperare effettivamente che una scienza nuova possa svilupparsi, rigenerarsi. Analogamente, si può pensare che la tecnica che ha prodotto macchine che obbediscono a una logica puramente meccanica – logica del resto che i tecnocrati e gli economisti hanno applicato all’insieme delle società – produca macchine migliori, più sensibili alle complessità, e che l’economia non sia condannata alla legge concorrenziale del neoliberismo e porti altre possibilità come il commercio equo, l’economia solidale o, semplicemente, l’economia cittadina. Ad ogni modo, il progresso come certezza è morto. Si può persino dire che siamo davanti a una grande incertezza. C’è una possibilità di progresso, ma il progresso ha sempre bisogno di essere rigenerato. Nessun progresso può avere la sicurezza di durare.
Così, per esempio, la tortura era scomparsa dai Paesi d’Europa nel XIX secolo ed è riapparsa in tutti i Paesi d’Europa nel XX secolo. E soprattutto vediamo oggi l’alleanza di due barbarie: l’antica barbarie della guerra che, con le guerre di religione, guerre di etnie, guerre di nazione, guerre civili, ritorna in forza con tutto ciò che essa implica in termini di odio, di disprezzo, di distruzione e di morte… E la barbarie tecnica, la barbarie astratta del
calcolo che ignora l’umano dell’essere umano, vale a dire la sua vita, i suoi sentimenti, i suoi slanci, le sue sofferenze. Tutto ciò ci porta all’idea che bisogna superare i Lumi. Dobbiamo cercare al di là dei Lumi. Quando dico «superare», intendo nel senso hegeliano di aufheben , che vuol dire integrare ciò che è superato, integrare ciò che c’è di valido nei Lumi ma con qualcosa d’altro. Che cosa è questo al di là dei Lumi? Significa innanzitutto che bisogna riesaminare la ragione, bisogna superare la razionalità astratta, il primato del calcolo e il primato della logica astratta. Occorre liberarsi della ragione provincializzata. Occorre prendere coscienza dei mali della ragione. Occorre superare la ragione strumentale di cui parla Adorno, che è al servizio delle peggiori imprese di morte. Occorre anche superare l’idea di ragione pura, perché non esiste ragione pura, non esiste razionalità senza affettività. Occorre una dialogica tra razionalità e affettività, una ragione mitigata dall’affettività, una razionalità aperta. Occorre dare forza a questa corrente minoritaria nel mondo occidentale o europeo, quella della razionalità autocritica che, da Montaigne a Lévi-Strauss, riconosce i propri limiti e implica l’autocritica dell’Occidente. In altri termini, abbiamo bisogno di una razionalità complessa che affronti le contraddizioni e l’incertezza senza soffocarle o disintegrarle. Il che significa una rivoluzione epistemologica, una rivoluzione nella conoscenza. Dobbiamo tentare di ripudiare l’intelligenza cieca che vede soltanto frammenti separati, che è incapace di collegare le parti e il tutto, l’elemento e il suo contesto, che è incapace di concepire l’essere planetario e di cogliere il problema ecologico. Si può dire che la tragedia ecologica che è cominciata è la prima catastrofe planetaria provocata dalla carenza fondamentale del nostro modo di conoscenze e dalla ignoranza che tale modo di conoscenza comporta. È dunque il crollo della concezione luminosa della razionalità (vale a dire quella che comporta una luce accecante e dissipa le ombre con idee chiare e distinte, con la logica del determinismo) che, di per sé, ignora il disordine e il caso. Dobbiamo concepire una realtà complessa, fatta di un cocktail sempre mutevole di ordine, di disordine e di organizzazione. Occorre sapere che esiste un principio di organizzazione ma anche di disorganizzazione nell’universo con il secondo principio della termodinamica. Occorre comprendere che l’universo è complesso e comporterà sempre per il nostro spirito incertezza e contraddizione. Occorre comprendere che «è oscura la fonte stessa da dove nasce la nostra luce», come diceva san Giovanni della Croce. Occorre comprendere che sono l’imprevedibile e l’improbabile a verificarsi più spesso. Occorre