Dopo  l’esplosione del Rinascimento,  il secolo dei Lumi è un momento   capitale nella storia del pensiero  europeo. La grande dialogica che  si  apre dopo il Rinascimento, vale  a dire la relazione antagonista e   complementare tra la fede e il  dubbio, la ragione e la religione,   trova il proprio centro in Pascal, uomo di ragione e di religione, uomo  di fede e di dubbio. Questa grande dialogica è contraddistinta, nel  secolo dei Lumi, da una preponderanza (probabilmente una egemonia) della  ragione. È certo che il Rinascimento, che ha stimolato la resurrezione  di una filosofia non più ancella della religione, ha ristabilito e  ritrovato il tema dell’autonomia della ragione derivata dai Greci, e ha  permesso lo slancio della scienza su basi empiricorazionali  con  Galileo, Descartes e Bacone.   Questo slancio della scienza permette  di conoscere, ma separando gli oggetti di conoscenza gli uni dagli altri  e separandoli dal soggetto conoscente, insomma dissolvendone la  complessità. Questa ragione, che si manifesta già nelle scienze,  diventerà sovrana nel corso del XVIII secolo francese. In quel momento  si svilupperà la ragione in quanto ragione costruttiva delle teorie e  ragione critica; la ragione critica metterà in discussione i miti, le  religioni, in un modo che definirei miope, poiché essa non percepisce il  contenuto umano dei miti e della religione. Questa ragione, in qualche  modo, costruisce le sue teorie – in particolare teorie scientifiche – e  costruisce l’idea di un universo completamente accessibile alla ragione e  l’idea di una umanità guidata dalla Ragione. Questa Ragione  Sovrana assume il carattere provvidenzialistico di un mito  pseudo-religioso. In questa prospettiva, la scienza è produttrice  dell’autentica conoscenza, vale a dire della verità. È un’epoca in cui  le scienze fisiche, chimiche, biologiche spiccano il volo. S’impone  allora questa idea che l’universo sarebbe completamente intelligibile (è  questa intelligibilità che esprime il demone di Laplace. Egli immagina  che un demone dotato di facoltà mentali superiori sarebbe capace di  conoscere non solo tutti gli eventi del passato, ma anche tutti gli  eventi del futuro). La Ragione guida l’umanità verso il progresso e il  Progresso diventa così la legge ineluttabile della storia.   Questa  idea di legge ineluttabile è formulata da Condorcet. Il futuro diventerà  radioso e l’umanesimo stesso si schiuderà sotto due aspetti. Il primo  aspetto è – essendo stato soppiantato Dio – considerare l’uomo come il  soggetto dell’universo che deve, a tale titolo, finalmente dominare (è  proprio la missione del dominio della natura che Descartes, Buffon, Marx  assegnano alla scienza). Ma il secondo aspetto dell’umanesimo è  l’uguale dignità di tutti gli esseri umani. Chiunque siano, essi  meritano tutti il medesimo rispetto; questa teoria porta in sé non solo  la libertà ma anche l’emancipazione. E il 1789, con l’espressione dei  diritti dell’Uomo, il momento nascente della Rivoluzione Francese carica  di promesse, può essere effettivamente definito, così come diceva  Hegel, «una splendida aurora». Già con Rousseau, il tema  dell’affettività (della sensibilità) diventa un tema che si oppone alla  ragione e indica che essa, da sola, ha un carattere astratto e quasi  disumano. Rousseau mostra a suo modo il carattere astratto della  frattura tra l’umano e il naturale, attribuendo alla natura una  importanza quasi materna, originaria. Voltaire, in modo sarcastico,  diceva di Rousseau: «Vuole farci camminare a quattro zampe». In Rousseau  c’è anche il tema secondo cui la civiltà comporta un degrado umano.  Egli formula il mito dell’uomo naturale, che non suppone che esistesse  una umanità idillica all’origine in una sorta di giardino dell’Eden, ma  che esistono potenzialità umane che sono inibite nelle civiltà, represse  nelle nostre società. Di qui un interrogativo sul progresso.   