sostituire il progresso determinista, il progresso necessario in tutto, vale a dire nella concezione della vita, nella concezione della storia, nella concezione dell’universo. Ci sono due esempi che dimostrano che l’imprevisto accade: in occasione delle guerre persiane, quando la piccola Atene ha saputo per ben due volte ricacciare indietro il gigantesco Impero persiano e in occasione della Seconda Guerra Mondiale, alle porte di Mosca, alla fine del 1941, quando un inverno straordinariamente precoce ha bloccato le armate naziste. Occorre abbandonare l’idea astratta dell’umano che si trova nell’umanesimo. Idea astratta perché si riduce l’uomo a homo sapiens, homo faber, homo oeconomicus. L’essere umano è anche sapiens e demens, faber e mythologicus, oeconomicus e ludens, prosaico e poetico, naturale e metanaturale. Occorre sapere che l’universalismo è diventato concreto nella concretizzazione dell’era planetaria in cui si può scoprire che tutti gli umani hanno non solo una comunità di origine, una comunità di natura attraverso le loro diversità, ma anche una comunità di destino. Allora, l’umanesimo astratto può diventare concreto. Il progresso dipende anche ormai dalla coscienza umana. Il progresso acquisito deve rigenerarsi incessantemente. La possibilità di progresso si trova in quello che Marx chiamava «l’uomo generico», nelle potenzialità inibite dalle nostre società, dalla specializzazione, dalla divisione del lavoro, dalla sclerosi… Questa idea, che si trova in Rousseau, è estremamente importante in Marx. Nelle nostre società, solo i poeti, gli artisti, gli inventori – in quanto esseri devianti – sono capaci di essere creatori e di generare qualcosa. Allora, si intravede una possibilità di andare oltre i Lumi, integrandoli. Occorre coniugare quattro vie che, fino a oggi, sono state separate. La prima via è la riforma dell’organizzazione sociale, che non può essere la sola via del progresso ma che non deve essere abbandonata. La seconda via è quella della riforma attraverso l’educazione, che deve compiersi in profondità perché l’educazione possa aiutare a far evolvere gli spiriti. La terza è la riforma di vita. E la riforma etica propriamente detta è la quarta. Dobbiamo comprendere che se c’è vero progresso, allora c’è possibilità di metamorfosi. Se c’è una società-mondo, essa sarà il prodotto di una metamorfosi, perché sarà una società di tipo nuovo e non una riproduzione gigantesca dei nostri Stati nazionali attuali. Ciò è forse improbabile, ma per tutta la vita ho sperato nell’improbabile e talvolta le mie speranze si sono concretizzate. La nostra speranza è la fiaccola nella notte: non esiste alcuna luce accecante, ci sono solo fiaccole nella notte.
La ragione critica illuministica mise in discussione le religioni in un modo che definirei miope, poiché non percepisce il contenuto umano del sacro Questa intelligenza costruisce le sue teorie – in particolare scientifiche – e l’idea di un universo completamente spiegabile, di un’umanità guidata dalla Ragione Sovrana che assume peraltro il carattere provvidenzialistico di una fede




DIDEROT E D’ALAMBERT RIUNISCONO I COLLABORATORI DELL’«ENCICLOPEDIE»: BUFFON, D’HOLBACH, MONTESQUIEU, ROUSSEAU E VOLTAIRE


Morin IL TESTO E L’AUTORE


Filosofo del moderno

Anticipiamo in queste colonne il capitolo « Oltre i Lumi » inserito da Edgar Morin nel suo
Oltre l’abisso , in uscita da Armando editore ( pagine 126, euro 15,00). Nel volume il filosofo, antropologo e sociologo si interroga sul caos davanti al quale ci troviamo e sull’insufficienza delle tradizionali risorse indicate con termini quali ' riforma' e ' rivoluzione'.
Fondatore nel 1967 con Roland Barthes e Georges Friedmann di
Communications,
Morin è sociologo presso il Cnr francese; tra le sue opere,
Amore, poesia e saggezza ( 1999); Educare nell’era planetaria ( con Emilio Roger Ciurana e Raul Domingo Motta, 2005); L’anno I dell’era ecologica
( 2007). La sua opera capitale è
Il metodo, in sei volumi editi tra il 1977 e il 2004.




© Copyright Avvenire 11 aprile 2010