Il  progresso non è concepito come una sorta di raggiungimento permanente  del meglio. La domanda diventa: che cosa si perde quando si raggiunge un  progresso, un progresso tecnico, un progresso materiale, un progresso  urbanistico? Problema di fatto estremamente attuale nella nostra crisi  di civiltà. La Rivoluzione Francese si è fondata contemporaneamente sul  trionfo e sulla crisi dei Lumi. Il trionfo, con il messaggio di  emancipazione del 1789. La crisi, con quel terrore, quel culto della  ragione (penso a Alejo Carpentier, nel suo splendido romanzo  Il secolo dei lumi ,  in cui ci dice che i Lumi arrivano ai Caraibi con la ghigliottina).    Quanto al Romanticismo, è in qualche  modo l’esplosione di  quello che è  stato soffocato dai Lumi. Lo spirito di  comunità, il  rapporto mistico con la  natura, la virtù del religioso, sono  cose che  effettivamente ricompaiono,  con una sorta di riabilitazione del   Medioevo. È anche, per alcuni versi,  un sentimento profondo della  natura che implica la bellezza del notturno (Edward Young aveva già  scritto  Le Notti ,  nella metà del XVIII secolo). E poi c’è la promozione della passione in  rapporto alla ragione. Ma il tardo Romanticismo, o piuttosto il  Romanticismo dei Romantici diventati vecchi come Hugo o Lamartine, o il  Romanticismo dei giovani della seconda metà del XIX secolo, come  Rimbaud, integra in sé il messaggio dei Lumi e si vota al progresso  umano che costituisce l’emancipazione degli oppressi. Il socialismo, e  soprattutto il pensiero di Marx, ridarà vita all’idea di progresso. Il  progresso stesso che non si effettua attraverso una sorta di evoluzione  lineare, ma attraverso un conflitto, la lotta di classe. Questa  permetterà alla classe sfruttata e maggioritaria, il proletariato, non  soltanto di affrancarsi ma di creare la società senza classi e,  parallelamente, lo sviluppo delle forze produttive permetterà lo  sviluppo della tecnica e l’abbondanza. La rivoluzione socialista  universale è in qualche modo il mezzo, la tappa, con cui si realizzerà  tale progresso. Come il mito e la religione hanno contaminato l’idea di  Ragione alla fine del XVIII secolo, così si può dire che il religioso si  è infiltrato in profondità nella promessa marxista, poiché in qualche  modo il mondo nuovo si realizza su un vero e proprio messianesimo; dove  il messia è il proletariato industriale, l’apocalisse la Rivoluzione, la  promessa il trionfo della società senza classi.   Possiamo vedere  anche, in seguito alla  Rivoluzione francese, che la laicità repubblicana (senza entrare nella  tematica rivoluzionaria) della fine del XIX secolo e dell’inizio del XX  secolo riprende l’eredità dei Lumi. Gli istitutori in particolare sono i  portatori di questo messaggio a fronte dei curati dei villaggi. Tale  messaggio di laicità è il seguente: il progresso è portato dallo  sviluppo della ragione, della scienza, dell’educazione.   Era  evidente che la ragione non poteva che progredire, che la scienza e  l’educazione non potevano che apportare benefici… Tutte queste prove, o  piuttosto queste soluzioni, costituiscono oggi un problema. Sono  terribilmente oscurate, poiché vediamo che ognuno di questi elementi che  si supponeva fossero del tutto benefici rivelano oggi alcune  ambivalenze, un misto di bene e di male. La scienza ha concepito anche  l’arma nucleare, Hiroshima e Nagasaki. Ha creato la capacità di produrre  la morte di massa dell’umanità.   Nell’ambito biologico, è capace di  produrre manipolazioni genetiche che possono servire ai fini migliori  come a quelli peggiori. La tecnica stessa può essere usata a fini buoni e  a fini cattivi. Le forze scientifiche/tecniche/economiche incontrollate  dagli esseri umani portano ugualmente verso forme di degrado  irreversibile, a cominciare dal degrado della biosfera che avrà  conseguenze estremamente nefaste per la sopravvivenza dell’umanità.  Diciamo che il quadrimotore costituito da scienza, tecnica, economia,  profitto, e che era ritenuto in grado di produrre il progresso, è oggi  il propulsore della navicella spaziale Terra senza pilota che porta con  sé una duplice minaccia di morte: morte della  biosfera e morte nucleare. Si tratta dunque di un ribaltamento  fenomenale. La scienza è certamente illuminante ma, al tempo stesso,  accecante, nella misura in cui non riesce ancora a fare la sua  rivoluzione, che consiste nel superare il riduzionismo e la  frammentazione del reale che impongono le discipline settoriali. È  incapace di restituire visioni d’insieme. Ma si può sperare  effettivamente che una scienza nuova possa svilupparsi, rigenerarsi.  Analogamente, si può pensare che la tecnica che ha prodotto macchine che  obbediscono a una logica puramente meccanica – logica del resto che i  tecnocrati e gli economisti hanno applicato all’insieme delle società –  produca macchine migliori, più sensibili alle complessità, e che  l’economia non sia condannata alla legge concorrenziale del neoliberismo  e porti altre possibilità come il commercio equo, l’economia solidale  o, semplicemente, l’economia cittadina. Ad ogni modo, il progresso come  certezza è morto. Si può persino dire che siamo davanti a una grande  incertezza. C’è una possibilità di progresso, ma il progresso ha sempre  bisogno di essere rigenerato. Nessun progresso può avere la sicurezza di  durare.   Così, per esempio, la tortura era scomparsa dai Paesi  d’Europa nel XIX secolo ed è riapparsa in tutti i Paesi d’Europa nel XX  secolo. E soprattutto vediamo oggi l’alleanza di due barbarie: l’antica  barbarie della guerra che, con le guerre di religione, guerre di etnie,  guerre di nazione, guerre civili, ritorna in forza con tutto ciò che  essa implica in termini di odio, di disprezzo, di distruzione e di  morte… E la barbarie tecnica, la barbarie astratta del  calcolo che ignora l’umano dell’essere umano, vale a dire la sua vita, i  suoi sentimenti, i suoi slanci, le sue sofferenze. Tutto ciò ci porta  all’idea che bisogna superare i Lumi. Dobbiamo cercare al di là dei  Lumi. Quando dico «superare», intendo nel senso hegeliano di  aufheben ,  che vuol dire integrare ciò che è superato, integrare ciò che c’è di  valido nei Lumi ma con qualcosa d’altro. Che cosa è questo al di là dei  Lumi? Significa innanzitutto che bisogna riesaminare la ragione, bisogna  superare la razionalità astratta, il primato del calcolo e il primato  della logica astratta. Occorre liberarsi della ragione provincializzata.  Occorre prendere coscienza dei mali della ragione. Occorre superare la  ragione strumentale di cui parla Adorno, che è al servizio delle  peggiori imprese di morte. Occorre anche superare l’idea di ragione  pura, perché non esiste ragione pura, non esiste razionalità senza  affettività. Occorre una dialogica tra razionalità e affettività, una  ragione mitigata dall’affettività, una razionalità aperta. Occorre dare  forza a questa corrente minoritaria nel mondo occidentale o europeo,  quella della razionalità autocritica che, da Montaigne a Lévi-Strauss,  riconosce i propri limiti e implica l’autocritica dell’Occidente. In  altri termini, abbiamo bisogno di una razionalità complessa che affronti  le contraddizioni e l’incertezza senza soffocarle o disintegrarle. Il  che significa una rivoluzione epistemologica, una rivoluzione nella  conoscenza. Dobbiamo tentare di ripudiare l’intelligenza cieca che vede  soltanto frammenti separati, che è incapace di collegare le parti e il  tutto,  l’elemento e il suo contesto, che è incapace di concepire l’essere  planetario e di cogliere il problema ecologico. Si può dire che la  tragedia ecologica che è cominciata è la prima catastrofe planetaria  provocata dalla carenza fondamentale del nostro modo di conoscenze e  dalla ignoranza che tale modo di conoscenza comporta. È dunque il crollo  della concezione luminosa della razionalità (vale a dire quella che  comporta una luce accecante e dissipa le ombre con idee chiare e  distinte, con la logica del determinismo) che, di per sé, ignora il  disordine e il caso. Dobbiamo concepire una realtà complessa, fatta di  un cocktail sempre mutevole di ordine, di disordine e di organizzazione.  Occorre sapere che esiste un principio di organizzazione ma anche di  disorganizzazione nell’universo con il secondo principio della  termodinamica. Occorre comprendere che l’universo è complesso e  comporterà sempre per il nostro spirito incertezza e contraddizione.  Occorre comprendere che «è oscura la fonte stessa da dove nasce la  nostra luce», come diceva san Giovanni della Croce. Occorre comprendere  che sono l’imprevedibile e l’improbabile a verificarsi più spesso.  Occorre sostituire il progresso determinista, il progresso necessario in  tutto, vale a dire nella concezione della vita, nella concezione della  storia, nella concezione dell’universo. Ci sono due esempi che  dimostrano che l’imprevisto accade: in occasione delle guerre persiane,  quando la piccola Atene ha saputo per ben due volte ricacciare indietro  il gigantesco Impero persiano e in occasione della Seconda Guerra  Mondiale, alle porte di Mosca, alla fine del 1941, quando un inverno  straordinariamente precoce ha bloccato le armate naziste. Occorre  abbandonare l’idea astratta dell’umano che si trova nell’umanesimo. Idea  astratta perché si riduce l’uomo a homo sapiens, homo faber, homo  oeconomicus. L’essere umano è anche sapiens e demens, faber e  mythologicus, oeconomicus e ludens, prosaico e poetico, naturale e  metanaturale. Occorre sapere che l’universalismo è diventato concreto  nella concretizzazione dell’era planetaria in cui si può scoprire che  tutti gli umani hanno non solo una comunità di origine, una comunità di  natura attraverso le loro diversità, ma anche una comunità di destino.  Allora, l’umanesimo astratto può diventare concreto. Il progresso  dipende anche ormai dalla coscienza umana. Il progresso acquisito deve  rigenerarsi incessantemente. La possibilità di progresso si trova in  quello che Marx chiamava «l’uomo generico», nelle potenzialità inibite  dalle nostre società, dalla specializzazione, dalla divisione del  lavoro, dalla sclerosi… Questa idea, che si trova in Rousseau, è  estremamente importante in Marx. Nelle nostre società, solo i poeti, gli  artisti, gli inventori – in quanto esseri devianti – sono capaci di  essere creatori e di generare qualcosa. Allora, si intravede una  possibilità di andare oltre i Lumi, integrandoli. Occorre coniugare  quattro vie che, fino a oggi, sono state separate. La prima via è la  riforma dell’organizzazione sociale, che non può essere la sola via del  progresso ma che non deve essere abbandonata. La seconda via è quella  della riforma attraverso l’educazione, che deve compiersi in profondità  perché l’educazione possa aiutare a far evolvere gli spiriti. La terza è  la riforma di vita. E la riforma etica propriamente detta è la quarta.  Dobbiamo comprendere che se c’è vero progresso, allora c’è possibilità  di metamorfosi. Se c’è una società-mondo, essa sarà il prodotto di una  metamorfosi, perché sarà una società di tipo nuovo e non una  riproduzione gigantesca dei nostri Stati nazionali attuali. Ciò è forse  improbabile, ma per tutta la vita ho sperato nell’improbabile e talvolta  le mie speranze si sono concretizzate. La nostra speranza è la fiaccola  nella notte: non esiste alcuna luce accecante, ci sono solo fiaccole  nella notte.   La ragione critica illuministica mise in discussione le  religioni in un modo che definirei miope, poiché non percepisce il  contenuto umano del sacro Questa intelligenza costruisce le sue teorie –  in particolare scientifiche – e l’idea di un universo completamente  spiegabile, di un’umanità guidata dalla Ragione Sovrana che assume  peraltro il carattere provvidenzialistico di una fede    |